ANALISI ESTESA DEL FILM
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Pochi anni fa, prima che Cannes e Berlino scippassero Nakata, Kurosawa e Shimizu alle rassegne che avevano pioneristicamente aperto la strada alla new tide asiatica (Torino e Udine in Italia), era ancora possibile vedere capolavori come KAIRO insieme agli altri seguaci del culto nascente, durante festival piccoli e accoglienti. Poi, come un falco, Hollywood è piombata sulla preda estremorientale, la gallina d'oro rappresentata da film già rodati, enormi successi in patria, che sarebbe bastato rifinanziare con budget sostanziosi e ripensare in termini di cast e ritmo. Dal 2003 è stato rifatto il trucco a RINGU (The Ring 1 & 2) e DARK WATER (id.) di Hideo Nakata e JU-ON (The Grudge 1 & 2) di Takashi Shimizu con risultati altalenanti - Salles e Verbinski vantano i migliori remake - al punto che la formula rischia già di essere soppiantata dalla semplice distribuzione del film originale con titolo inglese: THE EYE 1, 2 & 3 (Oxide e Danny Pang), TWO SISTERS (Kim-Jae Won), SHUTTER (Banjkong Pisanthanakun e Pakpoom Wongpoom), THE CALL (Miike Takashi). Maggior numero di pellicole, nessuna spesa aggiuntiva - pubblicità esclusa - e incassi medi soddisfacenti, anche senza il blockbuster di turno.
è possibile che si apra una terza strada: quella della concertazione/coproduzione al momento della scelta dei protagonisti asiatici o di un eventuale cast misto, ma è un terreno ancora insondato. Un conto, infatti, è lasciare che il film sia trainato da star globali - Zhang Ziji, Gong Li, Maggie Cheung, peraltro restie a concedersi all'horror, o anche Shu Qi, che da MILLENNIUM MAMBO è traslocata nel meno autoriale THE EYE - un altro è accettare attori privi di appeal per i mercati occidentali. Nel frattempo il 2006 ha offerto un ottimo esempio appartenente alla categoria dei remake yankizzati, ma con alcune interessanti varianti: A) innanzitutto nessun ricorso alle grandi star americane (Watts, Connely o Gellar) in PULSE, che rifà per mano di Jim Sonzero il KAIRO di Kurosawa Kiyoshi, passato in Italia 6 anni fa, ma mai in sala. Cult di alto livello, disturbante e geniale anche a sentire il genio-artigiano del throrror, Miike Takashi; B) oltre a ciò, nessuna esibizione di effetti speciali gratuiti, persino minori dell'originale.
Un approccio economico, snello e rispettoso del film giapponese. Se si perde qualcosa in termini di parametri culturali rispetto ai quali misurare la profondità del testo (Tradizione versus Tecnologia, cultura buddhista e relativa interazione tra mondo dei departed e di chi sta ancora transitando attraverso una delle vite), la chiarezza espositiva ne trae vantaggio, per la gioia degli americani, anche se il mistero iniziale viene un po' meno. Dai fioristi impiegati in un negozio posto ai soliti piani alti di un grattacielo di Tokyo, progressivamente coinvolti in una storia molto spooky di suicidi via internet, ma non legati fra loro da relazioni, storie, affetti, si passa a una più convenzionale college-story dove a scomparire per primo è il fidanzato di Mattie, molto in stile SCREAM o THE FACULTY. Rimane l'angosciante inattingibilità di volti che ti chiamano e risucchiano dallo schermo di un computer perennemente connesso - era però meglio KAIRO, dove addirittura il pc si autoaccendeva, viveva e pulsava come uno zombi domestico - e un'estetica alla DARK WATER: colori spenti, degrado urbano color seppia, ruolo dell'acqua. Qui evitiamo di aprire un capitolo sul ruolo simbolico dell'Elemento in questione, che nella dottrina del Tao è la stagnazione, lo stato di pre-morte. "Le informazioni corrono per la Rete, con esiti incontrollabili. Josh, e poi gli amici del college, si perdono in una spirale di allucinazioni, incontri virtuali poi soprannaturali, con spiriti che li chiamano a un confronto, o resa dei conti, in cui la condivizione non è più quella dei file, ma della linfa vitale. La vita scorre via cavo e si rimaterializza in ambienti corrotti dall'onnipresenza di Internet, che osa violare il confine tra mondi, linee territoriali un tempo fissate, tabù, culture.In KAIRO c'erano le piccole stanzette della capitale giapponese, qui si respira un po' di più nelle camere del college, ma il bello è che questi luoghi mostrano finalmente la propria dark side, virata d'azzurro e attraversata da colori desaturati, e inscenano un Teatro della Debolezza, della Ritirata di fronte al Male, che pensiamo sia salutare a confronto con gli ipervitaminizzati teenage-movies del decennio in corso. C'è anche un po' di HALLOWEEN 3 e di THEY LIVE, con le tv che si bloccano e non riescono a comunicare messaggi di salvezza collettiva, per poi predisporsi a veicolare il virus mortale. Verso la fine c'è un attimo molto alla SEME DELLA FOLLIA, mentre un altro film imparentabile a PULSE è il trash PAURA.COM, ma estremo e livido, marcio, malato. Il fatalismo orientale che lasciava vivere nel privato la chiamata dei morti, qui genera inutili tentativi di autodifesa collettiva e organizzazione, ultima risorsa dell'americano in lotta per difendere confini e frontiere contro un nemico liquido imbattibile, .Ma il regista fa Sonzero di cognome ed è garanzia di parziale obiettività. Il film procede con una certa forza, seppur fedele ad una chiarezza di schema narrativo troppo ripetitiva - studente muore chiama studente che muore il quale chiama studente che... - sino ai finali sovrannaturali impoveriti dalla semplice univocità dello scambio della merce-vita tra spiriti internettari e hackers maldestri. |
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