12.mo far east film festival
Udine, 23 aprile / 01 maggio 2010

 

recensioni

 

di Simona PACE

> Dream Home di Pang Ho-cheung

> The Bugs Detective di Sato Sakichi

> Sophie's Revenge di Eva Jin

> Fire of Conscience di Dante Lam

 

Dream Home
di
Pang Ho-cheung
Hong Kong 2010, 96'

 

28/30

La negazione coatta del proprio sogno, la mutilazione inevitabile del desiderio e lo sbarramento di ogni possibilità di concretizzazione del proprio obiettivo, guastano gli umani propositi di Cheng Lai-sheung (Josie Ho) protagonista dell'attesissimo, violento e impietoso, Dream Home.

Il film di Pang Ho-cheung, giovane e affermato regista di Hong Kong, ospite fisso del Far East Film Festival dal suo primo You shoot, I shoot (2001), è tutt'altro che un semplice e scontato slasher movie.

La prerogativa dell'ultraviolenza, della violenza fine a se stessa spesso gratuita e grossolana, eccessiva e dozzinale nella sua rappresentazione, solitamente confacente alla produzione cinematografica di serie B, viene abilmente sublimata dall'eleganza estrema e inusuale in questi termini con cui il regista firma la pellicola e dalla validità del sottotesto chiaramente improntato su ragioni di denuncia sociale e politica.

Cheng nasce e cresce in uno dei quartieri anonimi e sovraffollati di Hong Kong.

Sin da bambina il suo sguardo, come quello della sua famiglia, agognante le straordinarie vedute di Victoria Bay, è costretto invece a rimanere schiavo dell'impotenza e delle ristrettezze economiche.

I numerosi e volutamente disordinati flashback ci riportano direttamente agli anni Novanta, all'infanzia della nostra protagonista e agli abusivi e prepotenti interventi di riqualificazione immobiliare e ai mali sociali conseguenti, che tutta la comunità del posto è obbligata a subire.

Spinta inizialmente da un forte senso di responsabilità nei confronti del padre malato e dalle tacite lamentele dei suoi familiari, Cheung comincia a darsi da fare e ad abbracciare più lavori contemporaneamente, con lo scopo di accumulare il necessario utile a comprare un costoso appartamento con vista sul porto, in un moderno complesso residenziale dei quartieri alti.

Il suo desiderio, profondamente radicato e morbosamente covato, stridendo per evidenti incompatibilità con la struttura sociale da un lato e le scarse possibilità economiche dall'altro, si trasforma presto in disagio del non possesso, in vera e propria ossessione.

La presenza e la reiterazione dell'elemento ossessivo vengono suggerite da Pang già nei titoli di testa, quando compaiono e si avvicendano profili di palazzi anonimi e opprimenti.

Cheung, all'apparenza una tranquilla onesta e indefessa lavoratrice, nasconde in realtà una brutale vocazione assassina che la porterà a compiere, con indifferenza e anonima spietatezza, atroci delitti, sfogando la propria efferatezza sui residenti ed eventuali sfortunati visitatori del famoso palazzo da lei agognato.

L'atmosfera sinistra, che abiterà l'intera pellicola, si stabilisce fin dai primi fotogrammi, che raccontano il terribile assassinio della guardia di sicurezza dell'elegante condominio.

Gli omicidi, da lì in poi, proseguono ai piani superiori con crescente crudeltà e incontrollabile freddezza: la camera da presa non risparmia neanche i particolari della struggente agonia di una donna incinta; in assoluto la scena meno sopportabile dell'intero film. Il registro stilistico eccessivo, utilizzato da Pang Ho-cheung, e l'insistenza nella rappresentazione della violenza non sono però mero gioco visivo, puro diletto.

La violenza, in questo caso senza limiti né censure (in realtà il film, a Hong Kong, non ha ancora raggiunto le sale poiché bloccato dalla censura) è una chiara metafora drammatica, quasi una catarsi necessaria. è anche l'approdo ultimo di una mente prima lucida e testarda ora malata, di un desiderio incancrenito ormai corrotto.

è una vivida descrizione della psicopatia del soggetto frustrato: l'esplosione dell'aggressività di Cheung è direttamente legata all'impossibilità di concretizzare il rapporto con l'oggetto bramato; nasce come gratificazione immediata sostitutiva e per tanto si propone gelida, meccanica.

La violenza di Cheung manca di rimorso, di qualsiasi minimo segno di empatia nei confronti delle vittime, è pura alienazione. è il risultato, appunto, di un sogno incubato e marcio.

Ma la violenza, assolutamente realistica, non si limita al solo livello visivo,coinvolge in toto lo spettatore obbligandolo si, alla fruizione coatta di immagini raccapriccianti, ma spingendolo a riflettere sui motivi sociali e politici, alla base di tutto.

Si leggono tra le righe i riferimenti alla crisi finanziaria del paese del 2007: allo sviluppo immobiliare ipertrofico, l'aumento dei prezzi e il blocco degli stipendi, con conseguente crisi del ceto medio-basso.

D'altronde Pang non è nuovo alle tematiche sociali, affrontate sullo schermo sin dall'esordio, intervallate da black comedy (e anche Dream Home in alcune scene conserva lo spirito dell'umorismo macabro) e opere drammatiche.

Costruito assieme a Yu Lik-wai, storico direttore della fotografia, e all'italiano Gabriele Roberto, che ne ha curato le musiche Dream Home, figlio di un cinema radicale e anche abbastanza inusuale nella cinematografia hongkonghese, risulta un film scrupolosamente costruito e tutt'altro che banale nel suo essere orrorifico.

Nel suo genere: originale.

Unico suggerimento (mosso dallo stesso Pang):  vedere il film a stomaco rigorosamente vuoto.

the bugs detective

di Sato Sakichi

Giappone 2010, 90'

 

21/30

Aikawa Sho, attore nipponico duro e imperturbabile protagonista di film polizieschi e d'azione destinati quasi esclusivamente all'home video, per una curiosa e poco clemente legge del contrappasso, interpreta stavolta uno stravagante detective, Yoshida Yoshimi, dotato di un talento unico e impressionante: parlare con gli insetti.
Non è solo capace di ascoltarne le vocine e interloquire con essi ma in qualità di detective privato si prodiga anche per risolverne i problemi di coppia andando a spiare le scarafaggine fedifraghe o ricercarno insetti scomparsi.
Affiancato da due degni “assistenti”, il pappagallo Pitan e il cane Mugi, dotati naturalmente anch'essi di parola ma di un'intelligenza volutamente scarsa, Yoshida, parodica versione del più famoso Sherlock Holmes, risolverà facilmente un caso impossibile rintracciando una cimice puzzolente scomparsa.

Coinvolto poi in una cupa storia, a causa dell'esito catastrofico di un'esplosione apocalittica risalente ad un tempo e un luogo imprecisato, Yoshida viene convinto da un'improbabile poliziotta (Oyamada Sayuri) e da un coleottero buprestide investigatore di essere in realtà il famoso e invincibile, allora disperso, uomo “Tanaka”.
Confuso dalla doppia irrisolvibile personalità e convinto, dagli aiutanti, di avere in mano il destino del mondo, il nostro protagonista farà il possibile per evitare la distruzione dell'universo, che verrà sventata però, solo grazie al vero Tanaka che irromperà alla fine in scena.
Stranito e provato dalla vicenda (tanto quanto lo spettatore) Yoshida tornerà a dedicarsi alle simpatiche e assurde storie dei suoi amici insetti, rispondendo a pieno alla propria vocazione entomologica.
Tra coleotteri in amore, cimici antipatiche e cicale disperate per amore, e insistenti primi piani di insetti, resi parlanti con amatoriali interventi in computer graphics, il film di Sato Sakichi, ispirato ad un popolare manga comico di Aozora Daichi, è uno strambo e abbastanza dubbio divertissement.
The Bugs Detective, tra qualche risata e qualche sbadiglio, è un film tutto sommato umile e non pretenzioso, girato in digitale e a bassissimo costo, che vuole solo farsi carinamente beffe e giocare con la tradizionale passione giapponese per il mondo degli insetti.

Sophie's Revenge

di Eva Jin

Cina/Corea del Sud 2009, 100'

 

24/30

Eccentrico e colorato, Sophie's Revenge, nuovo film dell'effervescente ed eclettica Eva Jin, già vignettista e musicista pop, inaugura garbatamente la dodicesima edizione del Far East Film Festival.
Sophie (Zhang Ziyi, anche produttrice del film), romantica e buffa protagonista di questa costosa co-produzione cino-coreana già campione di incassi in patria, organizza la propria vendetta attorno al tentativo di punire prima, e riconquistare poi, il fidanzato fedifrago, il giovane e avvenente chirurgo Jeff (Seo Ji-Seob, star sudcoreana), che le ha preferito, a pochi giorni dalle nozze, la bella e famosa ma oltremodo scostante attrice Joanna (Fan Bingbing).
Disperata per l'abbandono e ossessionata dal fantasma dell'ex la strampalata protagonista, con l'aiuto delle due amiche del cuore decisamente sopra le righe e del presunto ex fidanzato di Joanna, il fotografo Gordon (Peter Ho), costruirà paradossali strategie punitive e bizzarre manovre di riavvicinamento.
I macchinosi e divertenti piani di Sophie, da lei raccolti in un libro manga con l'intenzione di creare un vero e proprio “manuale d'amore”, si riveleranno rigorosamente fallimentari ma l'aiuteranno indirettamente a comprendere le sue nuove priorità che saranno, alla fine del film, come da copione, prevedibilmente cambiate...
La commedia rosa di Eva Jin, arricchita da scenografie, costumi e trucchi modellati sulla falsariga di Sex And The City, è tutt'altro che un rigoroso prodotto Made in China.
Ricalca infatti, alla perfezione, tante sofisticated comedy hollywoodiane (Innamorati Cronici, per esempio) e vanta uno stile decisamente occidentalizzato, non solo a livello narrativo e visivo (è un universo ultragloblale e consumistico quello rappresentato), ma anche e soprattutto a livello produttivo (dal cast stellare alle risorse economiche impiegate, decisamente imponenti).
Gli effetti speciali, l'uso dell'animazione e gli inserti fantastici attentamente studiati, atti ad amplificare l'amenità e la simpatica goffaggine della protagonista e del suo mondo, confermano quello che il titolo originale Fei Chang Wan Mei ovvero “Estremamente perfetto”, in maniera ironica e autoreferenziale suggerisce, alludendo chiaramente alla perfezione della forma del film stesso.
Il rigore e la ricercatezza della superficie però non bastano a riscattare le sorti del film che, nonostante ostenti la presunzione di un'estetica brillante, rimane semplicemente una classica commedia sentimentale, decisamente scontata e tutt'altro che originale.

Fire of  Conscience

di Dante Lam

Hong Kong 2010, 106'

 

26/30

Gli straordinari fotogrammi d'apertura di Fire of Conscience, intensi fermo immagine resi elegantemente originali grazie all'intervento della computer grafica e da una sapiente fotografia, anticipano e descrivono il senso di indeterminatezza e di umano turbamento che caratterizzerà le sorti e i pensieri dei personaggi in scena.

Il limbo visivo raccontato nell'incipit della nuova pellicola di Dante Lam, reduce dal successo di The Beast Stalker (2008), costoso thriller high-concept, fa da sfondo all'intreccio di corruzione e morte, tra chiassosi inseguimenti e truci sparatorie, che vedrà impegnati agenti in borghese dalla dubbia moralità.

Manfred (Leon Lai) è un poliziotto sciatto e all'apparenza indisponente, in lutto per la morte della moglie incinta e con una vendetta da compiere per castigarne gli assassini.

Vive sulla sua auto e non ha più nulla da perdere. Rimane però fedele al suo ruolo e decide di indagare sull'omicidio di una prostituta e su una serie di incongruenze che l'evento porterà alla luce e che coinvolgeranno anche i suoi più intimi collaboratori.

Nel dispendioso gioco di pedinamenti e intricate investigazioni, Manfred sarà affiancato da Kee, agente dall'aspetto elegante e composto, in realtà arrogantemente ambizioso e, come si vedrà, profondamente corrotto.

La forzata cooperazione tra i due, individui antitetici per caratteristiche e scopi, diventerà dura lotta, una vera e propria caccia quando si scopriranno i misfatti di Kee.

Il ritmo incalzante e sostenuto del film, decisamente adrenalinico, e la veloce struttura dell'azione (con accenni ai classici del genere) s'incastrano però, stridendo, con un intreccio stratificato e complesso forse non sempre facilmente intelligibile, a discapito di una piena e convincente riuscita.

Ma l'intenzione di fondo di questo, comunque brillante, poliziesco/noir di Lam, scritto a quattro mani con Jack Ng, è in ogni caso meritevole di approfondimento.

Evocando un'antica leggenda hongkonghese, che lo spirito delle feste tradizionali cinesi commemorano (come nel finale), secondo la quale per sconfiggere un'epidemia di peste si è dovuti ricorrere ad un drago di fuoco, gli autori accennano implicitamente al fuoco che risiede dentro ognuno di noi e che è impossibile da estinguere, alla pari dei nostri più infimi e corrotti pensieri.

Non esiste più nell'uomo moderno, la cui coscienza è minata dall'indecidibilità etica, possibilità di discernere totalmente il Bene dal Male.

Esiste solo, in ciascuno di noi, come Kee ricorda nell'ultima sequenza a Manfred, un'ambigua commistione per cui, rifiutando ogni scontato lieto fine, “i prossimi (a sbagliare o morire) potremmo essere noi...”.

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Udine, 23 aprile / 01 maggio 2010