Un esempio più unico che raro di film italiano recente che si misura con
moduli narrativi di sfrenata e modernissima ambizione. E con un impianto
figurativo che dietro una facciata in apparenza pigramente almodovariana
nasconde una visione sorprendentemente matura di che cosa sia la finzione, e
dove e come si collochi.
“Tutto è illusione” dice chiaro e tondo il prestigiatore che già dalla prima
scena racconta alla sua bella la storia di Emma e Sal, due infelici (secondo
lui) che continuamente si illudono (secondo lui) di amare. Tutto il film
vedrà i due sbattere sempre contro gli stessi errori: tradimenti, scambi di
coppia, affari inconcludenti, debiti, botte dei creditori – e nel frattempo
fanno finta di non conoscersi (lui adotterà alla bisogna un paio di baffi e
lo pseudonimo di “Tore”) e di essersi incontrati per caso, per ravvivare il
proprio rapporto. E anche alla fine non perdono la voglia di ricominciare
daccapo pur sapendo che i loro fallimenti si ripeteranno in maniera del
tutto identica a sempre. Agli spettatori (ahimé pochi alla sua uscita nel
2001) decidere se hanno ragione loro oppure il soddisfatto ma asettico e
spento (per non parlare della consorte) prestigiatore-narratore.
L'eterno ritorno del medesimo scacco, della medesima impasse della Coppia,
viene assecondato da Corsicato, oltre che con una sceneggiatura di
magistrale e calcolata paradossalità spazio-temporale, con la consapevole e
studiatissima ripetitività delle situazioni, degli eventi, dei dettagli,
delle vicende, di tutto. Tutto si avvita nel già visto fino a lambire la
meccanicità, del resto acuita da luci, architetture, dialoghi, musiche e
scenografie sfacciatamente artificiose, per non parlare dei frequenti
balletti o del tema della circolarità ribadito a più riprese (a cominciare
dal letto rotante del prestigiatore).
Il tutto, insomma, compone un quadro stilistico di quell'inconfondibile
surrealtà camp, tutta stilizzazioni civettuole e digressioni estemporanee,
debitrice di una certa estetica omosessuale, a cui solitamente si affibbia
la targa “Almodovar”. Attenzione però: un Ozon qualsiasi (Otto
donne e un mistero), tanto per non fare nomi, parte da coordinate
simili ma si limita a compiacersi squallidamente dell'artificio, e ci marcia
con la stessa cinica mediocrità del prestigiatore-narratore e della moglie
che incorniciano Chimera.
Corsicato invece, appunto come i suoi Emma e Sal/Tore, non si arrende alla
(circolare) inevitabilità “chiusa” del racconto (e del Destino), e la
riprende e la ri-racconta in prima persona (non come il prestigiatore che
racconta di altri per non vedere il disastro della sua situazione di
coppia), appassionandosi alle variazioni piccole e grandi, ai dettagli che
schizzano via, aggrappandosi a quello che i miserabili cinici chiamerebbero
“illusioni”. Certo, la cornice del prestigiatore è decisivamente intrecciata
al racconto “centrale”, ma appunto l'enorme valore di questo film sta nel
tentativo caparbio di svellersi giocosamente dalla sua stretta, di liberarsi
dall'eterno ritorno di ciò che il destino ha già scritto, che è
l'impossibilità dell'unione di uomo e donna. Di riconoscere l'amore
precisamente nel sentire non solo questa impossibilità, ma anche (e
contemporaneamente) la spinta irresistibile a ricostruirla, riviverla,
ricrearla, riappropriarsene pur sapendo che lo scacco si riproporrà
puntuale.
Pappi Corsicato è tra i rarissimi cineasti italiani di oggi a saper
raccontare l'amore, perché come la sua Emma, che all'inizio del film dice
“Che bella luce, come nel sogno di stanotte – però non te lo racconto”,
reagisce all'inevitabilità asfissiante dello Spazio (al centro della sua
ricerca figurativa, oltre che delle sue simmetrie narrative) voltandosi a
guardare negli occhi la Luce.
Ma del resto a rischiarare ulteriormente il concetto ci pensa già la nota di
Corsicato all'interno del dvd della Dolmen, grazie al quale è possibile
riscoprire questo piccolo e isolato capolavoro con i suoi perfetti e
nitidissimi contrasti cromatici, corredando il tutto con un ricco carnet di
contenuti speciali soprattutto a carattere informativo su regista e attori.
Per farci capire ulteriormente quanto sarebbe bello il cinema italiano se
solo esistesse, se solo cioè si facesse lavorare gente di enorme talento
come Corsicato che invece di recente fatica a ricevere l'attenzione dei
produttori.
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