ANALISI ESTESA DEL FILM

 

MY ARCHITECT
A SON'S JOURNEY
di Nathaniel Kahn
USA 2003

Con Edwina Pattison Daniels

di Gabriele FRANCIONI

LOUIS KAHN, ARCHITETTO

 

Louis Kahn  è stato uno dei grandi maestri dell'architettura del XX° secolo, più precisamente della seconda metà del secolo. Se tutti concordano, per i cinquant'anni precedenti, su Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto, Mies Van Der Rohe e Gropius come pionieri della modernità (muoiono rispettivamente nel 1965, 1959, 1974, 1969 e 1969), il periodo successivo è più controverso.

In realtà il seme della discordia era stato già portato all'evidenza della critica prima dell'esplosione del cosiddetto Postmoderno: come si poneva il Moderno di fronte al contesto (storico, spaziale), al genius loci , dal momento che sembrava imporre una sostanza formale astorica, fredda e rigida a luoghi dotati di un'anima, o almeno di una stratificazione di segni sedimentati attraverso il tempo?

Per la gente, moderne sono le palazzine della speculazione del dopoguerra (periferie italiane docent) e quindi sembra inevitabile incolpare di quelle brutture almeno tre dei cinque geni sopra elencati. Ma, se si passa l'azzardatissimo parallelo, è un po'come il comunismo che ha fallito: non hanno colpa gli inventori , ma i seguaci senza talento.

Sta di fatto che, nonostante i molteplici atti poetici degli intoccabili  (tutti dovrebbero conoscere almeno Chandigarh, Rovaniemi, il Guggenheim di New York e il Seagram Building nella stessa città), loro hanno creato le matrici che architetti mediocri hanno replicato in varianti infinite e deprimenti.

Tutti coloro che hanno iniziato a praticare architettura nel dopoguerra (il vero esordio di Kahn data 1947, nonostante avesse già 46 anni) erano obbligati a porsi la domanda: sono pro o contro l'Idea del moderno, pro o contro le stecche  (lunghi prismi in cemento) delle - meravigliose - Unitées d'Habitation lecorbusieriane? amo o sopporto a malapena l'urbanistica gropiusiana e l'uso di vetro e metallo nei prismi di Mies?

Kahn fu uno dei traghettatori, per così dire, tra le due epoche, dove la seconda va assimilata a una serie di movimenti  che tenderanno, sino ad oggi, ad una complessa e spesso schizofrenica cortocircuitazione di Storia/ Luogo e Astrazione.

Dimenticando gli sterili estremismi estetizzanti (Postmodern, Decostruzionismo), la grande Architettura degli ultimi cinquant'anni è quella che è riuscita a creare sintesi equilibrate, intense tra i due poli della questione.

Zumthor, Chipperfield, Herzog & De Meuron, ma prima di loro anche Siza y Vieira, Moneo, Stirling.

Louis Kahn è stato il primo poeta e mistico esplicitamente rivolto all'ascolto di ciò che il Luogo può raccontare e di cosa "i materiali chiedono di diventare".

Ebreo estone emigrato negli Stati Uniti ancora bambino, Kahn visse diverse forme di emarginazione, poiché era jewish, basso e ugly (brutto), sfigurato a causa di un incidente domestico. Il fuoco gli aveva bruciato la pelle del viso, ma era anche stato il suo primo contatto con gli elementi. Dopo un viaggio italiano tra le rovine romane (splendidi i suoi sketches, al pari di quelli lecorbusieriani), la pietra-terra, anche se mutata in mattone, spesso di calcestruzzo, diventerà l'elemento cardine della sua poetica.

L'Uomo deve costruire monumenti che siano in grado di parlare con e per l'eternità, costituendo un rapporto simbiotico con l'Universo e inducendo meditazione oltre che uso.

Spazi per il raccoglimento, dotati di una purezza geometrica raramente raggiunta da emuli autodefinitisi tali (come il sopravvalutatissimo Mario Botta, lo svizzero che tenta ancor oggi d'innestare Carlo Scarpa su Kahn, e il pur ottimo Robert Venturi, mentre Frank O'Gehry prenderà poi una strada diametralmente opposta a quella di Kahn).

Reintrodusse la figura geometrica del cerchio anche in alzato, in prospetto, atto di per sè inaccettabile sino a pochi anni prima. Ma la forza dei suoi edifici, che immancabilmente comunicavano un senso di pace e atemporalità, lo impose all'attenzione internazionale e a quella di alcuni critici che si dedicarono con attenzione all'analisi del suo lavoro (tra tutti, Vincent Scully).

L'architettura di Kahn trascende sempre lo scopo eminentemente funzionale del piano e della realizzazione vera e propria e s'impone attraverso la definizione di un non detto che abita non solo gli edifici da lui realizzati, ma anche gli spazi fra i corpi di fabbrica: è come se le forze della natura (aria-vento o fuoco-calore, oltre che la fondamentale earth-brick,poi diventata concrete-brick) venissero evocate e chiamate a raccolta dall'organizzazione planimetrica degli edifici, spesso rispettosi di una simmetria quasi sacra, posti essi stessi in modo da sembrare dei fedeli che presenziano a una funzione religiosa. Dove deve riparare dal freddo, Kahn ascolta il mattone e il cemento e realizza il loro desiderio di essere muro di difesa ("... being what it wants to and needs to be..."), mentre, come in India e nelle regioni calde, lascia spazio alla circolazione dell'aria, utilizzando come mai nessuno prima l'arco ribassato e l'arco a tutto sesto insieme per definire le aperture.

Eppure, pur alleggerendo le pareti, la sensazione è sempre quella di solidi monumenti destinati all'eternità.

Come nell'University Art Center di Yale, New Haven, Kahn riuscì a combinare ad Ahmedabad la materia pesante e leggera all'interno di un equilibrio perfetto, facendole dialogare come forse neppure Le Corbusier era riuscito.

Laggiù sembrava di vedere Mies Van Der Rohe rivestito di mattoni o alcune anticipazioni del primo Stirling, e qui (1963) riappare Chandigarh, solo in versione più litica, calma e appaesata.

Quindi, a tutti gli effetti un trait d'union tra passato e futuro,  di enorme importanza per i successivi sviluppi dell'architettura internazionale. Al punto che fu lui, nel 1959, a tenere emblematicamente il discorso conclusivo all’ultimo Congresso Internazionale di Architettura Moderna ad Otterlo, intitolato New Frontiers in Architecture, siglando così la conclusione dell’esperienza portante del primo Movimento Moderno.

Ogni sua realizzazione si porrà come sorprendente variante dei temi sopra elencati e riuscirà nell'impresa coraggiosissima di importare un esotismo (solo in apparenza tale), sino a quel momento assolutamente proibito.

Come nel Kimbell Art  Museum a Fort Worth in Texas, del 1972 : le coperture sono segni alieni, ma la capacità di Kahn di evocare e rappresentare il genius loci è più forte di ogni superficiale impressione visiva.

Ecco allora susseguirsi capolavori come il Jewish Community Center, Trenton, 1959, la Esherick Housein Pennsylvania del 1961, o gli Erdman Hall Dormitories, Pennsylavania, 1965, la bellissima Exeter Library, New Hampshire, 1972 e gli straordinari A. N. Richards Medical Research Buildings di Philadelphia (1964), seminali per l'opera quasi coeva di James Stirling. E quello che forse è ritenuto il massimo esito del suo intero percorso: i Salk Institute for Biological Studies a La Jolla (San Diego), in California, realizzati nel periodo 1959-65.

Due corpi di fabbrica divisi da una spianata in marmo mostrano di volere andare verso il mare per raccogliere la luce necessaria ad illuminare gli ambienti per la ricerca: la materia sembra disarticolarsi per riarticolarsi in una conformazione geometricamente complessa, con le finestre protruse e piegate verso l'esterno, ma allo stesso tempo assolutamente iconica.

Questo complesso di volontà della materia di essere ANCHE altro produce una convivenza miracolosa di teak (legno), calcestruzzo lasciato con i segni delle casseforme (un'invenzione destinata a segnare l'opera di molti grandi architetti, tra cui Tadao Ando e molti giapponesi a noi contemporanei), vetro e acqua.

Forse la mistica kahniana risale alla Torah e i diversi edifici religiosi cui lavorò potrebbero confermarlo.

Ma la silenziosa e pura contemplatività degli spazi creati diventa qualcosa che trascende il credo e diventa comunione con la natura.

Non potendo, infine, evocare qui il senso di quell'architettura a-storica e per certi versi magica, lasciamo parlare la voce di Louis Kahn, nel suono puro della sua lingua e del suo linguaggio, col quale affascinava gli studenti di Yale e della University of Pennsylvania: "A work of art is the making of a life. The architect chooses and arranges to express in spaces environment and in relationships man's institutions. There is art if the desire for and the beauty of the institutions. There is art if the desire for and the beauty of the institution is filled  (...). The fullness of light, protected, the fullness of air, so welcome, are always present as the basis for architectural shapes. I was impressed with the need for air when I happened, with twenty other people, in the palace in Lahore, where the guide showed us the ingenuity of craftsmen who had covered an entire room with milticolored mirrored mosaics. To demonstrate the mystery of the reflections, he closed all the doors and lit a match. The light of the single match gave multiple and unpredictable shut off from the breeze. In that time, in that room, you felt that nothing is more interesting than air."

 

LINK E BIBLIOGRAFIA

 

http://www.myarchitectfilm.com

http://www.naquib.com/kahnpics

http://www.archinform.net

 

Romaldo Giurgola and Jaimini Mehta. Louis I. Kahn. Boulder, Colorado: Westview Press, 1976. ISBN 0-89158-502-8. LC 75-19210. NA737.K32G58 1975, poi Bologna, Zanichelli, 1988

Joseph Rykwert. Louis Kahn. Harry N. Abrams, October 2001. ISBN 0-8109-422-7

Vincent Scully, Jr. Louis I. Kahn. New York: George Braziller, 1962. LC 62-16265. NA737.K32S38. p113-114

Louis Kahn, idea e immagine, a cura di Christian Norberg-Schulz, Roma, Officina, 1980 


VOTO: 30/30
21/02/2006

MY ARCHITECT
A SON'S JOURNEY
di Nathaniel Kahn