Stagione Lirica e Balletto 2013-2014

gran teatro la fenice
 

OTELLO

di Giuseppe Verdi

 


Venezia, 30 novembre 2012

 

di Gabriele FRANCIONI
con la collaborazione di Anna ANTONELLI

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La Fenice testimonia l’importanza di avere un chiaro progetto culturale in continua evoluzione, seppur in tempi di crisi (o forse proprio per questo), allestendo l’“Otello” verdiano e il “Tristan und Isolde” di Wagner in contemporanea, battendo sul tempo la Scala nell’anno del doppio anniversario.
L’importanza della Memoria e la centralità della figura dell’Artista, libero e dotato di una posizione universalmente riconosciuta nella creazione di una coscienza nazionale - come furono tanto il parmense quanto il tedesco - vengono ribadite a ogni nuova produzione dall’istituzione veneziana.
Ecco il Leone” veneziano, dunque, ma è un Otello fiero e comunque vincitore, al di là della tragica ironia di Jago, consapevole dell’importanza della tradizione e della necessità di lanciarsi nel futuro con lo sguardo di Francesco Micheli, com’era già successo con il Mozart di Damiano Michieletto.
 Micheli, e lo stesso Myung Whun Chung, s’impegnano a restituire il quantum di novità contenuto nella penultima opera verdiana in forma di anticipazione del nuovo secolo - allora era il Novecento, qui addirittura il primo segmento di un nuovo millennio - fissando la contrapposizione tra Jago, l’homo novus, e Otello in forma di scontro di potere (militare) e di psicologie. L’isola di Cipro, le sale e le stanze del palazzo, diventano un’unica gabbia ai limiti dell’astrazione e anche un cubo astrale, siglato dai segni dello zodiaco, che s’impone sulla scena dopo l’inizio frontale e bidimensionalmente classico della tempesta e dell’uragano (anche musicale, reso benissimo dalla splendida orchestra del Teatro).
Il coro ci regala un incipit marino esaltante, di gioia assoluta, dove le donne scompaiono (rispetto alla scrittura di  Boito) e l’insieme restituisce un senso di celebrazione al maschile tra sodali, funzionale a contrapporre la fedeltà militare dell’inizio al disfacimento etico del quarto atto. L’apparato scenografico, piuttosto che sfondo e arredo, è quindi il doppio del pensiero di Verdi, di Micheli e degli stessi protagonisti, facendosi rappresentazione “in 3D” di una comunicazione multimediale che solo così - si pensi anche all’architettura girevole di Michieletto - si fa arte vera. Una via, questa, che la Fenice deve continuare a seguire con decisione e precisione,nonostante lo straordinario impegno produttivo.

 Dopo l’introduzione, durante la quale la nave del Moro vincitore sui musulmani viene idealmente rappresentata dal rosso di un modellino fatto ondeggiare sul frontescena, il sipario blu si apre e svela il cubo dorato che avanza verso di noi e sembra quasi gonfiarsi; poi, girato, si svela aperto verso il pubblico e mobile, sensibile alle variazioni d’umore dei protagonisti, diventando - all’occorrenza - stanza di Otello, Desdemona, etc.
Questa tonalità umorale, accompagnata da una sottile ambivalenza interpretativa - il vigore positivistico ottocentesco  convive con i dubbi e le profondità dell’animo novecentesco - segna la lettura fornita dal direttore d’orchestra, che segue le indicazioni verdiane, accentuandole ove è il caso, come nel roboante inizio o nei recitativi pieni d’ombre.

Gregory Kunde è, per parte sua, un Otello assolutamente specchio del proprio tempo (il nostro), costretto com’è dallo svolgersi degli eventi a decostruire le certezze del passato e ad aprirsi ad una sorta di psicanalisi resa pubblica dal canto e fattasi materia tangibile e visibile nel prisma aperto verso la platea: il corpo che rivela l’anima. Kunde sostiene con incredibile forza e duttilità vocale il peso delle insinuazioni di Jago e quello ben più grave delle vette di canto imposte dalla scrittura verdiana, uscendo dalla retorica di letture antiquate, che lo volevano bestia progressivamente deforme, per scegliere invece la via del bestiario di Micheli e di una consapevole ineluttabilità del destino segnato dagli astri. Otello/Kunde non si degrada, non si svilisce cedendo alla propria natura, poiché le sue azioni erano già scritte nel destino, come conferma la Desdemona del finale e dell’“Ave Maria”, ripiegata sulla scrittura immutabile di un martirio vissuto da innocente, fedele e innamorata, nonostante tutto. Chiara, sensibilissima e commovente l’interpretazione di Leah Crocetto.  Notevole anche Lucio Gallo, uno Jago  con ottime qualità interpretative, nonostante alcuni problemi d’intonazione.

Myung-Wun Chung segue agilmente la partitura, curando con attenzione estrema  le modernissime transizioni verdiane, che vanno a insinuarsi nelle morphài chiuse - la cabaletta, il coro, gli stessi recitativi - decostruendole, aprendole, ancora una volta, come la scatola dorata e arabeggiante deposta sul palcoscenico. Segue, passo dopo passo, la mutazione ineluttabile di Otello.
La musica dell’ultimo Verdi è, comunque, di per sè contrassegnata dalla continuità e dal flusso (wagneriano?) costruito anche sui temi ricorrenti, specchio di un’attenzione alla psicologia complessa e in costante evoluzione dei personaggi, quasi da pedinare, e alla conseguente drammatizzazione interpretativa, cui non servono le pause, gli stacchi netti, le cesure.In definitiva, un “Otello” di assoluta eccellenza, straordinario sia sotto l’aspetto scenografico (da non dimenticare il light design di Fabio Barettin, i costumi di Silvia Aymonino, figlia di Carlo, a lungo docente allo IUAV veneziano, e le scene di  Edoardo Sanchi, perfettamente orchestrati dal secondo direttore, Francesco Micheli), sia dal punto di vista della lettura musicale e infine, elemento di massima importanza in Verdi, anche in quanto a interpretazione e scavo psicologico da parte dei cantanti.  Più che buono il resto del cast, mentre notevolissimo il Coro della Fenice e molto buono anche il rendimento dei Piccoli Cantori Veneziani.
30/30

OTELLO, di Giuseppe Verdi. Cast Otello Gregory Kunde Jago Lucio Gallo Desdemona Leah Crocetto Cassio Francesco Marsiglia Roderigo Antonello Ceron Lodovico Mattia Denti Montano Matteo Ferrara Emilia Elisabetta Martorana Un araldo Salvatore Giacalone Maestro concertatore e Direttore Myung-Whun Chung Scene Edoardo Sanchi Costumi Silvia Aymonino Luci Fabio Barettin Regia Francesco Micheli Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Piccoli Cantori Veneziani

SITO UFFICIALE

 

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PREMIO UNA VITA PER LA MUSICA