Lilja ha sedici anni, vive nella periferia
dell'ex Unione Sovietica e non vede l'ora di partire per gli Stati Uniti con
la madre e il di lei fidanzato. Si affretta quindi ad annunciarlo a
chiunque, inizia a tagliare i ponti con quel mondo di degrado, prepara le
valigie. Ma la madre preferisce ricominciare la propria vita senza di lei, e
l'affida a una zia con la (vana) promessa che le manderà del denaro per
permetterle di raggiungerla il più presto possibile. In un ambiente in cui
non esistono pietà, altruismo (e meno che meno amore) Lilja è abbandonata a
se stessa. Immediatamente spedita dalla zia in un appartamento sudicio,
senza luce né riscaldamento, sarebbe completamente sola se con lei non ci
fosse Volodya, undicenne senza fissa dimora che a volte dorme sul suo
divano. Insieme cercano disperatamente una felicità che però non gli è
consentito raggiungere, se si esclude quella artificiale data da sniffate di
colla e medicinali presi alla rinfusa.
La prima parte del film sfiora la perfezione: personaggi ben definiti,
equilibrio tra immagini, musica e dialoghi, uso penetrante della macchina da
presa (con qua e là le zoomate sui volti dei personaggi che sono ormai una
cifra distintiva del regista).
La scena iniziale, flash forward di notevole impatto, anticipa che per Lilja
non ci sarà scampo, e contribuisce a quel senso di tragedia incombente che è
poi la struttura portante del film. Moodysson dimostra di saper raccontare
quella che poteva essere "la solita storia" in modo pulito e senza
sbavature, senza scadere nel già visto.
Da un certo punto in poi, quando tutti gli ingredienti sono stati inseriti
all'interno del racconto, il film prende l'unica strada possibile: per poter
mangiare Lilya inizia a prostituirsi; quindi appare il ragazzo dolce e
carino - Andrej - che vuole stare con lei senza ricevere nulla in cambio e
che le propone una via d'uscita.
Andare in Svezia con Andrei a raccogliere verdura è l'ultima illusione,
perché appena scesa dall'aereo si ritrova (ma ce lo aspettavamo) nuovamente
nel giro della prostituzione, ma questa volta non è una sua scelta. E se
prima gli incontri con i clienti erano mostrati attraverso la soggettiva di
Lilja (e la variegata serie di uomini ansimanti è un ottimo momento del
film) ora lo sono in prospettiva capovolta, mostrandoci la novella Cabiria
felliniana sub specie di oggetto sessuale.
Come già ci aveva abituato in
Fucking Amal e Together,
Moodysson riesce nell'impresa di farci affezionare ai personaggi e al loro
mondo, aiutato in questo anche da interpreti validi (che, fra l'altro, sono
per lo più dei non professionisti). Pessimismo e senso d'angoscia non sono
mitigati neanche dalle apparizioni di Volodya, nei momenti più disperati, in
veste di angelo protettore: il paradiso esiste, ma la felicità non si trova
neanche lì.
Con questo film Moodysson ha senz'altro virato verso l'alto, lontano
dall'atmosfera - tutto sommato - sbarazzina di
Together, in cui le zone
drammatiche della storia venivano risolte nel gioioso e giocoso finale.
Qui invece ha "duellato" con la Tragedia.
VOTO: 28/30
17/02/2006
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