ANALISI ESTESA DEL FILM

TRANSAMERICA
di Duncan Tucker
USA 2005
Con Felicity Huffman e Kevin Zegers

di Gabriele FRANCIONI

A metà tra "Huckleberry Flynn" e "Lord of the Rings", Easy Ryder e My own private Idaho, TRANSAMERICA è di fatto l'incrocio riuscito tra road movie e bildungsroman. Racconto di (trans)formazione per almeno tre motivi: l'evoluzione di Sabrina verso l'identità sessuale ricercata; il suo viaggio di crescita per essere consapevolmente genitore - vero centro del film - e il parallelo attraversamento critico e traumatico di un'adolescenza borderline da parte di Toby. Il tono alla Preston Sturgess e l'unico vero travestimento forzato di Bree ( Felicity Huffman, la plastica, eccezionale protagonista ), autoimpostasi le movenze e i principi di una zia petulante e bacchettona, vestono una possibile discesa all'inferno con un tono leggero che definisce una calibrata disposizione dei pesi drammaturgici. Ciò garantisce una collocazione certa del film entro la categoria del film privo di restrizioni della censura e l'esposizione ricevuta dal momento della presentazione ai primi festival sino alle nomination per l'Oscar del 2006 lo conferma in pieno. Lontano dalla brutalità sincera di altre pellicole sex-related ( HAPPINESS, MYSTERIOUS SKIN ), ma anche dal basso profilo comico spesso utilizzato per il travestitismo camp, il film di Duncan Tucker si ritaglia uno spazio tutto suo. Il pregio sta nel riflettere verso l'esterno i rischi di ipercaratterizzazione del personaggio transessuale: molto più eccentrici e freak sono i suoi satelliti, a partire dalla madre - Fionnula Flanagan, vera benedizione per lo schermo ( anche nell'incompreso FOUR BROTHERS di John Singleton ) - sino ad altre figure di contorno. Per certi versi TRANSAMERICA riesce a veicolare un senso universale tramite l'adesione agli stessi parametri del successivo C.R.A.Z.Y.: deviazione dalla centralità assoluta del ruolo principale in cerca della propria identità sessuale e conseguente scarico della tensione narrativa su ambienti ( i consueti sconfinati paesaggi degli stati del sud ) e personaggi secondari; ulteriore attenuazione della pericolosità dell'assunto grazie all'immersione del materiale filmico in un inconsueto e imprevisto magma sonoro country e da world music. Questo agisce in parallelo con l'intuizione migliore del film: la ricerca della "voce" da parte di Bree. L'intreccio tra un suono organico che diventa suono interiore e banda sonora multietnica, crea un tessuto di emozioni più incisivo del testo. Notevole il recupero della Nitty Gritty Dirt Band; rimarchevole la presenza di Dolly Parton e Larry Sparks; spiazzante quella di Miriam Makeba.

di Emilio RANZATO

Bree (Huffman) è un transessuale in procinto di diventare completamente donna grazie a un tanto atteso intervento chirurgico. L’obbiettivo le sembra ormai raggiunto quando riceve una telefonata da un penitenziario minorile di New York; gli agenti la avvertono che suo figlio Toby (Zegers) sta per terminare la pena e a giorni potrà essere prelevato da un genitore. La notizia coglie Bree del tutto impreparata: non era infatti al corrente di aver messo incinta la sua partner durante l’unica relazione avuta durante la vecchia vita da uomo. Costretta dalla propria psicanalista ad accettare l’inaspettato incarico, pena l’annullamento del permesso all’intervento, Bree si ritroverà a viaggiare con il figlio alla ricerca dei loro familiari, veri o presunti.
La sceneggiatura dello stesso Tucker, qui al suo debutto, costruisce un road-movie che è anche e soprattutto un viaggio iniziatico per i due protagonisti: il giovane Toby, dopo un passato breve ma burrascoso, entrerà finalmente a contatto col suo ambiente familiare, mentre Bree verrà subito messa di fronte a ciò che la sua nuova identità comporta, nientemeno che attraverso la traumatica responsabilità del ruolo materno. Peccato che poi il nuovo autore non se la senta di approfondire troppo i momenti dolorosi di un passato impossibile da rimuovere, e si soffermi più che altro sulle situazioni buffe e paradossali. E così il film risulta soprattutto un esercizio di stile per la bravissima protagonista (ma la Flanagan nel ruolo della madre le tiene testa), non a caso “pedinata” da una messa in scena priva di fronzoli che rievoca il cinema indipendente anni ’70 di Rafelson, Cassavetes, Schatzberg.

TRANSAMERICA
di Duncan Tucker