Povertà di
mezzi e ricchezza d'idee sono sempre stati due punti di partenza
fondamentali per un cinema "sociale" e di denuncia.
è questo il caso del
bellissimo, e non sufficientemente pubblicizzato, L'ESQUIVE/LA SCHIVATA, di
Abdellatif Kéchiche.
Il problema è, solitamente, quello di non cadere nei tic di questa categoria
estetico-produttiva "ambivalente", ovvero la deriva dello stile a favore
dell'inattaccabilità dell'assunto, che prosciugherebbe la voglia di generare
invenzioni di sorta.
Il regista, in questo caso, evita le trappole in cui cadono in molti,
attraverso un escamotage (che tale non è!), ovvero il continuo riferimento a
Marivaux, portando il teatro in strada e sollevando una domanda (che tale
non è, perché contiene già risposta): i rapporti tra gli esseri umani sono
esclusivo frutto di veti incrociati e vizi attitudinali agiti da gruppi
sociali e rapportabili allo schema ricco/povero, alto/basso,
centrale/marginale? Ovviamente sì.
La messa in scena (che tale non è, perché semplicemente ci aggiriamo per la
stessa banlieu di Matthieu Kassovitz) non mette alcun filtro tra realtà e
finzione/rappresentazione. I ragazzini che si sporgono per vedere cos'è la
vita e l'assaporano sotto forma di innamoramenti e scontri di micro-potere
locale, sono a tutti gli effetti i personaggi che incarnano e non
hanno bisogno, eccetto uno, di particolari sforzi per preparare la recita
scolastica (Marivaux, appunto).
è questa naturalezza - una
sorta di protesi dell'universo infantile - a dominare le dinamiche che
s'instaurano fra il gruppo delle femmine (hanno il potere nelle mani,
attorno a loro ruota tutto) e i maschi, bozzoli incompleti tesi tra silenzio
impotente e prevaricazione. La lite quotidiana tra le leader del gruppo
confluisce naturalmente nel testo, venendone subito rispecchiata
nell'asserzione di Lydia: se lei (per convenzione) è la serva in Marivaux,
non può comportarsi da ricca, e viceversa.
L'assunzione di una maschera per lo scambio dei ruoli sulla scena è
determinata dal desiderio di uscire dalla banlieu, rivendicando un
posizionamento nel mondo diverso da quello attualmente vissuto. Kéchiche ci
mostra l'universo adolescenziale mentre si allena alla finzione delle
categorie sociali, ma suggerisce che una precoce meditazione sul tema può
servire, da adulti, a ribaltare le parti e a sopravvivere.
Nel film vediamo la francese di pelle bianca, Lydia, tenere sulla corda il
maghrebino Krimo: la debordante affabulazione di quella schiaccia l'afasia
improduttiva di quest'ultimo. La verbosità transalpina versus i
silenzi coatti di un popolo culturalmente prosciugato e rinsecchito perché
innestato in un contesto che continua a rigettarlo.
Senza
peraltro assumere l'irritante aspetto di pamphlet, L'ESQUIVE produce squarci
sulle ineludibili distanze tra le razze. Il negarsi di Lydia, infatti,
rimane come una risposta assente al quesito di Krimo, che inspiegabilmente e
ostinatamente la desidera: NON so se accettarti, NON credo di volerti
veramente.
A fine recita, dopo che il ragazzo si era tenuto fuori scena dietro il vetro
della scuola, Lydia passa a chiamarlo a casa, ma se ne va presto, mentre
quello la osserva da dietro le tende, senza affacciarsi. Due mondi che si
guardano, quindi, uno col passivo desiderio di essere l'altro (passando da
povero a ricco, da arabo a francese), l'altro, sostanzialmente, fregandosene
o rimandando infinitamente la decisione di accoglierlo.
Possiamo
trovarci tutto, ne L'ESQUIVE, ma comunque sapremo che il film non ha mai
voluto essere troppo diverso o più complicato rispetto a ciò che appare ad
un'analisi immediata.
Un bellissimo, sincerissimo modo di raccontare realtà che non hanno bisogno
di spettacolarizzazioni di sorta (LA HAINE?), ma che, allo stesso tempo, non
chiedono di morire dentro un documentario in stile social geographic, privo
per natura di aperture immaginifiche atte ad alleggerire il tono assunto in
partenza.
Assolutamente
non secondarie, a questo proposito, le prove degli attori: Lydia è una
fantastica Sara Forestier, già attrice di mini-culto in patria, che presta
un viso dolce e deciso a un personaggio complesso, forte e debolissimo,
combattivo e impaurito, a suo agio nel bellissimo vestito di scena (stupenda
la scena iniziale dell'acquisto, in cui, anticipando alcuni temi, Lydia
patteggia un prezzo abbassato, in perfetto stile, per così dire, maghrebino)
e nei panni della ragazzina di periferia, tutta giubbotti e sguardi adulti.
Altrettanto brava il suo opposto etnico, la serva Sabrine Ouzani.
VOTO: 30/30 e lode
17/02/2006
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