Il signor Zao (James Hong), anziano cuoco cinese ormai in pensione e
autodestinatosi all’ospizio, ritrova un motivo di vita nell’incontro con
Sarah Silver (Leelee Sobieski), una ragazza australiana trasferitasi a
Parigi per lavorare come sostituta attrice a teatro. Le due opposte
personalità – servizievole e posato lui, capricciosa e istintiva lei – in
qualche modo si attraggono e Zao trova nella giovane bisognosa di attenzioni
un oggetto da accudire e idolatrare. Il curioso rapporto suscita le reazioni
indignate (o interessate, come nel caso del ferroviere Castellac, esatta
controparte del posato cinese) dei condomini, ma è soprattutto messo alla
prova dalla passione animalesca di Sarah nei confronti di Philippe, primo
attore nel suo spettacolo, e dalla gelosia verso la di lui moglie, ovverosia
l’attrice di cui lei fa la vice.
Con L’IDOLO, Samantha Lang esplora il tema della devozione, sentimento di
difficile comprensione e di forza inusitata, spesso confuso con il
servilismo, ma che assume nelle premure, nella pazienza di Zao, ben altra
dignità. E Sarah incarna il bisogno di cura. Il suo è un personaggio
tormentato, solo e condannato alla finzione. Sarah sembra recitare anche
quando non sta provando per il suo spettacolo, tanto da dare l’impressione,
almeno inizialmente, di una forzatura artificiosa nella recitazione da parte
della Sobieski. Ma è tutto funzionale al personaggio, come esplicita la
stessa Sarah nel momento in cui domanda al signor Zao: “Secondo lei, noi
stiamo recitando?” (E non si fa attendere la risposta in piena linea con il
sociologo Erving Goffman, “Noi recitiamo sempre”. Il tutto, ovviamente, in
quanto detto da due attori all’interno di un film assume un preciso
significato metacinematografico).
Dominano, nella messa in scena, le linee verticali degli interni di
appartamento, unite al senso di vertigine alto-basso della scala a
chiocciola del palazzo in cui abitano i protagonisti e del cortile su cui si
proiettano le loro finestre. La vertigine è forse quella provata da Sarah,
gettata in terra straniera, in un’abitazione in cui è chiaramente di
passaggio (come testimonia lo scarno arredamento), percorsa nel corpo e
nelle azioni da pulsioni primarie che non riesce a indirizzare in maniera
produttiva.
Altro elemento chiave, il colore. Ogni scena è caratterizzata dalla decisa
dominanza di una particolare tonalità cromatica: soprattutto, i caldi gialli
ed arancioni della casa di Zao in contrapposizione ai verdi e blu lividi
dell’appartamento di Sarah nelle ore notturne. Fino ad arrivare, nella scena
chiave della cena a casa di Zao, al rosso (ripreso dal suo arredamento così
come dall’abito di Sarah) di una passione trasversale, che nulla concede
alla carne ma che si fonda su di un legame altrettanto potente. Una
passione, per l’appunto, fondata sulla cura e sulla dedizione da una parte,
e sul carisma dall’altra.
Ma emerge, in seguito alla visione, un’ipotesi silenziosa: il fedele cerca
un senso nell’idolo. Ma l’idolo, privato dei suoi fedeli, non ha più alcun
senso.
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