ANALISI ESTESA DEL FILM

LA SCHIVATA
di Abdellatif Kéchiche

Francia 2003
Con Sara Forestier e Osman Elkharraz

di Gabriele FRANCIONI

Povertà di mezzi e ricchezza d'idee sono sempre stati due punti di partenza fondamentali per un cinema "sociale" e di denuncia. è questo il caso del bellissimo, e non sufficientemente pubblicizzato, L'ESQUIVE/LA SCHIVATA, di Abdellatif Kéchiche.
Il problema è, solitamente, quello di non cadere nei tic di questa categoria estetico-produttiva "ambivalente", ovvero la deriva dello stile a favore dell'inattaccabilità dell'assunto, che prosciugherebbe la voglia di generare invenzioni di sorta.
Il regista, in questo caso, evita le trappole in cui cadono in molti, attraverso un escamotage (che tale non è!), ovvero il continuo riferimento a Marivaux, portando il teatro in strada e sollevando una domanda  (che tale non è, perché contiene già risposta): i rapporti tra gli esseri umani sono esclusivo frutto di veti incrociati e vizi attitudinali agiti da gruppi sociali e rapportabili allo schema ricco/povero, alto/basso, centrale/marginale? Ovviamente sì.
La messa in scena (che tale non è, perché semplicemente ci aggiriamo per la stessa banlieu di Matthieu Kassovitz) non mette alcun filtro tra realtà e finzione/rappresentazione. I ragazzini che si sporgono per vedere cos'è la vita e l'assaporano sotto forma di innamoramenti e scontri di micro-potere locale, sono a tutti gli effetti i personaggi che incarnano e non hanno bisogno, eccetto uno, di particolari sforzi per preparare la recita scolastica (Marivaux, appunto).
è questa naturalezza - una sorta di protesi dell'universo infantile - a dominare le dinamiche che s'instaurano fra il gruppo delle femmine (hanno il potere nelle mani, attorno a loro ruota tutto) e i maschi, bozzoli incompleti tesi tra silenzio impotente e prevaricazione. La lite quotidiana tra le leader del gruppo confluisce naturalmente nel testo, venendone subito rispecchiata nell'asserzione di Lydia: se lei (per convenzione) è la serva in Marivaux, non può comportarsi da ricca, e viceversa.
L'assunzione di una maschera per lo scambio dei ruoli sulla scena è determinata dal desiderio di uscire dalla banlieu, rivendicando un posizionamento nel mondo diverso da quello attualmente vissuto. Kéchiche ci mostra l'universo adolescenziale mentre si allena alla finzione delle categorie sociali, ma suggerisce che una precoce meditazione sul tema può servire, da adulti, a ribaltare le parti e a sopravvivere.
Nel film vediamo la francese di pelle bianca, Lydia, tenere sulla corda il maghrebino Krimo: la debordante affabulazione di quella schiaccia l'afasia improduttiva di quest'ultimo. La verbosità transalpina versus i silenzi coatti di un popolo culturalmente prosciugato e rinsecchito perché innestato in un contesto che continua a rigettarlo.

Senza peraltro assumere l'irritante aspetto di pamphlet, L'ESQUIVE produce squarci sulle ineludibili distanze tra le razze. Il negarsi di Lydia, infatti, rimane come una risposta assente al quesito di Krimo, che inspiegabilmente e ostinatamente la desidera: NON so se accettarti, NON credo di volerti veramente.
A fine recita, dopo che il ragazzo si era tenuto fuori scena dietro il vetro della scuola, Lydia passa a chiamarlo a casa, ma se ne va presto, mentre quello la osserva da dietro le tende, senza affacciarsi. Due mondi che si guardano, quindi, uno col passivo desiderio di essere l'altro (passando da povero a ricco, da arabo a francese), l'altro, sostanzialmente, fregandosene o rimandando infinitamente la decisione di accoglierlo.

Possiamo trovarci tutto, ne L'ESQUIVE, ma comunque sapremo che il film non ha mai voluto essere troppo diverso o più complicato rispetto a ciò che appare ad un'analisi immediata.
Un bellissimo, sincerissimo modo di raccontare realtà che non hanno bisogno di spettacolarizzazioni di sorta (LA HAINE?), ma che, allo stesso tempo, non chiedono di morire dentro un documentario in stile social geographic, privo per natura di aperture immaginifiche atte ad alleggerire il tono assunto in partenza.

Assolutamente non secondarie, a questo proposito, le prove degli attori: Lydia è una fantastica Sara Forestier, già attrice di mini-culto in patria, che presta un viso dolce e deciso a un personaggio complesso, forte e debolissimo, combattivo e impaurito, a suo agio nel bellissimo vestito di scena (stupenda la scena iniziale dell'acquisto, in cui, anticipando alcuni temi, Lydia patteggia un prezzo abbassato, in perfetto stile, per così dire, maghrebino) e nei panni della ragazzina di periferia, tutta giubbotti e sguardi adulti.
Altrettanto brava il suo opposto etnico, la serva Sabrine Ouzani.


VOTO: 30/30 e lode
17/02/2006

LA SCHIVATA
di Abdellatif Kéchiche