Non sorprende che Paul Schrader, sceneggiatore (Taxi
driver, tra l'altro) e regista (American gigolo, tra l'altro)
fortemente influenzato da orizzonti ideologici religiosi, soprattutto (ma
non solo) cristiani, abbia costruito
Affliction su una serie di potenti risonanze bibliche. Una parabola
(tratta da Tormenta di Russell Banks) in cui il (cattolicissimo) scontro
eterno tra padre e figlio segna l'irrefrenabile discesa nella dannazione del
figlio. Wade (un immenso Nick Nolte), una vita passata da poliziotto tra le
nevi del New Hampshire all'ombra del violento padre ubriacone, è un
personaggio già da subito in forte crisi per via di una figlia che lo schifa
(e la cui madre lo ha abbandonato), non sa come venire a capo della sua vita
e allora vede omicidi che non ci sono, si impegola in un delitto che non
c'è, finisce nei guai. In realtà, lo ha candidamente sobillato nelle sue
malsane manie di persecuzione il fratello Rolf, da tempo trasferitosi in
città. Che amorevolmente racconta con la sua voce over la dissoluzione del
fratello – ma ciò non toglie che a monte delle idee pazze di Wade ci sia
Rolf, che diventa una sorta di involontario Caino dalle mani pulitissime...
Sorprende invece la straordinaria acutezza della struttura. Come sempre,
Schrader si immerge nei marci conflitti del mondo per venirne fuori con una
forma che li contempli distaccatamente, dall'alto di una serenità
trascendente che però non finisce mai di essere problematica. E appunto
anche qui abbiamo la compostezza olimpica della voce di Rolf che man mano si
procede sconfessa il distacco tranquillo del suo racconto rispetto a ciò che
viene narrato, si dimostra insomma sempre meno innocente rispetto ad esso, e
tende sempre più a lasciare il posto alle visioni e ai flashback di Wade, il
cui punto di vista conquista sempre maggior centralità. Fino all'ultima
eccezionale inquadratura in cui la “sgranatura” che fino a quel momento ci
ha segnalato il punto di vista di Wade è a servizio di una panoramica
“impossibile” sulla casa paterna ormai vuota e popolata solo di inopinati
ricordi. Senonché Wade a quel punto del film è scomparso, nessuno sa dov'è:
si tratta allora di una soggettiva senza soggetto, uno sguardo che fluttua
nel vuoto risultante dalle ceneri del Racconto superato man mano che Rolf si
trovava narratologicamente costretto a cedere la propria egemonia. La
compostezza, la catarsi che trascende i conflitti, arriva insomma non in
virtù di una placida consequenzialità narrativa che ricuce e linearizza i
conflitti, ma quando la narrazione si dissolve fino a provocare il distacco
assoluto dell'occhio da ciò su cui si posa.
La Cecchi Gori fortunatamente salva con quest'edizione in DVD un grandissimo
film da un oblio decisamente immeritato, e ci immerge nel bianco
“digitalmente” splendente di un New Hampshire innevato, che col suo candore
ci mostra che i conflitti più incandescenti trovano la propria catarsi non
in fondo al proprio bruciare, ma già nell'immediatezza senza tempo
dell'occhio che vi si appoggia.
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