Documentario senza mezze misure quello di Luca
Guadagnino: o piace tantissimo o piace pochissimo. Il regista segue per
un’intera giornata Paolo Masieri, titolare dell’omonimo ristorante a Sanremo
e quotatissimo chef.
Il film è una totale immersione in una dimensione bucolica, campestre,
<<Ecco svelato il segreto della sua grande cucina!>> direbbe, vedendolo, chi
abitualmente gusta le sue prelibatezze. Come se bastassero solo qualche
erbetta e qualche aroma freschi di giornata. Non è sufficiente tutto ciò, è
ovvio, ma è già molto. Perché la cura che Paolo ci mette nel cercarli,
esaminarli e selezionarli personalmente è né più né meno quella di una mamma
che accudisce i suoi cuccioli. E la macchina da presa segue in tutta la sua
tenerezza e precisione i suoi “piccoli gesti” alla scoperta della
semplicità.
In un mondo in cui sempre di più gli chef che salgono alla ribalta delle
cronache si confondono con i conduttori tv e cercano di stupire il popolo
bue con accostamenti azzardati (quando non decisamente nauseabondi) conditi
da generose dosi di turpiloqui e pochi grammi di umiltà, la cucina e il
lavoro di Paolo Masieri si fanno interpreti di chi a tutto questo oppone la
resistenza più semplice, sincera ma ferma possibile.
La rigida e oggettiva cronaca di una qualunque giornata di lavoro di un
cuoco, che chiunque si aspetterebbe, lascia subito il posto ad un racconto
che ha il gusto (è il caso di dirlo) di una fiaba per immagini.
All’inizio la macchina da presa indugia fuori dalla cucina con la paura,
quasi, di varcare la soglia di un mondo incantato, con il timore di
interrompere un prodigio fantastico. Paolo si prepara e parte alla volta
della campagna, alla ricerca degli ingredienti per i suoi meravigliosi
piatti. E’ un cercatore d’oro del nostro tempo, un eroe solitario alla
ricerca dei suoi tesori. Il regista con abile mano e occhio lo segue senza
disturbare, tanto che non si ha mai la sensazione che Paolo sia cosciente di
essere ripreso. Attraverso lunghi piani-sequenza la macchina da presa
coglie, con la curiosità si un bambino “caduto” in un libro di fiabe, ogni
singolo particolare, ogni piccolo movimento di fronda e ci rimanda tutta la
poesia e il sapore di ciò che alla fine diventerà una sublime testimonianza
dell’arte culinaria di Paolo Masieri. Egli conosce bene quei tragitti, quei
sentieri, i suoi sono gesti quotidiani, consueti, ma compiuti con un amore,
una cura e una dedizione sempre nuovi che non possono che nascere dalla
grande passione per il proprio mestiere.
I paesaggi sono quelli della campagna ligure che qui diventa, grazie
all’abilità del regista, un personaggio a tutti gli effetti: dialoga a suo
modo con il CUOCO CONTADINO, lo guida, lo aiuta, ci incanta. Lo fa con i
suoi colori, con i suoi profumi che intuiamo, con i suoi rumori che,
intervallati da un crescendo musicale azzeccatissimo, ci cullano per tutta
la durata del film. E’ un’esperienza molto piacevole questa “passeggiata
campestre” ed è straordinario pensare che per il protagonista è pressoché
quotidiana. E non è altro che la preparazione al suo compito più impegnativo
e, crediamo, più soddisfacente che lo vedrà impegnato in cucina.
I dialoghi sono inesistenti, salvo qualche rara battuta, ma sarebbero
comunque inutili perché la natura ha una voce e un linguaggio tutti suoi che
Paolo dimostra di capire e Guadagnino di saper interpretare a meraviglia.
La sequenza finale è un turbinio cromatico di forme e sapori; con un
montaggio frenetico ci vengono presentati i piatti finiti ed è logico
accostarli idealmente alle immagini che si sono susseguite fino a poco
prima: e allora dove si vuole farci arrivare? Indiscutibilmente ad
avvicinare la perfezione stilistica ad una corrispondente valenza
contenutistica, la forma, dunque, ma anche ciò che sta dietro (e dentro in
questo caso), come la grande cucina fatta di ingredienti ottimi che spesso
sono poveri e genuini. Quasi sempre, infatti, la bellezza è tanto disarmante
quanto semplice. Un altro grande Ligure, Fabrizio De Andrè, a suo tempo
cantava: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Nulla
di più vero. Ma ci vuole talento. E qui ce n’è sia dietro i fornelli, sia
dietro la macchina da presa.
VOTO: 30/30
31/12/2004
www.emik.it
|
TILDA SWINTON - THE LOVE FACTORY
Luca Guadagnino avrebbe dovuto intitolarlo IT TAKES TWO TO TANGO, perché il
bellissimo ritratto della fabbricatrice d'amore Tilda Swinton è un inno alle
solitudini produttive, ai fecondi autoisolamenti , a tutti coloro che pagano
scelte coerenti e coraggio immacolato con la resistenziale sopravvivenza
entro enclaves artistiche che vorremmo sempre frequentare e che nei
momenti in cui realizzano il miracolo di un incontro d'amore -
artistico/carnale/sentimentale - ricreano la magia del "tango", ma sono
subito pronti per ripartire "da soli". Luca & Tilda, quindi, due splendide
forme d'isolamento che qui si specchiano - banda sonora l'uno e video
l'altra - in una sorta di certamen tra intelligenze aliene, tutto giocato
sulla reazione alle costrizioni della Narrazione, intesa come rete di
relazioni strutturali vincolanti (sceneggiatura), e sulla reazione alla
narrazione delle Costrizioni, questa volta sociali (matrimonio? relazione
fissa?). Il diritto alla solitudine, e non solo alla felicità evocata nella
Costituzione americana, è al centro del dialogare tra i due: Guadagnino
difende il diritto alla Forma come espressione di un'intelligenza alienatasi
dai vincoli imposti da regole inventate da altri e costituenti "sistema", la
Swinton il diritto alla Libertà di esperire la Bellezza di
Dolore/Solitudine/Sesso come atti sostitutivi della nozione imposta di
"tempo libero": al contrario, appropriazione del proprio tempo, liberato.
Luca passa dagli oltre duemila tagli di montaggio di THE PROTAGONISTS ad un
cinema, ormai da due anni, di pura concentrazione, al di là dell'ovvietà di
circostanze legate all'intervista in sè.
VOTO: 28/30
18/02/2006
www.emik.it
|