Visto che lei è anche autore della sceneggiatura, ci può dire come è nata
l’idea di questo film così intimista?
Il mio intento era quello di raccontare un dramma familiare in cui ci fosse
un rapporto conflittuale tra fratello e sorella all’interno di un evento
ancor più grande come è quello della malattia della madre. Il punto di
partenza è stata la mia esperienza personale. Il morbo di Alzaheimer ha
infatti afflitto in passato un membro della mia famiglia.
Quanto c’è quindi di autobiografico nel suo film?
Quando penso ad un film, parto sempre da esperienze personali. Sia il
rapporto con la sorella che in quello con la madre e, come detto, la
malattia. Non penso che si possa parlare di cose che non siano proprie.
C’è molto simbolismo nel suo film, la ricerca è molto accurata in tal
senso. Non crede che si rischi così di cadere troppo nel didascalico?
La narrazione non può essere solamente dialoghi ma bisogna comunicare anche
con le immagini le allegorie di un film. Anche a costo di apparire a volte
troppo didascalici.
Non ci sono personaggi completamente positivi nel suo film, anche se il
fratello è quello che attira le maggiori simpatie dello spettatore..
Lo spettatore tenderà a simpatizzare col fratello, che nonostante viva
sempre colla madre e gli faccia da bastone viene da questa quasi messo da
parte quando torna la sorella. E’ una figura tormentata, più ironico e
cinico, è vero, ma è normale che abbia questa reazione così come è normale
l’atteggiamento della madre Tutti i genitori tendono a preferire uno tra più
figli, anche se spesso solo a livello inconscio. Più gli affetti sono vicini
più li dai per scontati. Bisogna però sottolineare che il rapporto col
fratello è molto più intimo, più diretto, come denotano diverse scene del
film.
Seppur velatamente si parla anche di droghe…
Si, ma è solo un accenno alla quotidianità, alla difficoltà di vivere che i
giovani hanno oggigiorno
Come mai la scelta della scena alla fine dei titoli di coda?
è una cosa che mi è sempre
piaciuto fare, che dovrebbe tenere gli spettatori seduti a ripensare a ciò
che hanno visto. Non parlo del mio film, ma di un atteggiamento generale del
modo di usufruire del grande schermo. Oltretutto quella scena è con un
malato vero di Alzheimer con cui io ho un rapporto personale e con la quale
ho avuto modo più volte di parlare del mio film.
Viareggio, 24:04:2006
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