21° European Film Festival
EuropaCinema 2004


 27:09/02:10:2004

viareggio

di Lucia LOMBARDI

 

In queste luminose giornate d’autunno tra edifici liberty, leggiadri cimeli di un vissuto che aleggia sul lungomare, si alternano le marittime strutture fasciste con le essenziali scritte dei bagni, ci introducono in una atmosfera metafisica, surreale, questi reperti di storia, si stagliano su una scenografica quinta naturale: il mare, tinto dall’intenso cielo di Toscana, della Viareggio d’oggi, ove si è avviata la 21^ edizione di EuropaCinema, Festival dedicato al cinema “made in Europa”, nato a Rimini nel 1984 dalla collaborazione tra l'eclettico Felice Laudadio direttore artistico della stessa e Federico Fellini, poi emigrato in Versilia da ormai quindici anni.
E’ importante più che mai oggi giorno un festival di cinema europeo, alla luce degli ampliamenti dei confini europei, esso diviene una forte tavola rotonda ove il dibattito culturale prende una forma ampia, ove le culture non omologate, si mettono a confronto, dialogano, interagiscono, per trovare come è successo anche in questa edizione un campo fertile, il cui minimo comun denominatore è il vecchio continente, che ha una sua viva ed antica tradizione incastonata nel dna, che non è possibile estirpare, e in un certo qual modo ci unisce, ci avvicina, le storie qui sviluppate cinematograficamente attraverso linguaggi differenti, si uniformano in un unico linguaggio: quello europeo, fatto di storie comuni, di amori stravaganti, di guerre, di storia e attualità. Questa kermesse possiede una viva tradizione che tiene a consolidare grazie agli sponsor, ma soprattutto alle energie del suo deus ex machina Felice Laudadio, che coordina ogni aspetto dell’evento, dedicandosi con estrema cura e solerte attivismo al funzionamento di ogni singolo ingranaggio del sistema avviato con estrema passione per il cinema, per gli scambi culturali, affinchè il dialogo cinematografico rimanga più che mai fervido….
Il manifesto dell’edizione 2004, parla chiaro, in quanto raffigura una rossa platea cinematografica vista dal retro, il segno è rapido, asciutto, conciso con un gran punto interrogativo che sbuca dallo schermo, il disegno, lo eseguì Mastroianni nel 1988, mentre il logo che caratterizza EuropaCinema, è riconoscibilmente di mano felliniana… Già da queste iniziali descrizioni, si chiariscono quelli che sono i punti cruciali della manifestazione che il direttore perpetra con entusiasmo, nonostante i tagli clamorosi di fondi da parte dello stato agli enti locali.
Questi bassi budget, han portato gli organizzatori a ridurre i consueti otto giorni della rassegna a 6.
L'omaggio grafico che il festival tributa, nasce dalla volontà di omaggiare la carriera di Marcello Mastroianni (1924-2004) che avrebbe compiuto ottanta anni proprio il 28 settembre, a cui sono dedicate le Lezioni di Cinema di chi l’ha diretto: Monicelli, Scola, di chi lo ha avuto come collega: Anouk Aimée, Castellitto, e chi lo ha prodotto, come Roberto Cicutto. I cinque interventi, sono coadiuvati da una cospicua retrospettiva dedicatagli, che vedrà proiettati per pubblico e critica undici (su 160 dei film a cui prese parte) tra i capolavori della cinematografia italiana di cui lui è stato uno dei maggiori ed ultimi interpreti: I Compagni di Mario Monicelli, Il Bell’Antonio di Mauro Bolognini, Una giornata particolare di Ettore Scola, La notte di Michelangelo Antonioni, Divorzio all’italiana di Pietro Germi, La grande abbuffata di Marco Fereri, Ieri, oggi, domani di Vittorio De Sica, La dolce vita di Federico Fellini, Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica, Mi ricordo, sì, io mi ricordo di Anna Maria Tatò (sua compagna negli ultimi venti anni di vita), I soliti ignoti di Mario Monicelli. Sono titoli vari tra loro, che rappresentano tutta la sua maestria e capacità attoriale, che lo confermano un interprete ineguagliabile, in quanto egli ha saputo diversificare il proprio lavoro interpretando personaggi sempre differenti, non rinchiudendosi in clichè stantii. La poesia è quella di ritrovare sul grande schermo alcune delle pellicole che lo hanno reso celebre esaltandone le qualità mimiche ed espressive. Queste giornate sono state un grande omaggio oltre che alla sua memoria, al cinema italiano ed una scoperta, per coloro che non hanno mai avuto la possibilità di coglierne i particolari grazie alla proiezione sul grande schermo… anziché in televisione! Per raccontare Marcello Mastroianni, riportiamo alcune sue esaustive affermazioni:

 

A un attore, quando fa un film di successo, si tenta di dare un’etichetta… amai subito demolirla… non intendevo essere catalogato e per questo andai a fare un personaggio… un impotente… Il bell’Antonio… La mia origine di attore teatrale mi impediva di assumere un’etichetta, non volevo. A me fare l’attore piace quando dà la possibilità di avere delle esperienze, di rinnovare il ruolo, di modificarlo.. di “truccarsi” come diciamo in gergo teatrale.

 



Evento speciale di grande portata, è stata la “Lezione di Cinema” dedicata al regista tedesco Edgar Reitz, che ha parlato al pubblico e alla stampa dopo la proiezione di alcuni frammenti tratti da Heimat primo, secondo e terzo, della durata complessiva di 45 minuti. E’ stata una grande lezione di umanità e di etica, quella che il regista ha tenuto, raccontando di sé e del valore d’essere tedeschi ieri e oggi, alla luce degli accadimenti bellici degli anni ’40, e del significato stesso di “Heimat”, partendo dal senso che il termine “Heimat” conserva in sé nella lingua tedesca, ed il senso che lui ha trasposto di ciò nel suo progetto cinematografico. Del sostantivo “Heimat” è difficile traducendolo conservarne il senso, diciamo che si avvicina a “Patria”, come senso di appartenenza… Reitz restituisce una sorta di racconto epico, ispirandosi alle grandi epopee, e alla letteratura francese e tedesca.. si vedano Marcel Proust o Thomas Mann, fondamentali punti di riferimento per il regista. Egli utilizza la telecamera come strumento del ricordo, dando ad essa il compito di memorizzare e riprodurre il tempo, si pensi alle “madlenette” di proustiana memoria. Nei tre film, viene affrontato il tema della storia lasciandolo quale contorno delle vicende, essa preme sui personaggi, ma non drammatizza gli eventi. L’intento di Reitz non è documentaristico, egli indaga le vicende umane, la storia privata degli uomini, è fondamentale rispondere a dei quesiti, ovvero a dove, in quale luogo vive ed in quale frangente, in quanto non essendo turisti, i criteri di indagine divengono fondamentali per comprendere un determinato sistema di vita. Quindi Luogo e tempo vengono indagati, il primo lo possiamo scegliere, siamo costretti a sceglierlo se vogliamo incidere attivamente sul nostro vivere, mentre il secondo prescindendo dal nostro volere rimane tale. Da tutto questo l’immagine della storia, fuoriesce, emerge da sola. Egli quindi si sente come uno scrittore di romanzi, descrive eventi fittizi di uomini, basandoli sulle sue esperienze personali. E’ da questo punto che nasce tutto il significato di questa ricerca cinematografica a cui Reitz dal 1984 dà corpo. Tutto nacque quando rimase isolato a causa di una tormenta di neve presso un’isola del Nordsee in una casa di amici cari, ove non potendo far altro che mangiare e scrivere, prese carta e penna e cominciò a scrivere la storia della sua vita, non aveva materiale per documentarsi, poteva solo rimestare nei ricordi, così nacquero le prime cento pagine(che corrispondono alla prima parte del film). Decise così con un amico della televisione tedesca, di sceneggiarle, furono anni difficili, per mancanza di fondi, ma una volta trovati, entrambi si trasferirono per due anni nella città in cui è ambientato il film, e lì, scrissero, sceneggiarono, ironizzando sulla fatica vissuta per realizzare questi lunghi lavori. Asserisce Reitz, che se avesse intuito in anticipo che avrebbe finito per scrivere, attraverso il suo occhio, la storia della Germania e del XX secolo, sapendolo a priori, forse, non avrebbe trovato le forze! “Vi sono all’interno dei film, riferimenti autobiografici, soprattutto nella geografia, nella toponomastica, ma non si può girare un film stando allo specchio, bisogna essere critici nei confronti dei propri personaggi”, asserisce Reitz. Heimat restituisce il significato per ogni uomo delle proprie radici, quale sinonimo di origine appunto di una “Heimat”, di una patria a cui far riferimento, gli uomini che perdono o non hanno radici non possono definire loro stessi, senza un legame specifico non si può vivere a lungo, in quanto risulta una perdita di responsabilità, non avendo rapporti specifici con un luogo, si diventa come il “Denaro”! L’importanza di una identità specifica, del senso di appartenenza, serve a formulare i caratteri di una esistenza, a creare un’anti-omologazione ad un sistema fatto di tradizione, ricordi, storia, lingua e quant’altro si leghi a questi concetti.
Tecnicamente parlando Edgard Reitz ci svela di aver utilizzato per i suoi tre film il 35 mm, formato tradizionale che dona miglior effetto rispetto al digitale. L’alternanza di bianco, nero e colore ha un valore estetico e rappresenta il metodo stilistico, che caratterizza tutte e tre le parti di questo lavoro epico. Il bianco e nero, rappresenta la luce dei luoghi, delle persone, necessario per sintetizzare il flusso della storia.
I punti di forza del cinema europeo, secondo il regista tedesco, si rintracciano e mantengono nel difendere la nostra cultura, che si trova ora più che mai, in grave pericolo: “stiamo rischiando di perdere la nostra mentalità, la nostra identità”. Bisogna trovare amore per il nostro territorio, per la nostra “Heimat”, e tenere vivo ciò che abbiamo in comune con gli altri. La cultura è fondamentale, più di quello che i politici fanno credere. In Europa il cinema è come un prodotto d’artigianato, come una piccola manifattura. Esso è minacciato dal metro del mercato, e dalle sempre più restrittive leggi tendenti al monopolio di pochi.
Heimat 1 ha avuto molto successo di critica e di pubblico tanto che la tv tedesca ha incassato e reinvestito su Heimat 2 che però non ha avuto i medesimi riscontri, anche se visto da un milione di persone. Questa trilogia, nella nostra penisola, è risultata un vero e proprio trionfo, anche il secondo episodio ha avuto più successo che in Germania, e secondo Reitz è dovuto ad un amore viscerale che il nostro paese, nutre nei confronti degli artisti.. . Il terzo episodio sarà distribuito in Italia da Roberto Cicutto della Mikado, sarà fruibile nelle sale a febbraio 2005.

Film in concorso

Laudadio, ha vagliato 350 pellicole, la qualità dei lavori pervenuti è stata alta, ma quelli scelti sono stati in numero di undici (anche a causa dei tagli di fondi subiti dal Festival, altrimenti insostenibili.. peccato ne avremmo visti volentieri altri!) più uno fuori concorso: Tredici a tavola, di Enrico Oldoini.

In concorso: A Luci spente di Maurizio Ponzi, Concorso di colpa di Claudio Fracasso, De Kus di Hilde Van Mieghen, Het Zuiden di Martin Koolhoven, Kongekabale di Nikolaj Arcel, Napola di Dennis Gansel, Niceland di Fridrik Thòr Fridriksson, O Milagre segundo Salomé di Mario Barroso, Uno di Aksel Henne, Vinzent di Ayassi e Vakuum di Thomas Grampp.

La giuria internazionale, selezionatrice dei vincitori, si è composta di cinque elementi, tutti afferenti al mondo del cinema ma con differenti specialità. Essi sono: Erik Clausen (Presidente), Maria Delfina Bonada, Inesa Kurklietyte, Margaret Mazzantini, Patrick Vom Bruck.

La serata di premiazione, tenutasi presso il Teatro Politeama di Viareggio, è stata presentata dall’attrice Barbara Cupisti, che ha visto assegnare i seguenti premi in ordine di proclamazione:


Premio del pubblico:

a Het Zuiden, The South del regista olandese Martin Koolhoven (la cui attrice protagonista in questi stessi giorni, ha ricevuto un ambito premio olandese)
 

Premio della Giuria come miglior attrice:

a Mary Fink protagonista del film belga De Kuss, The Kiss di Hilde Van Mieghen
 

Premio miglior sceneggiatura:

a Nicolaj Arcell e Rasmus Heisterberg per il film danese Kongekabale, King’s Game di Nicolaj Arcel
 

Premio miglior attore:

Aksel Hennie per il film norvegese Uno, di cui firma anche la regia e la sceneggiatura
 

Premio Miglior Film:

Napola, del regista tedesco Dennis Gansel


 

Ospite d’onore della serata è stato il regista serbo Goran Paskaljevic, a cui è stato assegnato il Fellini 8 ½ Platinum Award for Cinematic Excellence e che presenterà il film Sogno di una notte di mezzo inverno, premiato in questi stessi giorni con il Gran Premio della Giuria al Festival di San Sebastian in Spagna.

I film presentati a EuropaCinema hanno argomentato su temi disparati tra loro, affrontando la realtà, la storia, la tradizione, il Thriller e la fantascienza, ove la sperimentazione e la qualità, di queste, per lo più, opere prime è risultata frutto di una fantasia e conoscenza della storia del cinema internazionale di spessore.


Napola è un film storico, del tedesco Gansel, classe ’73, che narra attraverso l’esperienza e l’amicizia instauratasi tra due ragazzi, delle scuole speciali per la formazione dei futuri leader del Terzo Reich, attraverso una educazione alla violenza, cogliendo l’inadeguatezza dei due amici verso una realtà disumanizzante da cui non c’era possibilità d’uscita se non la propria morte… Il regista ha espresso tutta la sua gioia nel ricevere il premio come miglior film in quanto dopo le angherie subite durante i due anni di lavorazione, questa soddisfazione dice gli dona la forza di andare avanti.


Kongekabale del trentaduenne danese Arcel, che inscena un film d’azione, in cui indaga l’operato dei media e degli interessi politici alla vigilia delle elezioni politiche del suo paese, a farne le spese è un giovane giornalista che scopre le losche manovre che muovono gli interessi di tutti, un film dal ritmo incalzante, attuale, dalla sceneggiatura fresca.


De Kus dell’attrice belga Hilde Van Mieghen, che approda alla regia portando in scena come protagonista la figlia Maria Vinck. Il film ha una sceneggiatura dagli ampi risvolti sociologici, indaga le avventure che la figlia maggiore di una famiglia benestante, deve superare per entrare nell’età adulta, se vogliamo in maniera brusca e anticipata. Gli argomenti trattati sono uno specchio della società esasperata, violenta e individualista d’oggi; ella analizza anche il problema dell’alcoolismo, piaga sociale dilagante nei paesi del nord Europa ed ora in crescita anche nei paesi del bacino Mediterraneo. Certo lo sguardo non è ottimistico, ma la giovane riesce, dopo un soprannumero di violenze subite, ad uscirne, grazie all’inseguimento di una passione, un sogno: diventare ballerina. La regista mette in guardia i giovani, o meglio le giovani!


Uno, film dell’attore, sceneggiatore e regista Aksel Henne, in cui si narrano le vicende di un giovane che fa parte di una banda di delinquenti borderline di Oslo, ove egli vive, nella desolante periferia che funge da cornice ad un paesaggio familiare desolante. Evita di rapportarsi al proprio nucleo per la mancanza di forza psicologica nell’affrontare la realtà, così alla morte del padre la realtà muta prospettiva e sentendosi responsabilizzato comprende gli errori commessi e tenta di ricominciare una nuova vita, accudendo il fratello ritardato, preso di mira dalla sua stessa banda.


The South, film del regista olandese Martin Koolhoven, che narra le vicende di una piccola lavanderia industriale in cui la forza lavoro è rappresentata da un gruppo di donne affiatate che creano corpo unico con il loro capo, la comprensiva Martje. Con l’assunzione di un nuovo autista Loe, la situazione comincia a incrinarsi, la vicenda scende sempre più nel dramma sociale, in cui i malintesi e i sogni frustrati, sfociano in gesti di inconsapevole pazzia da parte di Martje, custode di un segreto che le limita i rapporti con gli uomini, rendendole la vita sempre più insopportabile e inaffrontabile.


Paskaljevic ha presentato all’Italia, nella cornice di EuropaCinema, il suo ultimo capolavoro: San zimske noci, dopo il successo del 1998 ottenuto al Festival di Venezia con La polveriera. Questo nuovo lavoro, ottenuto con un budget bassissimo, risulta forte, umano, perché entra nelle psicologie dei personaggi, restituendoci una realtà consumata da avvenimenti indotti dal destino e dalla bassezza umana, come la guerra nella ex Jugoslavia, che ha lasciato nei suoi abitanti falle incolmabili per le atrocità vissute. Il film è ambientato nell’inverno del 2004, e racconta di un uomo che torna a casa dopo dieci anni, e trova nella sua vecchia abitazione, due profughe: madre e figlia. Egli diventa parte di quel piccolo nucleo. Si innamora della donna e accudisce con dedizione la figlia autistica di lei. Essi trovano uno nell’altra la forza per riprendere in mano le proprie vite, ricreando un mondo d’affetti venuto meno, ma l’happy end non è contemplato, la felicità è durata la lunghezza di pochi battiti di ciglia, e la poesia del finale tra i ciliegi in fiore, vale tutto il film, non c’è sbavatura, un film da non perdere.


Il festival ha visto anche il ritorno al cinema di Francesco Nuti, dopo anni di assenza dalle scene. Egli ha prestato il volto a Ulisse, commissario di polizia protagonista di Concorso di colpa, film che osserva con lo sguardo di oggi i moti studenteschi del ’77, raccontando le disavventure di un gruppo rivoluzionario, che alla morte di un coetaneo appartenente alla frangia opposta, si scioglie improvvisamente, per paura delle conseguenze, senza prender coscienza dell’accaduto. Il regista Claudio Fragosso, si volge indietro, ai suoi anni di militanza giovanile per riflettere sulla storia, e su cosa oggi si sia disposti a fare per recuperare utopie positive.


A Luci spente è il film del conosciuto regista romano Maurizio Ponzi, che con questa pellicola, rende omaggio alla nascita di una nuova cinematografia italiana: Il Neorealismo. Ponzi racconta di una troupe cinematografica che durante i bombardamenti e i rastrellamenti del ’43, appoggiata dal Vaticano, continua con tutte le difficoltà del caso le riprese di un film. Si evidenzia l’abbandono del genere dei telefoni bianchi del divismo da copertina, per affrontare un cinema della verità che viene a maturarsi durante le riprese. Non solo la nascita di un genere nuovo, ma di professioni nuove. L’amara realtà viene ad irrompere di giorno in giorno nel girato, mutando ogni singolo elemento. Giuliana De Sio e Giulio Scarpati sono tra gli interpreti principali. La De Sio in conferenza stampa lancia un appello affinché nel cinema italiano si dia più spazio a ruoli femminili completi, autonomi, scevri da ogni tipo di sudditanza.


Il regista e sceneggiatore ligure Enrico Oldoini, porta in scena Tredici a Tavola, con il ruolo principale dedicato all’istrionesco Giancarlo Giannini. Il film è ambientato sulla costa tirrenica, nella Versilia anni ‘60, ed è strutturato in continui flashback da cui il protagonista è investito, sono i ricordi dell’infanzia, del primo amore (rappresentato da Kasia Smutniak), che emergono alla vigilia della vendita dell’antico casolare di famiglia. Giulio, il protagonista (Giannini), si trova assalito dai ricordi, da un vissuto che fa parte di lui come le mura di quella vecchia casa, che raccontano la storia di famiglia, da cui lui comprende di non potersi distaccare, di non poter recidere il cordone dal proprio passato. Il film corale che Oldini crea è armonizzato dai ruoli femminili, ricoperti da Maria Amelia Monti e Angela Finocchiaro, che risultano esilaranti nel caratterizzare i dialoghi. Alessandro Benvenuti interpreta il ruolo del padre, un severo militare che impazzisce per una mancata promozione.

Molti dei film proiettati a questo festival è possibile che non vengano mai più proiettati in altre sale del nostro paese, cadendo nel dimenticatoio. Quindi questo piccolo gioiello festivaliero, andrebbe valorizzato al meglio, in quanto possiede una alta tradizione cinematografica, per non rendere vani gli sforzi perpetrati in questa sede, bisognerebbe far circuitare queste pellicole, dando così la possibilità a film di “nazionalità europea”, di poter ricevere una distribuzione sul territorio nazionale e per poter accrescere un dialogo acceso in ambito cinematografico, facendo sì che le cinematografie del nostro continente vengano a contatto, quale sorta di diffusione di geni, di scambi linguistici, artistici, osmotica nei riguardi degli spettatori che hanno nel sangue la stessa tradizione dei registi che li rappresentano. Apprezzare il cinema europeo può essere un’ottima cura contro l’omologazione, l’avvallamento e l’impoverimento culturale, deve divenire una forma di auto-educazione a recuperare ciò che ci appartiene, mantenendolo saldo così da poterlo confrontare in maniera paritetica con altre cinematografie.

Gesto di buon auspicio è lo scoop che il direttore artistico, insieme alla presidentessa Luciana Castellina hanno rivelato agli astanti, augurandosi che con il passaggio del festival EuropaCinema alla primavera, anziché mantenerlo nel periodo autunnale, sia metafora di un rinnovato interesse per questa cinematografia piena di vita, di fermento e di sapore familiare, intriso d’alto profilo professionale.

Arrivederci a Viareggio dal 9 al 16 Aprile 2005 per il 22° EuropaCinema.

 

 

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