23.MO EUROPACINEMA
24/04/2006

CONFERENZE STAMPA

 

Lemarit Ain

OUT OF SIGHT

presente il regista Daniel Syrkin

di Silvio PIOLI


Il tema della cecità che si ritrova nella sceneggiatura come è stato tramutato nelle scelte registiche?

Q
uando ho letto la sceneggiatura una delle cose che mi ha colpito di più è stata la cecità della protagonista. Quando ero al liceo ho letto una storia su una ragazza cieca e da quel momento in poi ho pensato di fare un film che parlasse di questo argomento. Allo steso tempo è diventata una vera e propria sfida parlare di cecità al cinema perché il cinema è un fenomeno prettamente visivo e quindi la cecità a questo punto è diventata un’allegoria. Il non vedere si estende alla famiglia di quanto avviene al suo interno. Assieme a tutto il mio cast tecnico abbiamo cercato di presentarla cecità in questi termini.

Data la sua origine israeliana si può leggere la metafora del “non vedere” legata all’attualità del suo Paese o è una forzatura critica? Nel film l’unico riferimento, seppur velato, al clima del luogo è quello di lei studente a Princeton e non, per ovvie ragioni, nel proprio Paese…

All’’inizio c’era un po’ questo tema della cecità allargata anche al mio Paese. è difficile per chi come me viene dal mio Paese, realizzare lavori che richiamino in qualche modo l’attualità. In verità all’inizio avevamo creato il personaggio di un fratello soldato israeliano, però poi l’abbiamo tolto e abbiamo cercato di rendere la sceneggiature fuori da questi discorsi rendendolo un dramma più privato, tagliando tutti i riferimenti. Anche la famiglia della ragazza è borghese e quindi si può permettere di mandare la ragazza a studiare fuori, però è l’unico legame che rimane e che abbiamo lasciato, con il chiudere gli occhi, che in un primo tempo si voleva legare al resto.

Come viene recepito il cinema internazionale in Israele?

Abbiamo molti film che provengono dall’estero e soprattutto dall’America, non vedo purtroppo tanto cinema italiano, ma il cinema in Israele sta avendo un successo sempre crescente, è un'industria nazionale. Ormai in ogni festival in giro per il mondo c’è sempre almeno un film israeliano presente.

Prima di fare il regista lei ha lavorato come giornalista di cinema, continua a portare avanti anche quel discorso.

Ormai mi occupo solamente di regia però mi piacerebbe non perdere di vista quel modo di vedere i film che si ha quando poi bisogna scriverne.

Ha mai pensato di far interpretare il ruolo della protagonista ad un’attrice realmente cieca?

Sì, ci ho provato e solo allora mi sono reso conto quanto sia difficile per loro avere una vita normale. Poteva essere un film sperimentale in questo senso, ma il tempo non era dalla nostra parte.

Mi chiedevo se lei ha visto tre film: Paradise Now, Munich e la Bestia nel cuore.

Nessuno dei tre. Paradise Now mi vergogno a dirlo, non l’ho ancora visto ma cercherò di rimediare al più presto La bestia nel cuore, mi dicono abbia alcuni punti in comune col mio film ma non ne conoscevo nemmeno l’esistenza prima di ieri sera, mentre Munich pensò che ormai lo comprerò direttamente in DVD.

Che progetti ha per il futuro?

Sono un po’ stanco di pensare che ogni film che noi israeliani dirigiamo debba parlare di guerra e della nostra situazione politica. So che è normale che la gente si aspetti così e non la critico, il mio prossimo film sarà una commedia politica, ma che cercherà di far ridere sull’argomento.

Viareggio, 24:04:2006