Com’è nata l’idea di questo film?
Alla base di questo lavoro c’è il mio film precedente, una commedia del 2001
che trattava sempre del rapporto padri-figli. Era la storia di un uomo che
improvvisamente scopre di avere una figlia, la conosce, fanno un viaggio
assieme finchè apprende che in realtà non è lui il vero padre. Il rapporto
creato è così forte che lui decide di esserne comunque il genitore. Era una
commedia umana, sulla natura dell’uomo così come questo film. In
the judge abbiamo voluto
realizzare un film moderno, che trattasse della contemporaneità. Ci ha
incuriosito il ruolo di un giudice, una persona che ha il destino degli
altri uomini e che deve decidere basandosi su prove e non sensazioni e che
si trova a dovere gestire la propria situazione familiare dopo esser spesso
fuggito.
Com’è avvenuta la scelta dell’attore protagonista Peter Gantzler?
Ci serviva una presenza attraente che riuscisse a calamitare l’attenzione
dello spettatore facendolo rientrare nella sua figura quella perfezione che
la sceneggiatura cerca di smuovergli. Allo stesso tempo doveva essere bravo,
capace di rendere l’evoluzione dei questo complesso personaggio. Peter
Gantzler ci sembrava perfetto.
A livello tecnico il suo modo di girare sembra riprendere molto quello
del suo connazionale Lars Von Trier con molti primi piani e camera a mano…
Von Trier non ha inventato la camera a mano.
è un regista che ammiro
moltissimo, radicale e sempre coerente con le sue scelte. Una delle cose più
importanti nel fare film è che la camera deve seguire la vita, ovvero
l’attore. Come un compagno di danza deve accompagnarlo dolcemente e la
camera a mano iuta in tal senso. Sui primi piani invece tutto nasce da una
mia considerazione: costruire il film come un iceberg. Lo spettatore vede la
punta e deve poter immaginare che sotto ci sia una base grossa. Con i primi
piani si da la sensazione che negli occhi dei protagonisti si possa leggere
anche la mente. Il filo del film è infatti che non si può con gli occhi
vedere tutto ciò che c’è da vedere.
Quali registi europei apprezza di più?
Non lo so, cioè, lo so, ma non sono in grado di rispondere così su due
piedi. Ci dovrei pensare perché sono molti mi odierei se ne dicessi solo
alcuni e altri che amo allo stesso modo se non di più non li nominassi. I
tuoi gusti ti identificano quindi meglio non dire che dire male
In Italia, qualche nome…
Sono cresciuto con i film di Rosi, film politici che ho sempre apprezzato. E
poi Ermano Olmi, un altro regista che stimo tantissimo…
Pensa ai film politici come film necessari?
Non so se necessari, dipende da quel che dicono, ma di certo i film devono
poter mandare anche uno sguardo proprio sull’attualità. Nel mio la politica
è importante, si parla di immigrazione, di scelte sociali, tutti argomenti
delicati che non è facile ascoltare in Danimarca. Non è di certo un caso che
nel mio paese questi film non raccolgano poi troppo successo di pubblico. Da
noi, che spesso veniamo considerati come un piccolo paradiso, dove tutto
funziona e tutto è perfetto, la gente va al cinema soprattutto per cercare
intrattenimento. Il massimo sarebbe fare come fa Dario Fo, il messaggio
viene dato in mezzo a tantissime risate. Questo sarebbe perfetto da portare
anche al cinema come metodo.
Viareggio, 24:04:2006
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