
In
queste luminose giornate d’autunno tra edifici liberty, leggiadri
cimeli di un vissuto che aleggia sul lungomare, si alternano le marittime
strutture fasciste con le essenziali scritte dei bagni, ci introducono in
una atmosfera metafisica, surreale, questi reperti di storia, si stagliano
su una scenografica quinta naturale: il mare, tinto dall’intenso cielo di
Toscana, della Viareggio d’oggi, ove si è
avviata la 21^ edizione di EuropaCinema, Festival dedicato al cinema “made
in Europa”, nato a Rimini nel 1984 dalla collaborazione tra l'eclettico
Felice Laudadio direttore artistico della stessa e Federico Fellini,
poi emigrato in Versilia da ormai quindici anni.
E’ importante più che mai oggi giorno un festival di cinema europeo, alla
luce degli ampliamenti dei confini europei, esso diviene una forte tavola
rotonda ove il dibattito culturale prende una forma ampia, ove le culture
non omologate, si mettono a confronto, dialogano, interagiscono, per trovare
come è successo anche in questa edizione un campo fertile, il cui minimo
comun denominatore è il vecchio continente, che ha una sua viva ed antica
tradizione incastonata nel dna, che non è possibile estirpare, e in un certo
qual modo ci unisce, ci avvicina, le storie qui sviluppate
cinematograficamente attraverso linguaggi differenti, si uniformano in un
unico linguaggio: quello europeo, fatto di storie comuni, di amori
stravaganti, di guerre, di storia e attualità. Questa kermesse possiede una
viva tradizione che tiene a consolidare grazie agli sponsor, ma soprattutto
alle energie del suo deus ex machina Felice Laudadio, che coordina ogni
aspetto dell’evento, dedicandosi con estrema cura e solerte attivismo al
funzionamento di ogni singolo ingranaggio del sistema avviato con estrema
passione per il cinema, per gli scambi culturali, affinchè il dialogo
cinematografico rimanga più che mai fervido….
Il manifesto dell’edizione 2004, parla chiaro, in quanto raffigura una rossa
platea cinematografica vista dal retro, il segno è rapido, asciutto, conciso
con un gran punto interrogativo che sbuca dallo schermo, il disegno, lo
eseguì Mastroianni nel 1988, mentre il logo che caratterizza EuropaCinema, è
riconoscibilmente di mano felliniana… Già da queste iniziali descrizioni, si
chiariscono quelli che sono i punti cruciali della manifestazione che il
direttore perpetra con entusiasmo, nonostante i tagli clamorosi di fondi da
parte dello stato agli enti locali.
Questi bassi budget, han portato gli organizzatori a ridurre i consueti otto
giorni della rassegna a 6.
L'omaggio grafico che il festival tributa, nasce dalla volontà di
omaggiare la carriera di Marcello Mastroianni (1924-2004)
che avrebbe compiuto ottanta anni proprio il 28 settembre, a cui sono
dedicate le Lezioni di Cinema di chi l’ha diretto: Monicelli, Scola, di chi
lo ha avuto come collega: Anouk Aimée, Castellitto, e chi lo ha prodotto,
come Roberto Cicutto. I cinque interventi, sono coadiuvati da una cospicua
retrospettiva dedicatagli, che vedrà proiettati per pubblico e critica
undici (su 160 dei film a cui prese parte) tra i capolavori della
cinematografia italiana di cui lui è stato uno dei maggiori ed ultimi
interpreti: I Compagni di
Mario Monicelli, Il Bell’Antonio
di Mauro Bolognini, Una giornata
particolare di Ettore Scola,
La notte di Michelangelo Antonioni,
Divorzio all’italiana di
Pietro Germi, La grande abbuffata
di Marco Fereri, Ieri, oggi, domani
di Vittorio De Sica, La dolce vita
di Federico Fellini, Matrimonio
all’italiana di Vittorio De Sica,
Mi ricordo, sì, io mi ricordo
di Anna Maria Tatò (sua compagna negli ultimi venti anni di vita),
I soliti ignoti di Mario
Monicelli. Sono titoli vari tra loro, che rappresentano tutta la sua
maestria e capacità attoriale, che lo confermano un interprete
ineguagliabile, in quanto egli ha saputo diversificare il proprio lavoro
interpretando personaggi sempre differenti, non rinchiudendosi in clichè
stantii. La poesia è quella di ritrovare sul grande schermo alcune delle
pellicole che lo hanno reso celebre esaltandone le qualità mimiche ed
espressive. Queste giornate sono state un grande omaggio oltre che alla sua
memoria, al cinema italiano ed una scoperta, per coloro che non hanno mai
avuto la possibilità di coglierne i particolari grazie alla proiezione sul
grande schermo… anziché in televisione! Per raccontare Marcello Mastroianni,
riportiamo alcune sue esaustive affermazioni:
A
un attore, quando fa un film di successo, si tenta di dare un’etichetta…
amai subito demolirla… non intendevo essere catalogato e per questo andai a
fare un personaggio… un impotente…
Il bell’Antonio… La mia origine di attore teatrale mi impediva di
assumere un’etichetta, non volevo. A me fare l’attore piace quando dà la
possibilità di avere delle esperienze, di rinnovare il ruolo, di
modificarlo.. di “truccarsi” come diciamo in gergo teatrale.

Evento speciale di grande portata, è stata la “Lezione di Cinema”
dedicata al regista tedesco Edgar Reitz, che ha parlato al
pubblico e alla stampa dopo la proiezione di alcuni frammenti tratti da
Heimat primo, secondo e
terzo, della durata complessiva di 45 minuti. E’ stata una grande lezione di
umanità e di etica, quella che il regista ha tenuto, raccontando di sé e del
valore d’essere tedeschi ieri e oggi, alla luce degli accadimenti bellici
degli anni ’40, e del significato stesso di “Heimat”, partendo dal senso che
il termine “Heimat” conserva in sé nella lingua tedesca, ed il senso che lui
ha trasposto di ciò nel suo progetto cinematografico. Del sostantivo
“Heimat” è difficile traducendolo conservarne il senso, diciamo che si
avvicina a “Patria”, come senso di appartenenza… Reitz restituisce una sorta
di racconto epico, ispirandosi alle grandi epopee, e alla letteratura
francese e tedesca.. si vedano Marcel Proust o Thomas Mann, fondamentali
punti di riferimento per il regista. Egli utilizza la telecamera come
strumento del ricordo, dando ad essa il compito di memorizzare e riprodurre
il tempo, si pensi alle “madlenette” di proustiana memoria. Nei tre film,
viene affrontato il tema della storia lasciandolo quale contorno delle
vicende, essa preme sui personaggi, ma non drammatizza gli eventi. L’intento
di Reitz non è documentaristico, egli indaga le vicende umane, la storia
privata degli uomini, è fondamentale rispondere a dei quesiti, ovvero a
dove, in quale luogo vive ed in quale frangente, in quanto non essendo
turisti, i criteri di indagine divengono fondamentali per comprendere un
determinato sistema di vita. Quindi Luogo e tempo vengono indagati, il primo
lo possiamo scegliere, siamo costretti a sceglierlo se vogliamo incidere
attivamente sul nostro vivere, mentre il secondo prescindendo dal nostro
volere rimane tale. Da tutto questo l’immagine della storia, fuoriesce,
emerge da sola. Egli quindi si sente come uno scrittore di romanzi, descrive
eventi fittizi di uomini, basandoli sulle sue esperienze personali. E’ da
questo punto che nasce tutto il significato di questa ricerca
cinematografica a cui Reitz dal 1984 dà corpo. Tutto nacque quando rimase
isolato a causa di una tormenta di neve presso un’isola del Nordsee in una
casa di amici cari, ove non potendo far altro che mangiare e scrivere, prese
carta e penna e cominciò a scrivere la storia della sua vita, non aveva
materiale per documentarsi, poteva solo rimestare nei ricordi, così nacquero
le prime cento pagine(che corrispondono alla prima parte del film). Decise
così con un amico della televisione tedesca, di sceneggiarle, furono anni
difficili, per mancanza di fondi, ma una volta trovati, entrambi si
trasferirono per due anni nella città in cui è ambientato il film, e lì,
scrissero, sceneggiarono, ironizzando sulla fatica vissuta per realizzare
questi lunghi lavori. Asserisce Reitz, che se avesse intuito in anticipo che
avrebbe finito per scrivere, attraverso il suo occhio, la storia della
Germania e del XX secolo, sapendolo a priori, forse, non avrebbe trovato le
forze! “Vi sono all’interno dei film, riferimenti autobiografici,
soprattutto nella geografia, nella toponomastica, ma non si può girare un
film stando allo specchio, bisogna essere critici nei confronti dei propri
personaggi”, asserisce Reitz. Heimat restituisce il significato per ogni
uomo delle proprie radici, quale sinonimo di origine appunto di una “Heimat”,
di una patria a cui far riferimento, gli uomini che perdono o non hanno
radici non possono definire loro stessi, senza un legame specifico non si
può vivere a lungo, in quanto risulta una perdita di responsabilità, non
avendo rapporti specifici con un luogo, si diventa come il “Denaro”!
L’importanza di una identità specifica, del senso di appartenenza, serve a
formulare i caratteri di una esistenza, a creare un’anti-omologazione ad un
sistema fatto di tradizione, ricordi, storia, lingua e quant’altro si leghi
a questi concetti.
Tecnicamente parlando Edgard Reitz ci svela di aver utilizzato per i suoi
tre film il 35 mm, formato tradizionale che dona miglior effetto rispetto al
digitale. L’alternanza di bianco, nero e colore ha un valore estetico e
rappresenta il metodo stilistico, che caratterizza tutte e tre le parti di
questo lavoro epico. Il bianco e nero, rappresenta la luce dei luoghi, delle
persone, necessario per sintetizzare il flusso della storia.
I punti di forza del cinema europeo, secondo il regista tedesco, si
rintracciano e mantengono nel difendere la nostra cultura, che si trova ora
più che mai, in grave pericolo: “stiamo rischiando di perdere la nostra
mentalità, la nostra identità”. Bisogna trovare amore per il nostro
territorio, per la nostra “Heimat”, e tenere vivo ciò che abbiamo in comune
con gli altri. La cultura è fondamentale, più di quello che i politici fanno
credere. In Europa il cinema è come un prodotto d’artigianato, come una
piccola manifattura. Esso è minacciato dal metro del mercato, e dalle sempre
più restrittive leggi tendenti al monopolio di pochi.
Heimat 1 ha avuto molto
successo di critica e di pubblico tanto che la tv tedesca ha incassato e
reinvestito su Heimat 2 che
però non ha avuto i medesimi riscontri, anche se visto da un milione di
persone. Questa trilogia, nella nostra penisola, è risultata un vero e
proprio trionfo, anche il secondo episodio ha avuto più successo che in
Germania, e secondo Reitz è dovuto ad un amore viscerale che il nostro
paese, nutre nei confronti degli artisti.. . Il terzo episodio sarà
distribuito in Italia da Roberto Cicutto della Mikado, sarà fruibile nelle
sale a febbraio 2005.
Film in concorso
Laudadio, ha vagliato 350 pellicole, la qualità dei lavori pervenuti è stata
alta, ma quelli scelti sono stati in numero di undici (anche a causa dei
tagli di fondi subiti dal Festival, altrimenti insostenibili.. peccato ne
avremmo visti volentieri altri!) più uno fuori concorso:
Tredici a tavola, di Enrico
Oldoini.
In
concorso: A Luci spente
di Maurizio Ponzi, Concorso
di colpa di Claudio Fracasso,
De Kus di Hilde Van
Mieghen, Het Zuiden di
Martin Koolhoven, Kongekabale
di Nikolaj Arcel, Napola
di Dennis Gansel, Niceland
di Fridrik Thòr Fridriksson,
O Milagre segundo Salomé di Mario Barroso,
Uno di Aksel Henne,
Vinzent di Ayassi e
Vakuum di Thomas Grampp.
La giuria internazionale, selezionatrice dei vincitori, si è composta
di cinque elementi, tutti afferenti al mondo del cinema ma con differenti
specialità. Essi sono: Erik Clausen (Presidente), Maria Delfina
Bonada, Inesa Kurklietyte, Margaret Mazzantini, Patrick
Vom Bruck.
La serata di premiazione, tenutasi presso il Teatro Politeama di
Viareggio, è stata presentata dall’attrice Barbara Cupisti, che ha visto
assegnare i seguenti premi in ordine di proclamazione:
Premio del
pubblico:
a
Het Zuiden, The South del regista olandese Martin Koolhoven (la cui
attrice protagonista in questi stessi giorni, ha ricevuto un ambito premio
olandese)
Premio della
Giuria come miglior attrice:
a
Mary Fink protagonista del film belga
De Kuss, The Kiss di Hilde
Van Mieghen
Premio miglior
sceneggiatura:
a
Nicolaj Arcell e Rasmus Heisterberg per il film danese
Kongekabale, King’s Game di
Nicolaj Arcel
Premio miglior
attore:
Aksel Hennie per il film norvegese
Uno, di cui firma anche la
regia e la sceneggiatura
Premio Miglior
Film:
Napola, del regista tedesco
Dennis Gansel

Ospite d’onore della serata è stato il regista serbo Goran
Paskaljevic, a cui è stato assegnato il Fellini 8 ½ Platinum Award
for Cinematic Excellence e che presenterà il film
Sogno di una notte di mezzo inverno,
premiato in questi stessi giorni con il Gran Premio della Giuria al Festival
di San Sebastian in Spagna.
I film presentati a EuropaCinema hanno argomentato su temi disparati tra
loro, affrontando la realtà, la storia, la tradizione, il Thriller e la
fantascienza, ove la sperimentazione e la qualità, di queste, per lo più,
opere prime è risultata frutto di una fantasia e conoscenza della storia del
cinema internazionale di spessore.
Napola è un film
storico, del tedesco Gansel, classe ’73, che narra attraverso l’esperienza e
l’amicizia instauratasi tra due ragazzi, delle scuole speciali per la
formazione dei futuri leader del Terzo Reich, attraverso una educazione alla
violenza, cogliendo l’inadeguatezza dei due amici verso una realtà
disumanizzante da cui non c’era possibilità d’uscita se non la propria
morte… Il regista ha espresso tutta la sua gioia nel ricevere il premio come
miglior film in quanto dopo le angherie subite durante i due anni di
lavorazione, questa soddisfazione dice gli dona la forza di andare avanti.
Kongekabale
del trentaduenne danese Arcel, che inscena un film d’azione, in cui indaga
l’operato dei media e degli interessi politici alla vigilia delle elezioni
politiche del suo paese, a farne le spese è un giovane giornalista che
scopre le losche manovre che muovono gli interessi di tutti, un film dal
ritmo incalzante, attuale, dalla sceneggiatura fresca.
De Kus
dell’attrice belga Hilde Van Mieghen, che approda alla regia portando in
scena come protagonista la figlia Maria Vinck. Il film ha una sceneggiatura
dagli ampi risvolti sociologici, indaga le avventure che la figlia maggiore
di una famiglia benestante, deve superare per entrare nell’età adulta, se
vogliamo in maniera brusca e anticipata. Gli argomenti trattati sono uno
specchio della società esasperata, violenta e individualista d’oggi; ella
analizza anche il problema dell’alcoolismo, piaga sociale dilagante nei
paesi del nord Europa ed ora in crescita anche nei paesi del bacino
Mediterraneo. Certo lo sguardo non è ottimistico, ma la giovane riesce, dopo
un soprannumero di violenze subite, ad uscirne, grazie all’inseguimento di
una passione, un sogno: diventare ballerina. La regista mette in guardia i
giovani, o meglio le giovani!
Uno, film
dell’attore, sceneggiatore e regista Aksel Henne, in cui si narrano le
vicende di un giovane che fa parte di una banda di delinquenti borderline di
Oslo, ove egli vive, nella desolante periferia che funge da cornice ad un
paesaggio familiare desolante. Evita di rapportarsi al proprio nucleo per la
mancanza di forza psicologica nell’affrontare la realtà, così alla morte del
padre la realtà muta prospettiva e sentendosi responsabilizzato comprende
gli errori commessi e tenta di ricominciare una nuova vita, accudendo il
fratello ritardato, preso di mira dalla sua stessa banda.
The South,
film del regista olandese Martin Koolhoven, che narra le vicende di una
piccola lavanderia industriale in cui la forza lavoro è rappresentata da un
gruppo di donne affiatate che creano corpo unico con il loro capo, la
comprensiva Martje. Con l’assunzione di un nuovo autista Loe, la situazione
comincia a incrinarsi, la vicenda scende sempre più nel dramma sociale, in
cui i malintesi e i sogni frustrati, sfociano in gesti di inconsapevole
pazzia da parte di Martje, custode di un segreto che le limita i rapporti
con gli uomini, rendendole la vita sempre più insopportabile e
inaffrontabile.
Paskaljevic ha presentato all’Italia, nella cornice di EuropaCinema, il suo
ultimo capolavoro:
San zimske noci, dopo il successo del 1998 ottenuto al Festival di
Venezia con La polveriera.
Questo nuovo lavoro, ottenuto con un budget bassissimo, risulta forte,
umano, perché entra nelle psicologie dei personaggi, restituendoci una
realtà consumata da avvenimenti indotti dal destino e dalla bassezza umana,
come la guerra nella ex Jugoslavia, che ha lasciato nei suoi abitanti falle
incolmabili per le atrocità vissute. Il film è ambientato nell’inverno del
2004, e racconta di un uomo che torna a casa dopo dieci anni, e trova nella
sua vecchia abitazione, due profughe: madre e figlia. Egli diventa parte di
quel piccolo nucleo. Si innamora della donna e accudisce con dedizione la
figlia autistica di lei. Essi trovano uno nell’altra la forza per riprendere
in mano le proprie vite, ricreando un mondo d’affetti venuto meno, ma
l’happy end non è contemplato, la felicità è durata la lunghezza di pochi
battiti di ciglia, e la poesia del finale tra i ciliegi in fiore, vale tutto
il film, non c’è sbavatura, un film da non perdere.
Il festival ha visto anche il ritorno al cinema di Francesco Nuti,
dopo anni di assenza dalle scene. Egli ha prestato il volto a Ulisse,
commissario di polizia protagonista di
Concorso di colpa, film
che osserva con lo sguardo di oggi i moti studenteschi del ’77, raccontando
le disavventure di un gruppo rivoluzionario, che alla morte di un coetaneo
appartenente alla frangia opposta, si scioglie improvvisamente, per paura
delle conseguenze, senza prender coscienza dell’accaduto. Il regista Claudio
Fragosso, si volge indietro, ai suoi anni di militanza giovanile per
riflettere sulla storia, e su cosa oggi si sia disposti a fare per
recuperare utopie positive.
A Luci spente è il
film del conosciuto regista romano Maurizio Ponzi, che con questa pellicola,
rende omaggio alla nascita di una nuova cinematografia italiana: Il
Neorealismo. Ponzi racconta di una troupe cinematografica che durante i
bombardamenti e i rastrellamenti del ’43, appoggiata dal Vaticano, continua
con tutte le difficoltà del caso le riprese di un film. Si evidenzia
l’abbandono del genere dei telefoni bianchi del divismo da copertina, per
affrontare un cinema della verità che viene a maturarsi durante le riprese.
Non solo la nascita di un genere nuovo, ma di professioni nuove. L’amara
realtà viene ad irrompere di giorno in giorno nel girato, mutando ogni
singolo elemento. Giuliana De Sio e Giulio Scarpati sono tra
gli interpreti principali. La De Sio in conferenza stampa lancia un appello
affinché nel cinema italiano si dia più spazio a ruoli femminili completi,
autonomi, scevri da ogni tipo di sudditanza.
Il regista e sceneggiatore ligure Enrico Oldoini, porta in scena
Tredici a Tavola, con il
ruolo principale dedicato all’istrionesco Giancarlo Giannini. Il film
è ambientato sulla costa tirrenica, nella Versilia anni ‘60, ed è
strutturato in continui flashback da cui il protagonista è investito, sono i
ricordi dell’infanzia, del primo amore (rappresentato da Kasia Smutniak),
che emergono alla vigilia della vendita dell’antico casolare di famiglia.
Giulio, il protagonista (Giannini), si trova assalito dai ricordi, da un
vissuto che fa parte di lui come le mura di quella vecchia casa, che
raccontano la storia di famiglia, da cui lui comprende di non potersi
distaccare, di non poter recidere il cordone dal proprio passato. Il film
corale che Oldini crea è armonizzato dai ruoli femminili, ricoperti da
Maria Amelia Monti e Angela Finocchiaro, che risultano esilaranti
nel caratterizzare i dialoghi. Alessandro Benvenuti interpreta il
ruolo del padre, un severo militare che impazzisce per una mancata
promozione.
Molti dei film proiettati a questo festival è possibile che non vengano mai
più proiettati in altre sale del nostro paese, cadendo nel dimenticatoio.
Quindi questo piccolo gioiello festivaliero, andrebbe valorizzato al meglio,
in quanto possiede una alta tradizione cinematografica, per non rendere vani
gli sforzi perpetrati in questa sede, bisognerebbe far circuitare queste
pellicole, dando così la possibilità a film di “nazionalità europea”, di
poter ricevere una distribuzione sul territorio nazionale e per poter
accrescere un dialogo acceso in ambito cinematografico, facendo sì che le
cinematografie del nostro continente vengano a contatto, quale sorta di
diffusione di geni, di scambi linguistici, artistici, osmotica nei riguardi
degli spettatori che hanno nel sangue la stessa tradizione dei registi che
li rappresentano. Apprezzare il cinema europeo può essere un’ottima cura
contro l’omologazione, l’avvallamento e l’impoverimento culturale, deve
divenire una forma di auto-educazione a recuperare ciò che ci appartiene,
mantenendolo saldo così da poterlo confrontare in maniera paritetica con
altre cinematografie.
Gesto di buon auspicio è lo scoop che il direttore artistico, insieme alla
presidentessa Luciana Castellina hanno rivelato agli astanti,
augurandosi che con il passaggio del festival EuropaCinema alla primavera,
anziché mantenerlo nel periodo autunnale, sia metafora di un rinnovato
interesse per questa cinematografia piena di vita, di fermento e di sapore
familiare, intriso d’alto profilo professionale.
Arrivederci a Viareggio dal 9 al 16 Aprile 2005 per il 22° EuropaCinema.
SITO UFFICIALE |