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philip glass:

An Evening of Chamber Music

Philip Glass, pianoforte

Tim Fain, violino


GT La Fenice, Venezia, 12 dicembre 2012

 

di Gabriele FRANCIONI

Collegamenti rapidi: scheda

 

30/Lode

 

Il progetto della Fenice di dialogare a 360 gradi con le musiche del mondo, portandole sul palcoscenico veneziano e lasciandole aperte al giudizio estetico di critici e pubblico, senza definire steccati di sorta, raggiunge uno dei suoi momenti più alti in occasione della “Evening of Chamber Music” del 12 dicembre, unica data italiana di un tour mondiale che celebra i 75 anni del maestro di Baltimora e durante il quale Philip Glass ha ricevuto, il 23 ottobre scorso, il prestigiosissimo “Praemium Imperiale” 2012, massimo riconoscimento giapponese in ambito artistico.
Ricorderemo questa serata, tra gli altri motivi, anche per averci restituito - in “Wichita Vortex Sutra” - la presenza letteralmente metafisica di Allen Ginsberg, la cui lettura-canto riprodotta in sala per dettare tempi e attacchi (se non proprio struttura e disegno melodico) di un duetto affascinante, vedeva il compositore impegnato al pianoforte.
Dopo una Biennale Musica che ha omaggiato John Cage e Morton Feldman - ma anche Anthony Braxton - constatiamo con piacere come le espressioni della variegata cultura musicale contemporanea americana vengano ormai sistematicamente accolte nei programmi delle più prestigiose istituzioni, senza necessità di giustificarne in alcun modo la presenza, una volta ritenuta “ingombrante”.
L’unico elemento che ancora le accomuna e che, rendendole al contempo uniche, giustifica la necessità di una qualche forma di premessa teorica rispetto a una tradizione e un repertorio eurocentrici, è senza dubbio la loro incollocabilità rispetto ai canoni del Vecchio Continente.
Se Braxton sfugge addirittura al sicuro inserimento entro la regola compositiva del jazz e viene accostato, per certi versi, ai metodi dello stesso Cage e il sodale di quest'ultimo, Morton Feldman, intendeva liberarsi ancor più drasticamente da ogni forma di costrizione compositiva di derivazione europea (anche se tutto andrebbe ri-analizzato e dimostrato con maggiore cura), Philip Glass trovò nella forma dell’iterazione e nell’uso di strutture ripetitive un buon ancoraggio ad una nuova “regola”, anche se le radici vere della serialità stanno altrove, ovvero in Estremo Oriente o nei raga.
Come dire che la conseguente categorizzazione, o sistemazione, del genere “minimalista” in quanto identificativo di un filone prettamente americano andava immediatamente negata: cosa che Glass fece, tirando in ballo le strutture iterative, e lasciando ad altri il privilegio di accontentarsi di tale definizione, oggi utile, semmai, per collocare l’arte dei vari Riley, La Monte Young e Reich.

Mad Rush (1979)

Come ormai da due anni a questa parte, Glass inizia i concerti in coppia con Tim Fain con una composizione che ha ispirato i segmenti coreografici di Lucinda Childs, “Mad Rush”: nonostante il titolo, e forse dopo un aggiustamento della definizione metronomica originaria, il brano non è più una folle corsa, ma un pacato e sostenibile esempio di quegli elementi ripetitivi di cui si diceva applicati all’esecuzione pianistica. Forse la dinamica abbastanza limitata del Glass pianista e l’originaria destinazione per organo ne riducono leggermente l’impatto rispetto all’originale, ma il brano è più da intendere come manifesto di un modus componendi che come oggetto segnato da caratterizzazione timbrica rilevante.
Al di là del Glass interprete, comunque, qui conta la coerenza con il titolo della serata (“Chamber Music”, musica da camera - solista o duo - di ascendenza in qualche modo europea), cosicché l’altro vero manifesto diventa l’esposizione di una natura derivativa mozartiana, come i vari “bassi-Alberti”, vera ossessione degli altri minimalisti, spesso loro àncora di salvezza compositiva. Un accordo scomposto, con tonica, quinta e terza suonate in successione all’infinito (si veda anche la musica da film di Michael Nyman). Ciò garantisce quella tipica qualità ipnotica della musica seriale, che affascina qualunque tipo di ascoltatore, anche l’innamorato dell’improvvisazione e della variazione a tutti i costi.

Chaconne dalla partita per violino solo (2010)

Tim Fain, grande, grandissimo solista in grado di passare indenne attraverso repertori classici (Tchaikovsky, Mozart, Beethoven), apparizioni in film come “The Black Swan” e installazioni/performance di varia multimedialità - teatro, danza, etc - si trova invece a riflettere un’altra matrice della formazione musicale di Glass ai tempi degli studi con Nadia Boulanger, ovvero il Bach che fa frequenti apparizioni nella Ciaccona della “Partita per violino solo”.
è un piacere riascoltare il compositore americano che scrive per violino, come aveva fatto in alcune sezioni di “Einstein on the Beach”, mentre si stava affrancando dal periodo minimalista. La linea melodica è spesso solo raccordo tra ripetizioni iterative di accordi, per così dire, mentre altrove il canto si sviluppa verso sezioni di grande complessità - anche esecutiva - che dimostrano la conoscenza delle possibilità insite in uno strumento poco usato, nel ruolo di solista, nelle partiture contemporanee. Come sottolinea lo stesso P.G., ispiratosi a una forma compositiva che prevedeva movimenti vicini a quelli della danza e un multistilismo portatore di spunti variegati, la ciaccona gli ha permesso di “introdurre, accantonare e reintrodurre vari temi”.

Metamorphosis (n.4 e 5)( 1989)

Immaginiamo una composizione che rappresenti esattamente ciò che il titolo suggerisce: evoluzione.
Simile per certi versi tanto a "Thin Blue Line" quanto allo stesso “Mad Rush”, “Metamorphosis” procede alla stessa maniera, accordale e tonale.
Composto partendo dallo spunto kafkiano (1915), in realtà non è la prima allusione musicale al testo del praghese , ma è probabilmente la migliore. Alla Fenice Glass presenta solo i movimenti “IV” (La Vita) e “V” (La Morte).
Ripetizione (ancora), movimento e sincope: queste le parole chiave e le caratteristiche principali delle sezioni eseguite.
La mano sinistra produce il classico “tic-tac” glassiano di accordi, mentre l’altra descrive gruppetti e trilli arpeggiati. Conseguentemente, mentre gli accordi arpeggiati sono quasi una forma allegra, e dominante nell’ambito della composizione, la tensione melodica viene lasciata in secondo piano, prima di procedere verso il meraviglioso quinto segmento. “V” appare come una celebrazione concettuale del quarto (e dei precedenti, non eseguiti), facendo decantare la materia sonora, che quasi scompare, alla fine.

The Screens, musiche di scena da "Les paravents", di Jean Genet (1989)

Si riforma il duo violino-pianoforte sul palco della Fenice e presenta forse la composizione più affascinante, inaspettata e variegata tra tutte quelle eseguite durante la serata.
La collaborazione tra Philip Glass e Foday Musa Suso, mandingo dei griots dell’Africa occidentale, è originariamente costruita su un corpo unico strutturato su virtuosismi musicali presi da entrambe le culture (occidentale e africana, appunto). In quest’occasione vengono eseguiti tre soli estratti dell’opera: “France”, “The Orchard” e “The French Lieutenant Dream”, sottratti all’originaria logica sequenziale, quindi da analizzare dimenticandoci di Genet.
Le tradizione popolare algerina permea l’insieme (circa dodici minuti), mescolandosi a modulazioni da musica nera, bluesy e suggestioni romantiche (“France”). Composto come musica per un lavoro del 1966, nel complesso raggiunge esiti assai personali e assolutamente atipici rispetto alla produzione musicale mainstream di Glass. Non essendo stato concepito espressamente per le capacità esecutive di Fain (la composizione è del 1989), abbiamo modo di apprezzare in “The Screens” il violinista statunitense più come interprete multi-timbrico piuttosto che come eccezionale virtuoso.

Wichita Vortex Sutra (2010)

Del 1966 è anche il lungo, appassionato poemetto anti-militarista di Allen Ginsberg “Wichita Vortex Sutra”, originariamente frutto di un articolato collage di osservazioni raccolte dal poeta di Newark nelle più varie circostanze (anche durante spostamenti in autobus) e riarrangiato dopo l’inizio della collaborazione tra i due artisti, che data attorno al 1990. Ginsberg giustappone immagini del paesaggio del Kansas a frammenti di notizie sulla guerra in Vietnam e mette in relazione la violenza del conflitto con il conservatorismo degli abitanti dello stato americano . Secondo il credo buddista, il termine "sutra" si riferisce principalmente a scritture canoniche ispirate a insegnamenti orali di Gautama Buddha. Glass presenta la composizione - per piano solo e nastro - come frutto d’ispirazione complessa derivata dall’intreccio di elementi locali (Wichita), una forma di energia che dovrebbe mutare il corso della guerra (Vortex) e la preghiera recitata perché ciò si possa avverare (Sutra). Se “The Screens” è stato il momento musicalmente più alto della serata, “W.V.S” ne segna sicuramente il vertice emotivo.
Glass ha composto seguendo letteralmente il testo, assegnando alle sillabe e alle vocali accentate e quasi cantate da Ginsberg una sorta di corrispettivo musicale, traducendole in note.
Il mantra che ascoltiamo vive di questa natura libera e improvvisativa, ponendosi agli antipodi rispetto ai canoni del periodo minimalista.
Glass duetta con il poeta scomparso e la voce appassionata di Ginsberg ci commuove, oltre a portarci sui territori di una profonda meditazione sui massimi sistemi.

Pendulum (2010)

Il finale è riservato a un’altra composizione del 2010 concepita espressamente per Tim Fain e a un paio di encores. Il violinista si autopropose, dopo un concerto, al maestro di Baltimora, chiedendogli di scrivere per lui(!): originariamente trio (con violoncello), “Pendulum” è tra i frutti di questa richiesta e s’ispira all’“ American Civil Liberties Union”, per il 90° anniversario del quale venne presentata al pubblico per la prima volta.
Riarrangiato per i soli pianoforte e violino, il brano lancia sguardi verso il XIX° secolo e il Glass meno recente: energetiche frasi di violino che ricordano passaggi solistici da "Einstein on the Beach" sono temperate da una scrittura quasi brahmsiana. Tim Fain, come al solito, dà prova di superba abilità tecnico-interpretativa, al punto che, al termine, il pubblico lo acclama e riceve, in cambio, un prezioso estratto ("Knee Play") da "Einstein on the Beach," l’opus capitale di Glass, come sempre evocata, quindi inevitabile, in occasioni celebrative così importanti.
A dispetto di alcune previsioni legate al periodo pre-festivo e alla collocazione infrasettimanale, il pubblico della Fenice, mai come questa volta a dominante allogena, ha riempito tutti i settori a disposizione e ha trasformato la serata in un evento semplicemente memorabile.
programma:
Mad Rush solo piano
Partita for Solo Violin in Seven Movements solo violin
Metamorphosis (Nos. 4 & 5) solo piano
Music from The Screens a. France b. The Orchard c. The French Lieutenant piano & violin
Pendulum piano & violin
Philip Glass, piano Tim Fain, violin

SITO UFFICIALE

 

TEATRO LA FENICE

PREMIO UNA VITA PER LA MUSICA