river to river

XII edizione

 

Firenze, 07  / 13 dicembre 2012

 

 

commento

di Manuela Menici

Il ricco cartellone della Cinquanta Giorni di Cinema Internazionale a Firenze si conclude con la prestigiosa rassegna del River to River Florence Indian Film Festival, diretto da Selvaggia Velo e giunto alla sua XII edizione.
Quest’anno il festival coincide con il centenario del cinema indiano, nel 1913 all’Olympia Theatre di Bombay veniva proiettato il primo lungometraggio girato e prodotto in India, Raja Harishchandra di Dadasaheb Phalche, questo festival riserva al fortunato pubblico di Firenze la versione restaurata del film che segnò l’inizio dell’industria cinematografica più grande del mondo.
 

Il primo film che ho avuto il piacere di vedere è stato Alexandra David Néel, J’irai au pays des neiges di Joel Farges.
Il regista, che ha compiuto il suo dottorato di ricerca con Roland Barthes, ci racconta la storia di Alexandra David Néel esploratrice francese, buddista, scrittrice, ricercatrice, nonché la prima donna occidentale ad entrare nella città proibita di Lhasa in Tibet nel 1924.
Questo cammino è un percorso spirituale fatto di incontri decisivi. Prima a Pondicherry con Sri Aurobindo filosofo e mistico indiano considerato dai suoi discepoli un avatar ovvero un’incarnazione dell’Assoluto, di questo incontro scrive al marito “di quelle calme sere, seduti vicino ad una finestra che si apriva sui funebri giardini di questa città morta, sembrava che potessimo vedere al di là della vita e della morte”. E poi con il XIII Dalai Lama, il titolo dalai lama deriva dalla parola mongola “Dalai” che significa “Oceano” con “Lama” equivalente tibetano del termine sanscrito “Guru”, ovvero “Maestro spirituale”, Dalai Lama sarebbe dunque traducibile come “Oceano di Saggezza”. L’incontro di Alexandra con il Dalai Lama mi ha fatto pensare a due cose, la prima è il film di Werner Herzog,  Kalachakra La ruota del tempo del 2003, bellissimo come tutti i suoi documentari e la mostra di Paola Pivi che ho visto il mese scorso al Castello di Rivoli a Torino dal titolo Tulkus 1880 to 2018, un progetto che consiste nella progressiva raccolta dei ritratti fotografici di tutti i “tulku” che nel buddhismo tibetano è la reincarnazione riconosciuta di un maestro Buddista precedente che, avendo raggiunto un altro livello di realizzazione, è in grado di scegliere i modi della propria reincarnazione e, spesso, di comunicare attraverso degli indizi criptati, il luogo della propria rinascita. Sono molto felice di aver scoperto grazie a questo film questa donna straordinaria e di imbattermi spesso a questo punto non so più se per caso nelle filosofie orientali che tanto mi affascinano.

 

Il secondo film che ho visto è Living with Clay di Gautam BanerJee, il film parla di una forma d’arte che purtroppo si estinguerà nel giro di pochi decenni. Coloro che adorano gli idoli non sono al corrente del processo costruttivo e  la professione di creatore di statue non è riconosciuta dalla società indiana, sebbene un artista di talento, si crede, possa far fluire le divinità nelle sue creazioni. Sanatan, un celebre fabbricante di idoli e imprenditore di Calcutta, fornisce lavoro a molti artigiani e contribuisce a ispirare i modellatori di creta, preoccupati dell’incertezza di questo lavoro. La cosa che ho trovato straordinaria è che le meravigliose sculture che vengono realizzate per i festeggiamenti del “Durga Puja” o “Durgotsava”, festa annuale hindu che celebra la dea Durga, vengono immerse per l’ultimo viaggio nel fiume Bhagarathi. Le abilissime mani degli scultori prima creano delle strutture di paglia che poi ricoprono di creta, fino a tingerle di calce bianca e infine colorarle e decorarle con tessuti e ghirlande di fiori. Trovo bellissimo che tutto questo lavoro venga distrutto per essere ricreato di nuovo l’anno successivo. è un invito al non attaccamento, uno stimolo per l’anno che verrà a rimettersi in discussione e sì una “life lesson” per noi occidentali.

 

L’ultimo film di cui vi voglio parlare è Nakusa - The Unwanted di Rima Amarapurkar, realizzato da una regista donna su la negazione dell’infanzia, la mancanza di scolarizzazione e una vita fatta di sacrifici che fanno parte del destino non scritto di una nakusa. Nakusa, la “non voluta”, è il nome che spesso viene dato, in una famiglia, ad una delle ultime figlie quando ancora manca l’erede maschio. Questo documentario esplora le conseguenze psicologiche, sociali e culturali dell’essere chiamata Nakusa, e le storie di vita di queste bambine indesiderate che cercano una loro strada in un paese che, tra modernità e tradizione, cerca soluzioni alle proprie contraddizioni. In India ogni nome ha un significato, Safia significa pura, Talikha usignolo, Farha felicità, Mayra amata e il film inizia con bambini che ci dicono il loro nome con il rispettivo significato e un sorriso di orgoglio. Poi però vediamo gli occhioni gonfi di lacrime di bambine che hanno scoperto crescendo che cosa significa il loro nome e che le segna psicologicamente per sempre. La foto che ho scelto ci fa ben sperare perché c’è qualcuno che si stà muovendo per dare a queste bambine una dignità e un nuovo nome, le vediamo qui mostrare il certificato che è un passpartout per una nuova vita. Ad ogni latitudine i sentimenti che ci accomunano sono esattamente gli stessi, ne abbiamo la conferma quando una di queste bambine ci dice che il giorno più bello della sua vità sarà quello in cui suo padre la chiamerà con il suo nuovo nome.

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12.mo river to river

Firenze, 07 / 13 dicembre 2012