ANALISI ESTESA DEL FILM

L'IDOLO
di Samantha Lang
Francia, 2002
Con Leelee Sobieski, James Hong

di Marco AGUSTONI

Il signor Zao (James Hong), anziano cuoco cinese ormai in pensione e autodestinatosi all’ospizio, ritrova un motivo di vita nell’incontro con Sarah Silver (Leelee Sobieski), una ragazza australiana trasferitasi a Parigi per lavorare come sostituta attrice a teatro. Le due opposte personalità – servizievole e posato lui, capricciosa e istintiva lei – in qualche modo si attraggono e Zao trova nella giovane bisognosa di attenzioni un oggetto da accudire e idolatrare. Il curioso rapporto suscita le reazioni indignate (o interessate, come nel caso del ferroviere Castellac, esatta controparte del posato cinese) dei condomini, ma è soprattutto messo alla prova dalla passione animalesca di Sarah nei confronti di Philippe, primo attore nel suo spettacolo, e dalla gelosia verso la di lui moglie, ovverosia l’attrice di cui lei fa la vice.
Con L’IDOLO, Samantha Lang esplora il tema della devozione, sentimento di difficile comprensione e di forza inusitata, spesso confuso con il servilismo, ma che assume nelle premure, nella pazienza di Zao, ben altra dignità. E Sarah incarna il bisogno di cura. Il suo è un personaggio tormentato, solo e condannato alla finzione. Sarah sembra recitare anche quando non sta provando per il suo spettacolo, tanto da dare l’impressione, almeno inizialmente, di una forzatura artificiosa nella recitazione da parte della Sobieski. Ma è tutto funzionale al personaggio, come esplicita la stessa Sarah nel momento in cui domanda al signor Zao: “Secondo lei, noi stiamo recitando?” (E non si fa attendere la risposta in piena linea con il sociologo Erving Goffman, “Noi recitiamo sempre”. Il tutto, ovviamente, in quanto detto da due attori all’interno di un film assume un preciso significato metacinematografico).
Dominano, nella messa in scena, le linee verticali degli interni di appartamento, unite al senso di vertigine alto-basso della scala a chiocciola del palazzo in cui abitano i protagonisti e del cortile su cui si proiettano le loro finestre. La vertigine è forse quella provata da Sarah, gettata in terra straniera, in un’abitazione in cui è chiaramente di passaggio (come testimonia lo scarno arredamento), percorsa nel corpo e nelle azioni da pulsioni primarie che non riesce a indirizzare in maniera produttiva.
Altro elemento chiave, il colore. Ogni scena è caratterizzata dalla decisa dominanza di una particolare tonalità cromatica: soprattutto, i caldi gialli ed arancioni della casa di Zao in contrapposizione ai verdi e blu lividi dell’appartamento di Sarah nelle ore notturne. Fino ad arrivare, nella scena chiave della cena a casa di Zao, al rosso (ripreso dal suo arredamento così come dall’abito di Sarah) di una passione trasversale, che nulla concede alla carne ma che si fonda su di un legame altrettanto potente. Una passione, per l’appunto, fondata sulla cura e sulla dedizione da una parte, e sul carisma dall’altra.
Ma emerge, in seguito alla visione, un’ipotesi silenziosa: il fedele cerca un senso nell’idolo. Ma l’idolo, privato dei suoi fedeli, non ha più alcun senso.

L'IDOLO
di Samantha Lang