recensione dvd ed extra

MY ARCHITECT
A SON'S JOURNEY
di Nathaniel Kahn
USA 2003

Con Edwina Pattison Daniels

di Gabriele FRANCIONI

MY ARCHITECT è un intenso ed emozionante viaggio à rébours compiuto da un figlio, ormai adulto, alla ricerca di un padre famoso.

Nathaniel Kahn, il regista, è il frutto della terza relazione importante di uno dei maestri dell'architettura della seconda metà del secolo scorso: Louis Kahn, ebreo estone emigrato ancora bambino negli Stati Uniti, Philadelphia, dopo un incidente che gli aveva deformato il volto, bruciato dalle fiamme.

Il documentario cerca di riempire il vuoto lasciato non tanto dalla scomparsa di un padre già anziano (Louis, nato nel 1901, morì nel 1974; Nathaniel è del 1962), quanto dalle sue assenze nel breve periodo in cui avrebbe potuto essere più vicino al bambino e alla madre.

Ma il Maestro era al terzo legame importante e aveva già imposto alla seconda donna, che appare nel film, una regola ferrea: avrebbe dovuto accettare di non sposarlo e di amarlo senza interferire nella sua vita.

Nathaniel ha sviluppato attraverso gli anni un notevole distacco dalla figura dell'architetto impegnato nell'attività di progettazione e d'insegnamento, chiuso e riservato anche a causa di quella deformazione fisica, dell'altezza (poco più di un metro e sessanta) e dell'essere ebreo. Un personaggio complesso, amatissimo dai committenti e da alcuni colleghi famosi, ma respinto dagli amministratori e dai burocrati della sua città, che ostacolarono in tutti i modi la realizzazione del piano del traffico elaborato da Kahn per Philadelphia e in occasione del quale si mise in luce per l'innovatività delle sue proposte.

Il centro del film, oltre alla bellissima restituzione in movimento  di ciò che si era visto solo sui libri, è nella contrapposizione tra l'uomo di talento e i mediocri burocrati, capaci di addurre una scusa di natura razziale per mascherare l'evidente invidia nei confronti di un artista completo. è abbastanza impressionante osservare la carica d'odio che, a trent'anni dalla morte, un superstite dell'ufficio di pianificazione urbanistica di Philadelphia conserva nei confronti di Kahn (e parlandone con suo figlio!).

Nathaniel tiene qui un profilo basso (forse anche in lui c'è un po' di risentimento verso una figura assente), ma lascia che siano i grandi nomi  - Philip Johnson, Pei, addirittura Gehry etc - a raccontare la grandezza dell'uomo e dell'inventore di forme.

La storia dell'architettura è costellata, va detto, di mediocri personaggi rintanati negli uffici comunali di tutte le città del mondo e pronti a scaricare le frustrazioni per una mancata carriera sui colleghi talentuosi, dei quali dovrebbero approvare (ma non lo fanno, per ripicca) i progetti.

Il documentario si avvale quindi di un punto di vista onesto e poco empatico e la deriva puramente biografica che prende il film (e non auto - biografica) produce un bellissimo e utilissimo documento per gli estimatori del grande architetto. E non solo.

Kahn era un poeta, una specie di mistico che studiava la Torah e si impegnava nel disegnare sinagoghe, immerso nel mondo-Natura e capace di tradurre il tutto in una collezione di immense sculture trilitiche , veri monumenti destinati a durare nel tempo e a colpire l'immaginazione di chiunque: visitatore occasionale, studioso o neofita interessato all'arte in toto.

Louis Kahn è stato il primo architetto poeta e mistico esplicitamente rivolto all'ascolto di ciò che il Luogo può raccontare e di cosa "i materiali chiedono di diventare" ("... being what they want to and need to be...")  e nel contempo colui che ha chiuso il Movimento Moderno, poiché fu lui, nel 1959, a tenere emblematicamente il discorso conclusivo all’ultimo Congresso Internazionale di Architettura Moderna ad Otterlo, intitolato New Frontiers in Architecture.

Il figlio Nathaniel intreccia con garbo il piano narrativo personale (brevi toccanti flash di incontri privati e giochi insegnati dal padre in attesa dell'aereo successivo; le parole spese in difesa delle donne di Louis; il piccolo giallo della morte in una stazione newyorkese dei treni) e quello pubblico, della star capace di rispettare ogni tipo d'impegno.

Ed è straordinario il modo semplice, quasi infantile, in cui ci viene restituita l'impressione del ragazzo-bimbo che rivede dopo anni le opere del padre.

Le opere gli parlano, mentre visita gli straordinari A. N. Richards Medical Research Buildings di Philadelphia o il Salk Institute for Biological Studies a La Jolla (San Diego), in California: lasciandosi andare, appoggiando la m.d.p. in un punto in cui possa lui stesso essere dentro la scena e dentro l'edificio, Nathaniel ritrova finalmente il padre.

Mentre pattina sulla terrazzata del Salk Institute, capiamo che ogni racconto (privato) è giunto alla conclusione migliore, mentre il documentario è pronto a girare il mondo e, forse, a regalarci un buon regista nel futuro.

Consigliamo questo piccolo film ai neofiti dell'architettura: è un viaggio accessibile a tutti, pieno di piccole sorprese e di immagini splendide.


dolmen

MY ARCHITECT
A SON'S JOURNEY
di Nathaniel Kahn