La
Fenice ritrova John Eliot Gardiner, già protagonista del Concerto di
Capodanno del 2010,direttore ormai di casa nella gloriosa istituzione
veneziana,sulla quale sono puntati gli occhi di milioni di appassionati
europei della bell’arte del canto e della sinfonia, grazie alla
collaborazione
con “Rai Uno”, cui si deve il broadcasting internazionale
dell’evento.
A questo proposito,al di là della piccola polemica a distanza con e su
Vienna, è innegabile che la nuova politica culturale promossa in questi
ultimi anni stia dando frutti di livello eccelso e che il Concerto di
Capodanno sia tra le punte di diamante del nuovo corso, cui è doveroso
aggiungere almeno il recente “duello” Verdi versus Wagner (che duello non è
stato, ma semmai sinergia produttiva) nella presentazione in
contemporanea di “Otello” e “Tristan und Isolde”, la continuazione delle
stesse celebrazioni ancora in corso, il trittico mozartiano,sempre
attesissimo, l’apertura alla musica “absoluta” di Philip Glass e la
promozione di una linea scenografico-registica (Micheli, Michieletto), che
riesce a spingersi oltre ogni limite visivo e tecnico-realizzativo, senza
peraltro mettere a rischio l’irrinunciabile continuità con la tradizione
(del testo, delle precedenti produzioni, della Fenice stessa).
La realizzazione dell’evento - vicina alla perfezione - richiede solo che, a
partire dai prossimi anni, l’emittente nazionale trasmetta l’intero
concerto, includendo nella diretta anche l’introduzione
sinfonica,assolutamente godibile e, a nostro giudizio, rispettosa dei tempi
e delle logiche televisive. Un plauso,quindi, alla direzione artistica della
Fenice e al sovrintendente Cristiano Chiarot, nella speranza che la sinergia
cui si accennava continui nell’immediato futuro, spinta da risultati - anche
sotto il non secondario aspetto degli incassi - andati ben al di là delle
aspettative.

Entriamo dunque nel 2013 con impeto assolutamente
verdiano (appena ereditato dall’“Otello), qui rappresentato attraverso le
linee espressive di opere come “Aida”, ”I Vespri Siciliani”, ”Rigoletto”, ”I
Lombardi alla prima Crociata”, “Traviata” e “Nabucco”: “Va’ pensiero” e
“Libiam ne’lieti calici” sono l’obbligatorio e necessario incipit del nuovo
anno, posti a conclusione del programma, come da recente tradizione. Il
Gardiner degli “esordi” - almeno in quanto a fama mondiale- risorge col suo
sfacciato e graditissimo approccio radicalmente filologico, proponendo
addirittura la Sinfonia prevista dal Maestro di Busseto, a mo’ di
introduzione, per la prima di “Aida” del 1872 (Verona), “azzardo” tentato,
in passato, da Claudio Abbado e, ancora prima, addirittura da Toscanini.Una
piccola perla, che sarà forse più lunga del “Preludio” canonico (forse
troppo lunga, in confronto a quello) e conterrà troppi temi, cinque rispetto
a tre, ma ascoltata da sola suona familiare e piacevolmente nuova.Familiare
perché anticipa il Radames in 6/8 che poi si ascolta nell’opera e nuova
perché il Verdi di Gardiner non è quello del 2010 (che rallentava i tempi,
per intenderci) e quindi ci appare subito più… verdiano!
Il Tchaikovsky della “Piccola Russia” (cioè l’Ucraina), Sinfonia n.2 in Do
minore composta anch’essa nel 1872, non vede trattenuti, come ci si sarebbe
potuto aspettare, i tratti folklorici e marziali dei quattro
movimenti, segnatamente il secondo e il terzo. Gardiner, a dire il vero,
disegna l’“Andante sostenuto” con un incipit e un finale meditativi,
rallentati, salvo poi concedersi all’“allegrezza” dei due successivi
passaggi.
Il primo movimento, con l’affascinante sviluppo inconcluso del tema
principale, è quello che ci convince maggiormente. Da questo momento in poi
la parata sonora tchaikovskiana si sviluppa attraversando una marcia
- 2° mov., “Andantino marziale”, non a caso, costruito su un tema
dell’opera “Undina” - e una successione di Scherzo, Trio e Coda nella
stessa tonalità dell’“Andante”, cioè il do minore. Lo “Scherzo” del
direttore britannico - 3° movimento - è effettivamente molto, molto vivace,
come da indicazione dell’autore, che considerava questa composizione
quadripartita la sua migliore.
Addirittura vicina alla perfezione, almeno nella costruzione formale,
attitudine nella quale, a suo dire, non eccelleva. Sta di fatto che Sir
Gardiner ha egli stesso strutturato il primo tempo del concerto in maniera
impeccabile, come forse non gli era riuscito tre anni fa. La scelta
bipartita del direttore - prima dei brevi segmenti e delle continue
interruzioni della seconda parte - è consona a una fruizione e a un ascolto
concentrato e attento da parte del pubblico. Inoltre, un Tchaikovsky così
allegro, addirittura ispiratosi alla tradizione folclorica ucraina per le
canzoni di cui vengono ripresi i temi nel I° e nel IV°, si lega molto bene
al Verdi che precede e segue.

Osservando l’orologio della Fenice - è passata poco meno di un’ora
dall’inizio del concerto - per un attimo sospettiamo che per una volta
Gardiner sia stato anti-filologico, proponendoci la versione rivista e più
breve della Seconda (una trentina di minuti contro i quaranta
dell’originale): ci sbagliamo.
Le luci si alzano, un po’ troppo, per favorire la ripresa televisiva:notiamo
almeno cinque telecamere tra palcoscenico e palchi, senza contare quella
manovrata a mano, quasi una steady-cam, dall’operatore Rai.
La seconda parte del concerto è anch’essa più equilibrata rispetto al 2010,
prevedendo l’alternanza di momenti orchestrali e arie cantate, solo dal coro
o dai bravissimi solisti:Desirée Rancatore e Saimir Pirgu. Dopo il “Galop”
dal rossiniano ”Siège de Corinthe”, che stabilisce la temperatura espressiva
di ciò che seguirà introducendo l’orchestra, è il momento del coro - “Di
Madride noi siam mattadori”, dalla “Traviata” - condotto al galoppo
da Gardiner, diremmo il nuovo Gardiner sceso a patti coi tempi verdiani, che
qui paiono addirittura accelerati. Il testo e il canto del coro, al di là
del “Bue grasso” di Parigi, del “circo dei tori” di Madrid e di un generale
disincanto, punta a sottolineare i più miti cori:d’altronde, in
prossimità del Capodanno, ”a noi basta folleggiar…”.Ecco allora che la
conversione gardineriana sembra completa, con la sua folle
velocizzazione.

I "Vespri Siciliani”
vennero presentati per la prima volta, in italiano, proprio alla Fenice, il
26 dicembre 1855, precisamente 157 anni fa: oltre alla dimostrata
conversione del direttore britannico dai tempi lenti ai veloci (in Verdi),
riteniamo che, nellascelta dei brani, Sir Gardiner continui a essere
puntiglioso e filologico, stabilendo connessioni e riferimenti, quasi
nell’intento di creare un sottotesto da rileggere con calma dopo il concerto
e impossibile da cogliere al momento dell’esecuzione.
Desirèe Rancatore esordisce quindi con “Merci, jeunes amies”/”Mercé,
dilette amiche”, che nel contesto dell’opera è invece il saluto finale.
Senza scomodare esempi inarrivabili di Elene passate - Callas, tanto per
dirne una - siamo peraltro testimoni di un’ottima performance vocale,
d’agilità impressionante e intonazione perfetta.
Dopo l’esordio di Pirgu in “Questa o quella per me pari son”, che (dal
”Rigoletto”) sembra farci rientrare in una dimensione di maggior leggerezza
consona all’occasione, ascoltiamo il “Preludio” dell’“Attila” - ancora un
esordio alla Fenice!per la precisione, il 17 marzo del 1846 - in cui
Gardiner pare semplicemente volare alto nella nuova pausa solo orchestrale,
che anticipa l’opera ambientata ad Aquileia.
Inutile dire che l’ossessione storicista del direttore d’orchestra non abbia
tralasciato nulla neanche in questo caso:si deve infatti alla distruzione di
Aquileia e Padova, da parte dello stesso Attila, la nascita di Venezia, che,
ancora in forma di semplici ma inattaccabili isole di laguna, accolse le
popolazioni fuggiasche. La direzione è magistrale, tutta giocata su un
registro timbrico medio, trattenuto, poco presente in questa seconda parte.

“O Signore, dal tetto
natio”, in perfetta successione cronologico-narrativa di un secondo
sottotesto (questa volta non è la sequenza di “prime” alla Fenice o la serie
di riferimenti a Venezia, ma la Storia d’Italia nel suo complesso, tra
invasioni subite e colonizzazioni agìte), viene ripreso da “I Lombardi alla
prima Crociata” e collega meravigliosamente l’“Attila” al secondo preludio,
questa volta della “Traviata”, che reintroduce il coro prima del finale
tutto vocale anche coi solisti.
Gardiner, che traghetta il programma dalla pausa orchestrale, quasi una
magica oasi, sino alla “Sempre libera degg’io” - secondo momento di bravura
della Rancatore, che pare oscurare, per un attimo, la performance di Pirgu -
sembra limitarsi alle indicazioni dinamiche e di coloritura, ma in realtà
infonde alla sua lettura un pathos raccolto e inaspettato, dopo le
cavalcate precedenti. Il direttore è seguìto con attenzione sia dall'
orchestra - e in particolare dagli archi, concentrati e assai espressivi -
che dall’ottimo coro, preparato e diretto dal mastro Moretti.
Andiamo verso la conclusione, superata una non significativa “La mia letizia
infondere” ancora da “I Lombardi”, con l’inevitabile “Va' Pensiero”, che ci
permette di assestarci sulla grazia del "largo", poi ci prende e sospinge
ottimisticamente verso il “Libiam”, quindi verso il nuovo anno.
“Va’ pensiero", dal Nabucco, è reso da Gardiner con la tranquilla
maestosità che gli si addice, ed è bello perdersi in questo mare poliritmico
- per così dire - talmente leggero da non permetterci di accorgersi delle
strutture complesse che gli sono sottese.
"Libiamo nei lieti calici”
da La Traviata, ancora una volta richiesto come bis, chiude un
Concerto di Capodanno decisamente superiore alle attese. |