VIII FAR
EAST FESTIVAL UDINE |
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RULES OF DATING (Le regole del corteggiamento) di Han Jae-rim Sud Corea, 2005, 118'
Scelto come film d'apertura del Festival del Lontano Oriente, Rules of Dating è un'intelligente riflessione sulle relazioni tra uomo e donna e sull'importanza e la problematicità del sesso all'interno di queste. Il tema del film però, va ad intrecciarsi anche con un'altra spinosa questione che è quella delle molestie sessuali sul posto di lavoro. L'esordiente regista coreano crea dunque una pellicola complessa che tocca la sfera dei sentimenti, delle frustrazioni, dell'istinto, e anche - o forse soprattutto – dell'irrazionalità dei comportamenti umani. I protagonisti del film sono Hong (vista in Old boy) e Yu-rim. Lei è una studentessa tirocinante un po' in ritardo nel percorso degli studi, lui è il suo supervisore, nonché un insegnante farfallone di un anno più giovane di lei. Da subito Yu-rim prende a corteggiare Hong e a far di tutto per riuscire a sedurla ma lei non sembra essere interessata. Finché una sera nel corso della gita scolastica tra i due succede qualcosa; il distacco di Hong viene meno, vacilla e lascia il posto a qualcosa d'altro. Se si tratta di un cedimento mosso da esasperazione o piuttosto di un gesto istintivo e irrazionale, la stessa Hong sembra non saperlo. Tuttavia, ciò che è certo è che, di lì in poi, nonostante la riluttanza di lei, tra i due nasce una complicità che diventa via via qualcosa di più intenso fino a trasformarsi in una vera e propria relazione clandestina; inopportuna non solo per via dei reciproci fidanzati ma anche a causa dei possibili pettegolezzi sul posto di lavoro. Il passato di Hong infatti cela dei fantasmi irrequieti pronti a saltar fuori per rovesciare la vita di entrambi i protagonisti. Giocato sull'ambiguità dei personaggi e della natura della loro relazione, Rules of Dating non dà giudizi e non offre morali, ma mostra piuttosto la contraddittorietà del comportamento umano e le ragioni dell'istinto che, spesso irreprimibili, ci obbligano ad agire in un certo modo senza ponderare se si tratti di un agire giusto o sbagliato. Al di là dell'azione in sé, però, ciascun gesto porta con sè delle conseguenze, e la cosa sorprendente è che, a volte, anche gli intenti meno nobili possono portare a conseguenze benefiche. Una seduzione poco cavalleresca può dunque trasformarsi in un rapporto sincero, così come una denuncia forzata può diventare una possibilità di riscatto, in modo tale che, chi punito chi liberato, si possa infine tornare a vivere. 22/30
IMPRINT (L'impronta) di Miike Takashi Usa/Giappone, 2005, 63', episodio per la serie TV Masters Of Horror
Applauditissimo ospite dell'edizione 2006 del Far East, Takashi Miike è giunto sino a Udine dal Giappone per presentare il suo ultimo film girato appositamente per la serie TV americana Masters of Horror. Peccato però che Imprint sia stato infine rifiutato dal canale committente Showtime perchè giudicato eccessivo ed inadeguato; che sia stata effettivamente la violenza del film a infastidire o piuttosto la critica politica che esso contiene non ci è dato di sapere. Ad ogni modo è stato scritto un altro capitolo della carriera cinematografica di questo prolifico regista già diventato cult grazie ad alcuni dei suoi precedenti lavori come Visitor Q o Ichi the killer. Se già si conoscono i film di Miike, non ci si stupirà troppo dell'atmosfera da girone infernale che apre Imprint; miasmi e cadaveri di donne incinte sono la cornice iniziale del film che si presenta da subito tanto cupo quanto onirico. Cristopher, il protagonista americano, sta sbarcando su un'isola dannata per recuperare Kokomo, una ragazza del bordello di cui si innamorò e alla quale promise di tornare a salvarla. Al suo arrivo però Kokomo non si trova più in quel luogo, e Cristopher, costretto a passare la notte sull'isola, convoca un'altra ragazza del postribolo per sapere di più su quanto è accaduto alla sua amata. La prostituta in questione è una donna ambigua e misteriosa ed è anche colei che, più di tutte le altre, conosce la vera storia di Kokomo, poichè la sua stessa vicenda è legata a quella della ragazza. Il percorso per arrivare alla verità però è tortuoso, e solo dopo due racconti fatti di omissioni e mezze verità la prostituta ammette come sono andati veramente i fatti, rivelando al tempo stesso anche il terribile segreto della sua sorella gemella, un essere sadico che vive letteralmente nella sua testa e che la obbliga a commettere azioni terribili. è l'elemento che Miike sfrutta per smorzare la tensione di questi provanti 63 minuti; un piccolo mostro ditato che è anche un importante segno di autoironia e di umorismo nero in realtà quasi sempre presente nel suo cinema. Come sempre presenti sono la violenza e la dissoluzione ed, in questo, Imprint non è certo un'eccezione, anzi. L'episodio di Miike porta lo spettatore in un mondo asfittico, angoscioso, e senza speranza. Le scene della tortura e quelle dei feti morti non sono altro che il picco di un sentimento di miseria, disperazione, e immoralità che domina per l'intera durata del film. Sembra un mondo involuto, quello rappresentato da Miike, un mondo degenerato, e portato avanti dall'istinto; un luogo dove le prostitute stanno in gabbia e vengono seviziate con l'aiuto delle compagne; un luogo dove la gente è crudele e odiosa, tanto da non saper più tollerare la gentilezza, oppure è talmente povera da dover vivere alla stregua dei selvaggi in qualche luogo dimenticato da Dio. In buona sostanza, un mondo terribile, ma il terribile come ha detto lo stesso regista al festival sta nel suo realismo, e nel suo esserci in fondo molto più vicino di quanto non sembri. I luoghi che mostra l'autore sembrano non avere una collocazione geografica e temporale; i volti che mostra sembrano essere tutti stralunati; ed i colori che utilizza sono perlopiù acidi e surreali. Ma se eludiamo questi aspetti e ricordiamo come ogni rappresentazione parta di fatto dalla realtà, non potremo negare di sentirci cadere da una nuvola, atterrando peraltro, su un suolo decisamente duro; a quel punto ci renderemo conto della verità delle parole e delle immagini di Miike, e realizzeremo con un rapido calcolo come la parola “eccessivo” venga usata troppo spesso in modo inappropriato. 20/30
HONG KONG NOCTURNE di Inoue Umetsugu Hong Kong, 1967, 129’
Tre giovani sorelle cantanti-ballerine ed un padre bizzarro che si esibisce in numeri di magia ormai superati. Sono questi i protagonisti del film musicale Hong Kong Nocturne che tratta allo stesso tempo la questione dell’importanza della famiglia, e quella del sacrificio per la carriera, in un’odissea formativa che le tre giovani donne dovranno vivere, ciascuna, ovviamente, a modo proprio. E non mancano nemmeno le vicende amorose, che anzi sono un leit motiv del film e una guida per le tre sorelle, continuamente chiamate a scegliere, e a decidere per il proprio futuro, in una lotta continua tra sentimento e saggezza, rinuncia e ostinazione. Gli anni 60 e l’incombenza dei 70 sono visibili appieno in questa pellicola che, se da un lato, vista dai giorni nostri, fa sorridere per la patinata compostezza dei suoi personaggi, dall’altro diverte per i colori sgargianti, i balli A-go-go, e le ambientazioni kitsch (per noi) che compaiono dal nulla quando un personaggio prende a cantare con occhi sognanti il proprio pezzo da dentro una vasca da bagno. Pur aprendosi con un registro scanzonato da commedia, il film non tralascia momenti drammatici, funzionali alla riflessione del pubblico e al messaggio da lanciare. Complessivamente un’opera completa e godibile, più di due ore di film che non accusano il colpo della loro data, ed i cui luccichii risultano più di tutto affascinanti. 24/30
ISABELLA di Pang Ho-cheung Hong Kong, 2006, 110’
Ambientato nel delicato periodo del ritorno di Macao alla Cina, il quarto film di Pang Ho-cheung parla di una sgangherata e ambigua relazione tra un una ragazza neanche maggiorenne, Yan, ed un poliziotto che sembra essere suo padre. Shing e Yan si conoscono la notte stessa che vanno a letto insieme, anche se di fatto Yan segue già da tempo il padre, rimanendo però sempre in disparte. Quando la ragazza gli dice di essere sua figlia, Shing non sa come reagire. Poco a poco però, pur tra sentimenti contrastanti, i due cominciano a frequentarsi. Shing aiuta Yan a recuperare il suo cane, Isabella, (che però è scomparso), e Yan va a vivere con Shing ricominciando anche a frequentare la scuola. Anche se con qualche scena un po’ forzata e ripetitiva (quando ad esempio Shing insegna a Yang ad andare in vespa) il film gode di un’atmosfera leggera ed intima e di un’ambientazione (la parte vecchia di Macao) calda e desolata, che ben s’intreccia con l’ambiguità dei personaggi. Di una certa bellezza sono anche alcune inquadrature più ricercate, come le gambe di Yan viste dall’interno del frigorifero, o la conta degli oggetti per il viaggio in Thailandia che fa la stessa Yan, disponendoli per terra attorno a sé, come se fossero raggi di sole. Il gioco di richiami invece sul nome che fa da titolo al film è presto spiegato dagli stessi personaggi. Isabella è il nome del cane di Yan, ma era anche il nome da giovane di sua madre. Yan promette a sé stessa che Isabella non verrà mai più abbandonata perché vuole riscattare l’abbandono di sua madre, ma anche il suo. Non a caso quando Shing minaccia di andare in Thailandia senza di lei, Yan gli chiede esplicitamente di non lasciarla più da sola. Tra sbornie e bisticci i due troveranno l’equilibrio in una sorta di rapporto adolescenziale, allegro e lacunoso, che cela in realtà, sotto le bravate da ragazzini, un legame ben più profondo ed un bisogno umano che sia Shing che Yan sentono, pur nella loro difficoltà di accettarlo. 22/30
2 YOUNG (Troppo Giovane) di Derek Yee Hong Kong, 2005, 107'
Divenuto uno dei maggiori successi di botteghino del 2005, 2 Young è la storia semplice e tormentata di due adolescenti, Nam e Fu. Nam è una ragazza ricca e inseperta, desiderosa di conoscere tutto quello che la sua vita di lusso le ha nascosto; mentre Fu è un ragazzo ingenuo e ripetente che vive in un quartiere popolare. Nonostante le molte diversità, tra i due nasce una storia d'amore che culmina nella festa di capodanno, quando i due decidono di trascorrere la notte insieme. In quell'occasione però Nam rimane incinta e decide di tenere il bambino per crearsi una sua famigila assieme a Fu. I rispettivi genitori però si oppongono al progetto della coppia, costringendola a fuggire in una casa abbandonata, ed a vivere nella più totale precarietà. Solo in questi duri mesi Nam e Fu si rendono conto di ciò a cui sono andati incontro e comprendono finalmente anche il motivo dell'atteggiamento dei loro genitori. Tuttavia il desiderio di stare insieme rimane forte e li spinge a stringere i denti fino a quando la madre il padre di Fu non riescono a scovarli... Se pur molto prevedibile, la vicenda del film è raccontata in maniera godibile, con un progressivo aumento di pathos e drammaticità. Molto azzeccati i contrappunti comici - quasi sempre messi in atto dalla genuina famiglia di Fu - in grado di alleggerire la tensione di una scena senza tuttavia privarla di intensità. Buona l'interpretazione degli attori e molto sobria la regia. Chiara, forse anche troppo, la didascalia sottesa nella storia e, in particolare nel finale a sorpresa, quando, per far valere le ragioni di tutti, vengono alla luce le rispettive ammende (del padre di Nam) e punizioni (a Fu e, indirettamente anche a Nam). 20/30
SEE YOU AFTER SCHOOL (Ci vediamo dopo la scuola) di Lee Seok-hoon Sud Corea, 2006, 103'
Tutti quanti sappiamo come la scuola possa essere odiosa e piena di pericoli. Compiti in classe, insegnanti frustrati, ragazze smorfiose e bulli, non sono altro che una parte delle difficoltà che si incontrano ogni giorno tra le aule e i corridoi. Ma se a vivere tutto questo è una sorta di perdente cronico, ecco che la media di guai quotidiani inizia a crescere in maniera esponenziale. è il caso del povero Namgung Dal che, nonostante esca fresco da una terapia ristabilizzante, non riesce ad evitare di cacciarsi nei pasticci fin dal primo giorno di scuola; “see you after school” è appunto la minaccia che gli viene rivolta dal più duro degli studenti il quale, per punirlo della sua iintromissione mentre molestava una ragazza, gli dà appuntamento sul tetto della scuola al termine delle lezioni per pareggiare i conti. Di lì l'odissea del protagonista per trovare un escamotage che gli permetta di evitare l'incontro. Come ci si può immaginare sarà una giornata lunghissima per Dal che si ritroverà ad aver paura non solo del terribile bullo in questione, ma anche di sé stesso, o meglio del proprio lato più ipocrita e vigliacco. Sfruttando una comicità demente e fumettistica, il regista trascina lo spettatore nello spietato mondo dei liceali dove crescere e confrontarsi sono una fatica quasi più grossa di quella dello studio. L'importante però, sembra voler dire l'autore, è il coraggio di essere se stessi e arrivare fino in fondo. Aforisma di grande moralità ma, in tutta sincerità, non troppo credibile. Come non troppo credibile è il pugno che sferra Dal all'ultimo momento riuscendo ad atterrare con un colpo solo il duro della scuola. Tuttavia ci piace credere che in un mondo di assurde sfortune possano anche avvenire miracoli imprevisti che facciano trionfare la giustizia e premino l'audacia. 19/30
THE SHOPAHOLICS (I malati di shopping) di Wai Ka-fai Hong Kong, 2006, 93'
La dipendenza da shopping è una malattia realmente possibile nella colorata Hong Kong dipinta da Wai Ka-fai, così come lo sono la “decidofobia”, o il morboso attaccamento al denaro. A dimostrarcelo sono i personaggi di questo recentissimo film attraverso le loro vicende sentimentali e terapeutiche che si svolgono frenetiche sullo sfondo quasi onnipresente di un centro commerciale. La protagonista della pellicola è Fong Fong-fong, una dipendente da shopping, incurabile compratrice, che proprio per via della sua malattia non riesce a tenersi un lavoro e finisce con l’indebitarsi fino al collo. A risollevarla dai guai sarà l’incontro con Choosey Lee, uno psicoterapeuta affetto dall’incapacità di scegliere che l’accoglierà nel suo studio nella doppia veste di paziente/assistente. Le cose tra i due sembrano avviarsi verso una tenera svolta quando per caso Fong-fong conosce Richie Ho, il ricco rampollo, figlio di un ‘parsimonioso’ uomo d’affari, che prende a farle la corte. Anche Richie ovviamente è vittima di una patologia: nel suo caso si tratta di una sorta di schizofrenia che lo divide tra il desiderio di spendere e quello di risparmiare soldi. I due rivali prendono così a contendersi la mano di Fong-fong in un vortice di inseguimenti che renderà sempre meno chiari e definiti gli intenti di ciascuno. A gestire dall’alto la situazione sopraggiungerà infine una celebre psicologa di scuola junghiana amante anche questa dello shopping più disinvolto. Nonostante il ritmo decisamente incalzante il film risulta nell’insieme troppo diluito e rischia di annoiare lo spettatore; la logica di assurdità che sottende la pellicola regge infatti solo per metà ripetendosi eccessivamente nella seconda parte, specie negli scambi di ruoli al momento del matrimonio. Shopaholic punta al divertimento più frivolo e immediato intrecciandosi però anche al tema delle nevrosi urbane moderne, attraverso le quali si può leggere una lieve critica alla frenesia dei ritmi Hongkonghesi. Tuttavia il regista si dimostra estremamente indulgente verso queste vittime della vita moderna, le giustifica e le comprende senza incolparle della loro inettitudine; come a dire che al giorno d’oggi l’anormale è diventato il normale, e che senza una mania di qualche tipo è impossibile non solo scegliersi un marito adatto, ma anche semplicemente andare avanti tutti i giorni nella vita di sempre. 18/30
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