RECENSIONE DVD ED EXTRA

LA LUNA
di Bernardo Bertolucci
Italia/USA 1979

Con Jill Clayburgh e Matthew Barry

di Marco Grosoli

Finalmente un dvd che fa giustizia di un grandissimo film trascurato oltraggiosamente dagli ultimi anni di palinsesto televisivo. E che aggiunge un'intervista molto significativa a Bertolucci, grande autore che l'Italia ama così e così, gli tributa appena l'obolo della gloria mediatica ma davanti a film drammaticamente personali, come questo La luna o The dreamers, fa orecchie da mercante e rinuncia a capirlo.
Del resto, il bello dell'intervista a Bertolucci nel dvd non è tanto la sua spiegazione del film, ma come egli salti sopra e al di là della spiegazione per deviazioni sempre nuove (si mette a parlare di Barthes, Renoir, Pasolini...). Il film è tutto in questo movimento: il difficile rapporto tra Joe, quindicenne che scopre l'eroina, e la madre soprano dopo la morte del pater familias, non vale tanto come quadretto edipico (pur tirato fino ai margini dell'incesto) quanto come sfondo inattingibile di una serie infinite di fughe. Non un tema da far preda di variazioni, ma una spinta regressiva che è in sé vitale liberazione centrifuga. “Edipo è il teatro e il teatro è Edipo” si diceva giustamente negli anni 70 – ma allora si tratterà di prendere di petto il teatro, correre in mezzo al suo baraccone artificioso (Verdi, il drammone cocteauiano...), tra i suggeritori e i marchingegni meccanici di scenografia, come fa Joe quando va a vedere la mamma cantare, per scoprirsi “cinema” nella misura in cui la macchina da presa svolazza di palo in frasca senza un vero “teatrale” centro. Come nel finale, in cui la frontalità del teatro trova un senso solo nella sua complicazione cinematografica in una rete di sguardi aperta alle “n” dimensioni.
E infatti Edipo coincide con il suo autoliquefarsi in mera contingenza: l'incipit del film a questo proposito è chiarissimo. Sì, vediamo un padre che ruba la madre al figlio il quale piange, ma la macchina da presa anziché spazializzare il conflitto intorno ai personaggi si frange e frantuma in mille direzione diverse, in aperture ininterrotte (l'aereo sopra le loro teste, il gomitolo che si dipana per sbaglio, il pallone che rotola...) altrove. Insomma, Edipo non vuol dire incarognirsi sul melodramma padre-madre-figlio: Edipo coincide con la fuga da Edipo, con l'apertura verso lo spazio. Per questo dicevamo che La luna è una fuga continua: da New York a Roma alla pianura padana a Roma ancora... Ed è soprattutto la macchina da presa a fuggire, a voltare la faccia al melodramma nel momento in cui ci sbatte la testa, tessendo articolatissimi movimenti che prendono in mezzo suggestioni frammentarie di senso o prive di centro o aventi un centro (p. es. il punto di vista di un personaggio) che non ha serie prerogative gerarchiche sul resto, ma fluisce insieme a tutto quanto. Ecco: proprio questa fluidità rende lo stile di Bertolucci non un semplice mosaico libero e “arty” di cose eterogenee, ma, in prima battuta e addosso ai nostri stessi sensi, l'anima impalpabile della fuga. Un movimento senza corpo, quale è la Voce (e la voce, qualunque psicanalista dilettante può dirlo, è la voce della madre, il sogno del ventre materno ben vivo e sonante) – e perciò tutto l'ambaradan di artificio teatrale va a finire nell'inquadratura finale della madre soprano che canta a squarciagola verso la macchina da presa, così come lo stile di Bertolucci si fa macinare e cancellare dal proprio stesso fondamento che è il movimento, che sempre nei suoi film finisce per crearsi una paradisiaca consistenza autonoma. Balla da solo, se così si può dire, e incarna la totalità “mitica” (materna) a monte e a valle (simultaneamente) della frammentazione visiva. La fuga dalla madre (da Edipo) si riapparenta con la continua fuga “della” madre, e le due cose si ricongiungono: in fondo il rapporto tra Joe e mamma Caterina è tutto qui.
Non c'è un'Origine a cui tornare (e dunque un Destino da cui non si possa fuggire): la casa di Verdi, da cui tutta la vita e carriera della mamma di Joe è cominciata (e diciamo pure che lì è nato anche il cinema di Bertolucci), è da lei presentata solo come quel punto fermo in cui il Maestro imbastiva le sue fughe in Egitto, o da Lady Macbeth, o verso Rigoletto... Sempre, si fugge sempre, l'asfissia degli interni si ribalta violentemente negli esterni, e ritorna il gioco alla Bataille già collaudato in Ultimo tango per cui la profondità (del sesso, del melodramma) si converte nella superficie di pure concrezioni cinematografiche. L'incontro tra due irrecuperabili isterie, quella di Joe e della madre, non sfocia nella pazzia ma va dritto al cuore del problema: il caldo ventre materno ci schizza irrimediabilmente fuori, sulla cangiante superficie del mondo, ed è proprio da lì (così come la macchina da presa schizza verso il mondo per scoprirsi “voce materna” nella sua esasperata fluidità) che possiamo contemplare, come avviene a più riprese nel film, la luna...

DOLMEN

LA LUNA
di Bernardo Bertolucci