ANALISI ESTESA DEL FILM

AMERICA OGGI
di Robert Altman
USA 1993
Con Jack Lemmon, Anne Archer

di Davide Gherardi

La superficie profonda

 

Raymond Carver viene considerato il capostipite del cosiddetto “minimalismo letterario americano”. La sua prosa è asciutta ed incalzante. I protagonisti dei suoi racconti abitano l’eterna periferia americana dove si vive sfogliando le pagine del calendario con gesti automatici, senza speranza o direzione ideologica, in un limbo pervaso dall’inedia morale e dal tramonto dei legami privati, popolato da corpi ormai stanchi di trascinarsi e vilipesi da un residuo di ragione. Il racconto di Carver possiede la dote di sfiorare chirurgicamente quella soglia di indicibilità in bilico iperrealismo ed allegoria. è la stessa formula dei dipinti olandesi. Per esempio “La Pesatrice” di Jan Vermeer riluce di un alone metaforico ma al contempo rimane tradotta nella statuaria reiterazione del compito proprio al suo mestiere. è l’inferno immoto del punctum barthesiano, quel dettaglio quasi insignificante che richiama e condensa l’attenzione durante la contemplazione dell’immagine fotografica, come veniva illustrato dal Maestro nel suo famoso saggio intitolato: “La camera chiara”. Quel barlume, il punctum, l’attimo sempre violato dal rictus cadaverico della fissazione della luce nei sali d’argento, sfugge come un lapsus al controllo storico della persona, fuoriuscita da sé dell’effige, scucitura delle maglie del tempo dove l’occhio del contemplatore trova un punto d’approdo ed il salto impossibile verso un altro tempo ed un altro vissuto…

 

I racconti di Carver lavorano instancabilmente proprio su questo aspetto.  I suoi personaggi scivolano verso il buio e trovano ad aspettarli la paralisi, la quale però non ha il compitò né di rivelarli né di renderli più consapevoli, ma solo di mostrarceli quali sono, nella loro sgradevolezza. è la scoperta della scrittura degli istanti non qualitativi. Non a caso la prosa e la poesia di Carver trova un perfetto correlativo figurativo nei quadri di Edward Hopper. Hopper ha rappresentato la progressiva perdita di fiducia del proletario americano verso il suo spazio urbano. Uno spazio che mente non si può abbracciare con lo sguardo si colma di minaccia. Diventa una nuova qualità di spazio, spazio manomesso ed  inquieto, reso inservibile dalla moltiplicazione dei piani e degli angoli e dal sovraffollamento, dove i luoghi sociali, il bar ed il cinema, non ristorano né distraggono, ma tramite enormi vetrate scoperchiano la temporanea sosta del passante, tormentandolo ulteriormente. Quelle misere figure oppresse dallo scompenso architettonico che le circonda ci volgono le spalle, o fissano il vuoto. Cos’altro possono fare? è uno spazio solo temporaneamente placato dalla luce del mattino che pure, come dirà Carver in una sua poesia, “fatica a penetrare dentro quelle stanze”.

 

Altman rimane come fulminato dai racconti di Carver e decide pertanto di trarne alcune storie da intrecciare per trasformarle in un grande affresco corale sull’America. Il titolo originale: Short Cuts gioca sull’anfibologia dell’operazione: descrivere togliendo, rimanere in superficie per andare in profondità nello stile del minimalismo e tagliare, fare a pezzi quegli stessi personaggi. I protagonisti di “America Oggi” sono degli insetti che vengono lentamente smembrati per il piacere equivoco dei nostri occhi, pesci in un acquario o cadaveri galleggianti in attesa di una disinfestazione morale. Nel frattempo non manca una ritemprante pioggerellina d’insetticida forse, chissà, cancerogena. La sensazione di assistere ad un’algida dimostrazione pervade il film, tanto da aver suscitato lamentele, da parte di alcuni critici, riguardo il “cerebralismo” di Altman. Che dire: si tratta invece di perfetta coerenza. Per Altman la cinepresa fatica a penetrare dentro quei cuori bui. Ed allora il regista riprende un procedimento analitico che deriva dalla scrittura di Carver, così come dalla pittura di Hopper. Si tratta allora d’immobilizzare il soggetto (di cui sopra): atto definitivo di tortura che carica le fisionomie di una terribile pressione psicologica (che sembra sfociare nel film, infine, nel liberatorio terremoto finale) e gioca con finezza di rimandi analogici anche nel montaggio del film. Tutta la pars costruens di America Oggi è nel catalogo fisionomico dei personaggi e nell’idea del celarne/denudarne il volto. L’idea è particolarmente evidente nell’episodio che vede la moglie del poliziotto fascista posare nuda per la sorella davanti allo sguardo imbarazzato (ma compiaciuto) del cognato. La sequenza si chiude bruscamente: stacco sul riso convulso che deforma i volti complici delle sorelle. L’espressione verrà raccolta e fissata dalla pittrice sulla tela: è il suo punctum, l’espressione chiave. Quegli stessi volti truccati da clown, nel festino alcolico del finale (nel film abbiamo anche un truccatore, ed un uomo che “vende la sua faccia”, un anchorman) suggeriscono che il vero volto (la recondita natura) del personaggio nasca per superfetazione. Sono volti artefatti che nella maschera restano “forclusi”, ancora una volta, rispetto a sé stessi. Ed allora tanto vale svolgere una dimostrazione lineare: un operaio frustrato per la moglie che lavora alle hot line diventa, come volevasi dimostrare, un assassino; un pescatore disoccupato, uomo volgare, non si rovinerà il week-end di svago per la presenza di un cadavere nella zona di pesca; l’ubriacone romantico litiga ma poi si concilia con la sua bella sfiorita, perché non ha un altro posto dove andare, ecc…   
Quello d’Altman è un grande cinema: un cinema maturo che gioca contro la forma cinematografica infestata di regole ed osa inseguire il massimo sistema. Scusate se è poco. Purtroppo l’edizione DVD qui consultata lesina parecchio sugli extra (semplici schede bio-filmografiche).

 

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AMERICA OGGI
di Robert Altman