"Aja
toro, aja toro!": così Rita Hayworth (Doña Sol) chiama Tyrone Power (il
torero Juan Gallardo) all'incornata sessuale in BLOOD AND SAND,
epitome di ogni contrapposizione manichea tra bene e male, love-crime and
punishment.
Eppure, nonostante il rigido schematismo, SANGUE E ARENA - prodotto dalla
20th Century Fox - contiene un nucleo, un centro assolutamente
geniale: la denuncia dell'inaffidabilità muliebre anche in materia di
fede.
Siamo a Siviglia e assistiamo ad un'accesa reprimenda da parte di suocera
(vedova e madre di toreri) nei confronti di nuora ingenua e tradita (Carmen
Gallardo nel film), colpevole di chiedere aiuto solo alla Madonna locale (la
Macarena sevillana) perché abbia termine la tresca tra l'incolto ma
ricco e famoso Juan, il coniuge, e l'erudita, fascinosa Doña Sol.
Il punto di vista della suocera è che anche la Vergine, femmina, sia
impotente per statuto e inaffidabile per natura, il ché spiegherebbe l'ineffettualità
delle sue precedenti invocazioni, rivolte per restituirle il marito
incolume.
"Io ora prego un dio uomo. Gesù ha un grande potere e gli chiedo che Juan
venga ferito, per potersi ritirare, e tu non abbia un figlio, perché
crescerebbe per tormentarti e farti morire tutte le domeniche, proprio come
stai morendo adesso...".
Strepitoso il salto successivo al primissimo piano della statua raffigurante
la Macarena, coi tratti e la voce della Hayworth (di cui è chiaro esserne il
doppio), intenta a rassicurare distrattamente - l'ascoltiamo addirittura in
viva voce - Dona Gallardo postulante miracoli e cambiamenti.
Il fade-out sulla Virgen apre a un fade-in
esplicativo sulla figura sinuosa della Hayworth, intenta, appunto, a toreare
Tyrone Power e successivamente tranquillizzare Dona Carmen (il cerchio si
chiude).
Mamoulian si ricorda, ogni tanto, del romanzo di Vicente Blasco Ibáñez
(1908) da cui è tratto il film (remake di una pellicola con Rodolfo
Valentino del 1922), anche se l'emergere del testo è occasionale, tale da
non indurre supposizioni di sorta su presunte volontà da parte del regista
di veicolare un senso preciso.
Lo sfruttamento di alcuni spunti offerti da Ibañez , come il ricorso alla
componente religiosa (sul versante di un opprimente cattolicesimo ispanico,
qui vagamente menagramo), contribuisce semmai a giustificare la puntigliosa
e fastosa costruzione dell'apparato scenografico, che rimanda costantemente
a Goya, e l'uso maniacale di un'illuminazione pittorica.
Di ipnotica bellezza alcuni studiatissimi e reiterati segmenti in quella che
dovrebbe essere la cappella adiacente alla plaza de toros; superflue, al
contrario, le concessioni al folklore locale (le coreografie delle danze
gitane).
Mancano, in definitiva, le sottigliezze di DR. JECKILL E MR. HYDE, uno dei
film di Mamoulian maggiormente incline all'introspezione psicologica.
S. E A. perde per strada alcuni passaggi e snodi (che fine ha fatto la
formazione madrilena del giovane Juan? dove sarebbe il corteo di
sicofanti? che senso ha non mostrare il ferimento di Nacional/John Carradine?
perché la madre non invecchia? da cosa trae forza la neo-vedova
Carmencita?), lasciandoci nel dubbio che Mamoulian, allievo di Stanislavskj,
abbia patito i dettami di quella lezione al punto da ribellarsi col suo
stile ridondante al rigoroso naturalismo appreso negli anni di formazione.
Ostinata la colonna sonora, basata su prevedibili linee melodiche che
attingono al flamenco e alle sevillanas, contrappuntati da un'exploitation
spietata (per lo spettatore/ascoltatore) del mesto tema di "Giochi
Proibiti".
Il periodo di Broadway - dopo l'Europa e prima di Hollywood - influenzò la
concezione proto-multimediale del prodotto-cinema da parte del regista di
CITY STREETS.
Interessante il cast, rinforzato da un giovane Anthony Quinn-Antagonista e
dalla splendida Linda Darnell/Carmen (ricchissima la sua filmografia), dove
Power e Hayworth gareggiano nell'interpretare se stessi.
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