
Brodeuses
di Éléonore Faucher
5.4 X 4
Grand Prix de la Semaine a Cannes è, questo, il primo
lungometraggio di Éléonore Faucher. La giovane regista, nativa di Nantes, ha
studiato presso una delle più importanti scuole di cinema di Parigi – l’École
Nationale Supérieure Louis Lumière (ENSLL) – secondo un percorso formativo
oramai quasi obbligatorio per chiunque voglia intraprendere la professione
registica.
C’è da chiedersi se in queste scuole vengono ricordate le dimensioni dello
schermo cinematografico. Non è un fattore secondario. Le dimensioni dello
schermo standard sono 5.40m x 4m. Poi ci sono quelli panoramici. Questo vuol
dire che un primissimo piano, diciamo dal mento alla fronte, di una graziosa
fanciulla viene a misurare almeno venti volte la dimensione reale (15-20
cm). Se questo semplice dato fosse ricordato agli studenti, forse,
cambierebbe la loro percezione del cinema e con essa il loro approccio al
racconto cinematografico.
La giovane Faucher ha voluto raccontare le sensazioni che un anno prima
aveva provato durante l’attesa del suo primo bambino. A raffigurarla sullo
schermo, sotto il nome di Claire, è Lola Naymark.
Claire è incinta, con un lavoro precario, senza un compagno e senza aiuto da
parte dei genitori. La passione per il ricamo la porta ad incontrare Madame
Malikian, brodeuse - appunto: ricamatrice, interpretata da Ariane
Ascaride - di grande esperienza, il cui unico figlio è da poco morto in un
incidente stradale. Il plot è prevedibile: le due sfortunate si aiutano
reciprocamente riuscendo, tra una cucitura e un’imbastitura, a superare i
propri fantasmi.
Il film è ben scritto, ben girato, ben interpretato, ben fotografato, ben
montato. Un prodotto senza pecca. Gli insegnamenti alla Louis Lumière hanno
dato buoni frutti. I soliti buoni frutti. Purtroppo.
I film dei registi provenienti dalle scuole di cinema sono generalmente
riconoscibili da alcune costanti:
- il soggetto è molto personale, spesso autobiografico
- si tratta generalmente di film d’atmosfera, in cui i silenzi e gli sguardi
sostituiscono i dialoghi
- prevalgono i dialoghi a due a scapito delle scene corali, pressoché
assenti
- la recitazione è unicamente facciale, bisbigliata, monosillabica
- le inquadrature sono tutte estremamente studiate, spesso ricercatamente
poetiche
Il che va tutto bene a patto che ci si chiami Ingmar Bergman. Diversamente,
ciò che ne risulta sono film compilati, soggetti prestampati in cui bisogna
solo barrare la casella dell’opzione desiderata. Mancano le smagliature,
les déchirements, gli errori in cui sia possibile percepire le paure
autentiche che ogni regista ha di fronte alla follia del suo lavoro.
Si è ormai consolidata l’idea che il regista è “uno che racconta storie”. E
nient’altro. Non viene ricordato, invece, che il regista può anche essere
semplicemente “uno che vuole fare dei film”. E fare film significa fare un
lavoro singolare - se non assurdo - lanciare un treno a tutta velocità che
non può fermarsi anche se rischia di deragliare. Il soggetto può essere solo
un pretesto per mobilitare decine di persone (attori, tecnici, produttori,
banche) attorno ad un progetto che ha sempre qualcosa di folle in quanto
“non necessario” (la magnifica condizione di inutilità propria di ogni
arte).
Il cinema è nato come un fenomeno da circo, uno spettacolo affascinante, una
scatola magica. E ancora lo è. Un motivo per fare un film può essere quello
di voler vedere ingrandito di venti volte il volto innamorato di Lola
Naymark. Sarebbe sufficiente a ripagare il biglietto dello spettacolo.
La Faucher lo fa e ci regala due momenti d’amore di grande intensità (tra
Claire e Guillaume: in automobile, prima, in campagna, dopo). Ma c’è da
interrogarsi sulla piena consapevolezza della regista.
La proiezione è stata preceduta dalle rituali chiacchiere tra Aldo Tassone
(direttore artistico del Festival), il distributore italiano (la Bim), la
Gan (società assicuratrice che ha sostenuto il progetto), e la regista, che
aveva una pancia enorme. Il suo secondo figlio nascerà il 13 gennaio.
France Cinema si svolge prevalentemente al Cinema della Compagnia di via
Cavour. L’uscita posteriore della sala dà su via Ricasoli, lungo la quale,
al n° 60, si trova la Galleria dell’Accademia. All’interno è esposto il
David di Michelangelo (altezza: 5.17 m). All’ingresso dell’Accademia vi sono
un sacco di bancarelle in cui una riproduzione del David (altezza: 10-30 cm)
costa meno del biglietto d’ingresso alla Galleria.
Ma la gente continua a fare la fila per entrare nel museo.
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