A metà tra "Huckleberry Flynn" e "Lord of the Rings", Easy
Ryder e My own private Idaho,
TRANSAMERICA è di fatto l'incrocio riuscito tra road movie e
bildungsroman. Racconto di (trans)formazione per almeno tre motivi:
l'evoluzione di Sabrina verso l'identità sessuale ricercata; il suo viaggio
di crescita per essere consapevolmente genitore - vero centro del
film - e il parallelo attraversamento critico e traumatico di un'adolescenza
borderline da parte di Toby. Il tono alla Preston Sturgess e l'unico
vero travestimento forzato di Bree ( Felicity Huffman, la plastica,
eccezionale protagonista ), autoimpostasi le movenze e i principi di una zia
petulante e bacchettona, vestono una possibile discesa all'inferno con un
tono leggero che definisce una calibrata disposizione dei pesi
drammaturgici. Ciò garantisce una collocazione certa del film entro la
categoria del film privo di restrizioni della censura e l'esposizione
ricevuta dal momento della presentazione ai primi festival sino alle
nomination per l'Oscar del 2006 lo conferma in pieno. Lontano dalla
brutalità sincera di altre pellicole sex-related ( HAPPINESS,
MYSTERIOUS SKIN ), ma anche dal basso profilo comico spesso utilizzato per
il travestitismo camp, il film di Duncan Tucker si ritaglia uno
spazio tutto suo. Il pregio sta nel riflettere verso l'esterno i rischi di
ipercaratterizzazione del personaggio transessuale: molto più eccentrici e
freak sono i suoi satelliti, a partire dalla madre - Fionnula
Flanagan, vera benedizione per lo schermo ( anche nell'incompreso FOUR
BROTHERS di John Singleton ) - sino ad altre figure di contorno. Per certi
versi TRANSAMERICA riesce a veicolare un senso universale tramite
l'adesione agli stessi parametri del successivo C.R.A.Z.Y.: deviazione dalla
centralità assoluta del ruolo principale in cerca della propria identità
sessuale e conseguente scarico della tensione narrativa su ambienti (
i consueti sconfinati paesaggi degli stati del sud ) e personaggi secondari;
ulteriore attenuazione della pericolosità dell'assunto grazie all'immersione
del materiale filmico in un inconsueto e imprevisto magma sonoro country
e da world music. Questo agisce in parallelo con l'intuizione
migliore del film: la ricerca della "voce" da parte di Bree. L'intreccio tra
un suono organico che diventa suono interiore e banda sonora multietnica,
crea un tessuto di emozioni più incisivo del testo. Notevole il recupero
della Nitty Gritty Dirt Band; rimarchevole la presenza di Dolly Parton e
Larry Sparks; spiazzante quella di Miriam Makeba.
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Bree (Huffman) è un transessuale in procinto di diventare completamente
donna grazie a un tanto atteso intervento chirurgico. L’obbiettivo le sembra
ormai raggiunto quando riceve una telefonata da un penitenziario minorile di
New York; gli agenti la avvertono che suo figlio Toby (Zegers) sta per
terminare la pena e a giorni potrà essere prelevato da un genitore. La
notizia coglie Bree del tutto impreparata: non era infatti al corrente di
aver messo incinta la sua partner durante l’unica relazione avuta durante la
vecchia vita da uomo. Costretta dalla propria psicanalista ad accettare
l’inaspettato incarico, pena l’annullamento del permesso all’intervento,
Bree si ritroverà a viaggiare con il figlio alla ricerca dei loro familiari,
veri o presunti.
La sceneggiatura dello stesso Tucker, qui al suo debutto, costruisce un
road-movie che è anche e soprattutto un viaggio iniziatico per i due
protagonisti: il giovane Toby, dopo un passato breve ma burrascoso, entrerà
finalmente a contatto col suo ambiente familiare, mentre Bree verrà subito
messa di fronte a ciò che la sua nuova identità comporta, nientemeno che
attraverso la traumatica responsabilità del ruolo materno. Peccato che poi
il nuovo autore non se la senta di approfondire troppo i momenti dolorosi di
un passato impossibile da rimuovere, e si soffermi più che altro sulle
situazioni buffe e paradossali. E così il film risulta soprattutto un
esercizio di stile per la bravissima protagonista (ma la Flanagan nel ruolo
della madre le tiene testa), non a caso “pedinata” da una messa in scena
priva di fronzoli che rievoca il cinema indipendente anni ’70 di Rafelson,
Cassavetes, Schatzberg.
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