ANALISI ESTESA DEL FILM

CUOCO CONTADINO
di Luca Guadagnino

Italia 2004

Con Paolo Masieri e Barbara Pisani

di Maria Chiara SQUASSINO

 

Documentario senza mezze misure quello di Luca Guadagnino: o piace tantissimo o piace pochissimo. Il regista segue per un’intera giornata Paolo Masieri, titolare dell’omonimo ristorante a Sanremo e quotatissimo chef.
Il film è una totale immersione in una dimensione bucolica, campestre, <<Ecco svelato il segreto della sua grande cucina!>> direbbe, vedendolo, chi abitualmente gusta le sue prelibatezze. Come se bastassero solo qualche erbetta e qualche aroma freschi di giornata. Non è sufficiente tutto ciò, è ovvio, ma è già molto. Perché la cura che Paolo ci mette nel cercarli, esaminarli e selezionarli personalmente è né più né meno quella di una mamma che accudisce i suoi cuccioli. E la macchina da presa segue in tutta la sua tenerezza e precisione i suoi “piccoli gesti” alla scoperta della semplicità.
In un mondo in cui sempre di più gli chef che salgono alla ribalta delle cronache si confondono con i conduttori tv e cercano di stupire il popolo bue con accostamenti azzardati (quando non decisamente nauseabondi) conditi da generose dosi di turpiloqui e pochi grammi di umiltà, la cucina e il lavoro di Paolo Masieri si fanno interpreti di chi a tutto questo oppone la resistenza più semplice, sincera ma ferma possibile.
La rigida e oggettiva cronaca di una qualunque giornata di lavoro di un cuoco, che chiunque si aspetterebbe, lascia subito il posto ad un racconto che ha il gusto (è il caso di dirlo) di una fiaba per immagini.
All’inizio la macchina da presa indugia fuori dalla cucina con la paura, quasi, di varcare la soglia di un mondo incantato, con il timore di interrompere un prodigio fantastico. Paolo si prepara e parte alla volta della campagna, alla ricerca degli ingredienti per i suoi meravigliosi piatti. E’ un cercatore d’oro del nostro tempo, un eroe solitario alla ricerca dei suoi tesori. Il regista con abile mano e occhio lo segue senza disturbare, tanto che non si ha mai la sensazione che Paolo sia cosciente di essere ripreso. Attraverso lunghi piani-sequenza la macchina da presa coglie, con la curiosità si un bambino “caduto” in un libro di fiabe, ogni singolo particolare, ogni piccolo movimento di fronda e ci rimanda tutta la poesia e il sapore di ciò che alla fine diventerà una sublime testimonianza dell’arte culinaria di Paolo Masieri. Egli conosce bene quei tragitti, quei sentieri, i suoi sono gesti quotidiani, consueti, ma compiuti con un amore, una cura e una dedizione sempre nuovi che non possono che nascere dalla grande passione per il proprio mestiere.
I paesaggi sono quelli della campagna ligure che qui diventa, grazie all’abilità del regista, un personaggio a tutti gli effetti: dialoga a suo modo con il CUOCO CONTADINO, lo guida, lo aiuta, ci incanta. Lo fa con i suoi colori, con i suoi profumi che intuiamo, con i suoi rumori che, intervallati da un crescendo musicale azzeccatissimo, ci cullano per tutta la durata del film. E’ un’esperienza molto piacevole questa “passeggiata campestre” ed è straordinario pensare che per il protagonista è pressoché quotidiana. E non è altro che la preparazione al suo compito più impegnativo e, crediamo, più soddisfacente che lo vedrà impegnato in cucina.
I dialoghi sono inesistenti, salvo qualche rara battuta, ma sarebbero comunque inutili perché la natura ha una voce e un linguaggio tutti suoi che Paolo dimostra di capire e Guadagnino di saper interpretare a meraviglia.
La sequenza finale è un turbinio cromatico di forme e sapori; con un montaggio frenetico ci vengono presentati i piatti finiti ed è logico accostarli idealmente alle immagini che si sono susseguite fino a poco prima: e allora dove si vuole farci arrivare? Indiscutibilmente ad avvicinare la perfezione stilistica ad una corrispondente valenza contenutistica, la forma, dunque, ma anche ciò che sta dietro (e dentro in questo caso), come la grande cucina fatta di ingredienti ottimi che spesso sono poveri e genuini. Quasi sempre, infatti, la bellezza è tanto disarmante quanto semplice. Un altro grande Ligure, Fabrizio De Andrè, a suo tempo cantava: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Nulla di più vero. Ma ci vuole talento. E qui ce n’è sia dietro i fornelli, sia dietro la macchina da presa.

VOTO: 30/30
31/12/2004


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di Gabriele FRANCIONI

 

TILDA SWINTON - THE LOVE FACTORY

Luca Guadagnino avrebbe dovuto intitolarlo IT TAKES TWO TO TANGO, perché il bellissimo ritratto della fabbricatrice d'amore Tilda Swinton è un inno alle solitudini produttive, ai fecondi autoisolamenti , a tutti coloro che pagano scelte coerenti e coraggio immacolato con la resistenziale sopravvivenza entro enclaves artistiche che vorremmo sempre frequentare e che nei momenti in cui realizzano il miracolo di un incontro d'amore - artistico/carnale/sentimentale - ricreano la magia del "tango", ma sono subito pronti per ripartire "da soli". Luca & Tilda, quindi, due splendide forme d'isolamento che qui si specchiano - banda sonora l'uno e video l'altra - in una sorta di certamen tra intelligenze aliene, tutto giocato sulla reazione alle costrizioni della Narrazione, intesa come rete di relazioni strutturali vincolanti (sceneggiatura), e sulla reazione alla narrazione delle Costrizioni, questa volta sociali (matrimonio? relazione fissa?). Il diritto alla solitudine, e non solo alla felicità evocata nella Costituzione americana, è al centro del dialogare tra i due: Guadagnino difende il diritto alla Forma come espressione di un'intelligenza alienatasi dai vincoli imposti da regole inventate da altri e costituenti "sistema", la Swinton il diritto alla Libertà di esperire la Bellezza di Dolore/Solitudine/Sesso come atti sostitutivi della nozione imposta di "tempo libero": al contrario, appropriazione del proprio tempo, liberato. Luca passa dagli oltre duemila tagli di montaggio di THE PROTAGONISTS ad un cinema, ormai da due anni, di pura concentrazione, al di là dell'ovvietà di circostanze legate all'intervista in sè.

VOTO: 28/30
18/02/2006


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