di Riccardo FASSONE

 

In un momento in cui il cinema rivaluta la figura del mostro come attrazione spettacolare (ne sono testimonianza l'ipercinetico VAN HELSING, le varie mummie, le faide licantropi vs vampiri ecc.), può essere interessante ricordare che lo sguardo della macchina da presa ha spesso cucito addosso alle creature da incubo i panni dell'emarginazione e dell'impotenza, caricando la mostruosità deforme di significati psicologici e umani di intensità straordinaria. Lo facciamo, in questa occasione, rispolverando il Nosferatu di Herzog, pellicola algida ed immobilista, morbosa nell'insistenza con la quale indaga le stigmate dell'infelicità che il vampiro porta su di sé. E lo facciamo, inaugurando così una sezione del sito dedicata alla musica, ascoltando le note che accompagnano il film di Herzog, autore che ha trovato nei cerebrali Popol Vuh il complemento sonoro ideale per il proprio sguardo allucinato su una realtà che spesso tale non è. Come buona parte dei propri colleghi connazionali e all'incirca contemporanei (in particolare Tangerine Dream, ma, perchè no, anche Kraftwerk e Can), i Popol Vuh prediligono un approccio pienamente descrittivo, preferiscono il suggerimento alla mostrazione ed in qualche modo dimostrano un certo pudore nell'utilizzare le soluzioni di grandeur tipiche della colonna sonora. Se questa delicatezza di tratto ha spesso deposto a sfavore della band tedesca, il cui fiero isolazionismo ha generato album eccessivamente autarchici, nel caso di questa colonna sonora le pennellate lievi, la predilezione per i vuoti rispetto ai pieni, la piena adesione alla filosofia del “less is more”, ha dato vita ad un connubio di immagine e suono emozionante, di gusto sottilmente epico, disegnato con attenzione intorno alle movenze stanche di Klaus Kinski. Le partiture che i Popol Vuh compongono per Herzog sono purezza distillata, sono, con ogni probabilità, il miglior risultato della sintesi di minimalismo e trascendenza che Dio o chi per lui ha voluto dare in dono a Florian Fricke prima di farlo impazzire del tutto. Una sintesi che trova piena espressione nel carattere dolcemente liturgico di un brano come “Mantra 2”, in cui i toni descrittivi, “da soundtrack”, si stemperano in uno spiritualismo che non si fatica a definire cosmico che tratteggia i contorni del vampiro altero ed apatico di Kinski, accentuandone gli aspetti eremitici e la solitudine disperata. Lo scontro frontale tra rigore ed istinto che è alla base della poetica di Herzog trova un equilibrio delicatissimo nell'incedere religioso dei brani dei Popol Vuh, che giocano con la tradizione armonica orientale senza abbracciarla del tutto e, con alchimie che ci rimangono incomprensibili, forgiano una materia liquida, pulsante, che non è “accompagnamento”, ma ha il suono dell frusciare di una tunica nera su assi di legno marcio divorate dai topi.