ANALISI ESTESA DEL FILM

IL CUSTODE
di Tobe Hooper
USA 2005
Con Dan Byrd, Stephanie Patton

di Gabriele FRANCIONI

L'horror in tempo di guerra dispone percorsi narrativi e coordinate spaziali seguendo l'asse di una verticalità sulla quale si muovono, come in un ascensore, le ultimissime declinazioni dello zombie moderno.
L'opzione è la sovversione del sottosuolo, che erutta corpi desideranti (risposte), seguendo la logica meta-inter-sottotestuale del film di genere, dove le linee di forza muovono sempre dal basso - la condizione reietta del popolo, del trapassato, dell'atto sessuale - per mettere in parata gli effetti del Potere (l'Alto) di cui esse/i (le forze, i corpi) sono riflesso fisiologico.
I soldati morti in Iraq (Joe Dante, in "Masters of Horror 2005") tornano per reclamare il diritto al voto contro la guerra, l'homeless inurbato/emarginato, ma adattivo (Romero, DAWN OF THE DEAD), per esigere spazi vitali nel grattacielo (verticale, solare) che è cresciuto ignorando il genius loci.
Hooper, appena fuori dall'edificio ctonio del decente TOOLBOX MURDERS (2004), sembra accecato da tanta evidenza testuale presente nel comune territorio espressivo dei colleghi - la stessa di PRO-LIFE (Carpenter, "Masters of Horror 2006") o DESCENT (Neil Marshall) - al punto da ignorare la traccia principale della sceneggiatura.
I Fowler, allevatori trasferitisi a Pomona (Inland Empire, il sito reale), assistono allo sterminio del bestiame, che offre il proprio sangue a un'indefinita cthulhu sotterranea annunciatasi sotto forma di terreno inaridito, reclamante più vita: da qui la necessità di riciclarsi come becchini/imbalsamatori (e quindi prendersi cura dei defunti). Bobby Fowler nasce deforme e rimane, ultimo discendente, a fare da porta/ponte aperto sull'Ade, attraverso un pozzo dentato che ingoia i suoi sacrifici umani (nuovo sangue), ciclicamente ri-vomitati sub specie di zombi. Il film racconta di una famiglia decapitata della figura paterna, che rimette in moto l'obitorio, ma si scontra con B., sopravvissuto nel cimitero antistante (graveyard/frontyard).
In forma di apologo socio-politico, MORTUARY avrebbe raccolto lo spunto iniziale: se l'opzione è sempre e solo il denaro (gli allevatori, i becchini, comunque profitto: si veda l'arrivo dei crookers dalla vicina autostrada, il mercanteggiare tra le bare etc), le trivelle al contrario azionate nel sottosuolo lavoreranno senza sosta. Alternativamente, abbandonato lo studio della verticalità semantica, il regista avrebbe potuto abbracciare l'orizzont(al)e di Inland Empire, lasciandosi andare ad esplorazioni del male in atto (desertificazioni, erba che non cresce, binari e strade come ferite) e a narrazioni solo visive e visibili del sopraterra. In tale ottica, la contrapposizione programmatica dell'incipit (inquadrature alternate di tombino/fossa settica e di un treno), sembrava annunciare l'assoluta chiarezza dell'assunto, dove orizzontalità (urbanizzante) e verticalità convocavano una pluralità di formidabili tracce tematiche.
Tobe Hooper, invece, procede in modo ondivago, per stimolazioni successive, in preda a raptus da regia televisiva perché troppo intento a seppellire i segni di tanta sovversione testuale con l'uso di un'estetica low-budget (le ramificazioni del fungo onnipresente, sulle pareti, sui corpi) e l'abuso citazionistico di materiali innecessari (da H.P Lovecaraft: "That is not dead which can eternal lie, and with strange eons even death may die", "Il richiamo di Cthulhu", 1926, riportato tale e quale nei dialoghi).
Il corpo del film si sdoppia, poi si moltiplica (l'inutile tratteggio da college-movie dei teenager), ma produce un lavoro non ricco e opaco, nemico della trasparenza ideologica, al punto che, negli interstizi degli extra, troviamo Hooper nei panni del dirottatore, intento a seppellire in tutti i modi il senso del film ("M'interessava la fossa settica, che tracima dopo 50 anni senza manutenzione e produce il fungo").

Sorta di Carpenter-light, il regista di POLTERGEIST (ma anche di THE MANGLER) riesce comunque a produrre overdosi di humour nero: l'incipit fulminante con la risata compulsiva di Greg Travis o la coazione a ripetere da morti frasi-cardine sul proprio posizionamento nel sociale (il disadattato: "Shut up, punk!", il marshall: "This town takes violence seriously") o l'evocazione collettiva del finale ("Blood feast, blood feast!").
Testa e coda, anche per la confezione artigianale, sublimi, ma posizionate alle estremità di un grande vuoto.

IL CUSTODE
di Tobe Hooper