MUD
Il denominatore comune tra i 3 festival di Woodstock (1969, 1994, 1999)
è stato il fango, mud, in cui gettarsi e scivolare per operare una
catarsi dal segno ogni volta diverso: la generazione del Flower Power
dichiarava così la sua comunione con gli Elementi e ribaltava l'immagine
mediatica del fango vietnamita, pantano per gli ideali di pace, portando la
Terra ad essere Acqua, come nelle bucoliche scene di nudismo fluviale
collettivo; la Generation X che aveva appena sepolto Kurt Cobain lo modella
invece come un'argilla per body-art o performance istantanea destinata a
rivelare il marcio in cui arrancano i ventenni del '94, svezzati a colpi di
grunge, "senza un cazzo in cui credere", interessati solo ad
autorappresentare la loro realtà disastrata (Trent Reznor dei Nine Inch
Nails cantava quasi fosse Martin Sheen in APOCALYPSE NOW, emerso da un bagno
nella melma); puro divertimento, invece, per i ragazzini nati all'inizio
degli anni '80, nel segmento finale del documentario di Barbara Koepple,
forse perché era stata concessa a tutti qualche ora di libera uscita prima
del diluvio di petrolio che copre la bara in cui giacciono gli U.S.A. dal
2000.
Il discrimine tra le due estremità temporali sta nel fatto che Charlie
Manson ordinava di squartare Sharon Tate a Cielo Drive, località Bel Air, un
paio di giorni prima del festival del 1969, ma nessuno avrebbe mai pensato
che l'hyppie "musicista" potesse incarnare il Male in tempi di Peace, Love &
Understanding, mentre Reznor si chiuse proprio in quella spelonca maledetta
- Casa Polanski - per prepararsi all'Evento, respirare l'odore del sangue di
Folger-Frykowski e cogliere lo Zeitgeist dell'epoca. Per qualche settimana
fu il suo studio di registrazione. Qualcuno è anche morto durante
l'esibizione dei N.I.N.
Un solco netto va tracciato, per non creare equivoci di ordine
ermeneutico, affermando quanto segue: nessuno ricorda gli intermezzi tra
le canzoni nel film del '69, pura eversione rock, nessuno fa caso a chi
suona in MY GENERATION o, se capita, non è per la qualità della musica.
è la Storia che dispone
steccati e determina le gerarchie, non la ybris senza tempo dei Figli
dei Fiori: come dicono Peter Gabriel e Todd Rundgren alla Koepple, ciascuna
generazione (siamo sempre lì) deve difendere le sue icone - chi se ne frega
di Santana se ho a disposizione Henry Rollins o Perry Farrell! - ma è palese
che la Casa del Rock non possa stare in piedi senza i pilastri Hendrix, Who,
Janis Joplin, Jefferson Airplane, Neil Young, mentre Green Day, Porno for
Pyros e Red Hot Chili Peppers troveranno spazio su Google al massimo come
transeunti elementi d'arredo. Nessun demerito o colpa, se non quella
di essere nati out of time, fuori tempo massimo.
Una Woodstock del '77, invece, avrebbe avuto più senso di ogni altra!
Eppure il film di Koepple è sadomasochisticamente attraente, così impietoso
nell'inscenare la spontanea atrocity exhibition della gioventù che si
piega su se stessa, entrando nei nuovi corpi deformati dal tempo, sino a
incarnarsi in vecchi campeggiatori con lo spinello o l'acido in una mano e
il cellulare nell'altra.
Il bello e l'orrido del Rock è proprio questo: un'Arte Sempre Giovane legata
all'idea di lasciare bellissimi cadaveri non toccati dal tempo (Morrison,
Joplin, Elvis) è obbligata progressivamente a fare i conti con zombie e
mummie guidati da Mick Jagger, Keith Richards, Steven Tyler, inguardabili,
senescenti, pronti per l'ospizio, eppure costituenti un problema da
risolvere.
Nel 1994 tutti i leader musicali del passato avevano superato i cinquanta e
ciò che si coglie in MY GENERATION - i Joe Cocker e i Carlos Santana da
reparto geriatria - è l'inizio della fine di quell'idea di immarcescibilità.
Oggi, 2007, il senso profondo del lavoro di Koepple ha infine generato una
piena consapevolezza imprenditoriale: il pop (non esiste più vero
rock'n roll) va scisso in tre categorie d'età e altrettante classi di
fruitori.
A) I Nonni, dai sessanta in su, fanno musica che non può lordare la levigata
bidimensionalità da photoshop dei videoclip, ma finalmente i loro
cd (che oggetto arcaico è mai questo?) vanno al primo posto nelle Hit
Parade (che termini desueti!), acquistati da altri nonni che hanno i soldi
per comprarseli e l'inettitudine per downloadare.
Dylan, Stones, Aerosmith, Avanzi di Beatles.
B) Gli Inutili, dai 18 ai 28 di età, infettano SOLO lo spazio-tempo di Mtv,
entro il quale nascono-vivono-si dissolvono: teenager music, boy-bands,
spiraguilere, robbi uilliams, bionsé varie...sino, brucia doverlo
ammettere, all'infetta e corrotta non-scena dell'hip-hop, i piffi-diddi, i
giei-zi...
Anche per loro le classifiche sono territorio di caccia e, in più, arredano
casa con gremmiauords sganciati dalle Major discografiche con
sospettà generosità.
C) I Giusti - c'è sempre un Giusto in ogni storia che si dica tale -
lavorano nell'oscurità, sono sicuramente giovani, ma spesso hanno
un'identità anche anagrafica sfumata dallo schermo velatissmo del Web: fanno
musica in provincia, a parte alcuni casi NON si arricchiscono, vivono coi
soldi delle tournée e hanno un pubblico tutto internettaro, che downloada un
secondo dopo la messa on line dei pezzi.
MY GENERATION ci fa capire come si è d/evoluta la cultura musicale in più di
trent'anni e fa molta più sociologia del primo film.
Sono i ragazzi a occupare la scena, tra un acido posticcio e il racconto
angosciato delle bollette da pagare-il lavoro che manca- il fucile col colpo
in canna- l'assenza di priorità e ideali.
I due/tre giorni di vacanza dei Woodstock '94 e '99 sono stati per loro una
breve, significativa oasi pacifica nel mare dell'assordante Nulla.
La
stirpe dei Padri, invece, viveva saldamente ancorata a three, four issues,
come le definiscono ironicamente, colmi d'invidia e rancore, i Figli: Pace,
Amore, Comprensione, Musica.
La regista seleziona e opportunamente accosta i sorrisi infiniti dei
SixtyNiners e l'apatia aggressiva dei NinetyFortie(r)s delle prime file del
pubblico, prima seduto sul proprio relax oppiaceo, quindi - venticinque anni
dopo - lanciato verso la m.d.p. con il vuoto risentimento che non avevano
nemmeno i punk delle origini.
Peggio di loro, però, il punkrocker finto e stanco Henry Rollins.
A chi gli domanda se avrebbe affrontato fango e pioggia come fa il suo
pubblico e se rimpiange i vent'anni, risponde grondante cinismo: "Sei pazzo?
Io ne ho 33... meglio stare al Marriots Hotel che in questo casino!".
Passato con ottimo riscontro di pubblico e critica alla 57.ma Mostra del
Cinema di Venezia, nel 2000, MY GENERATION è diventato grazie a Dolmen un
dvd imperdibile, perché restituisce "il" documentario musicale come dovrebbe
essere: scansione di piani temporali, taglio da inchiesta a 360 gradi,
nessuna concessione all'estetica da videoclip, predisposizione all'attacco
del fortino dello star-system e ironia verso i musicisti di oggi, piatti,
apatici, risentiti.
Stupendi gli inserti del concerto del 1969, riproposti in b/n virato sul blu
e di stupefacente nitidezza. Nella loro perentorietà (ri)evocativa, sembrano
migliori dell'originale e messi a confronto con le repliche svelano
l'incredibile potenza di una musica che aveva nei testi e
nell'interpretazione la propria forza.
Inevitabile che tutto si chiuda con un'istantanea del '99: la marea di volti
si gira verso un enorme video-wall e tributa l'ovazione più grande ad un
artista virtuale, che transita fantasmaticamente su quel palco
bidimensionale: è un nero, mancino e impugna una Stratocaster bianca.
dolmen
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