I caldissimi giorni successivi alla morte di Lady Diana nell'algido contesto
della famiglia reale, e nei quartieri generali del nascente potere di Tony
Blair. E, soprattutto, una regina che vede nascere, nel momento stesso della
sua morte, una regina molto più potente di lei, e si trova spaccata a metà.
Non tra pubblico e privato, ma tra il dovere pubblico di inventarsi un
privato, una forma di cordoglio personale per Lady D, per poi pubblicizzarla
mediaticamente, e l'aspirazione privata (destinata alla sconfitta) di
conservare la figura pubblica che lei ha sempre rappresentato.
Come Nanni Moretti col suo ultimo film, Frears indaga la natura ambigua del
potere, il suo imbattibile e arrovellato coincidere con ciò che dal potere è
escluso. E, se consideriamo questa esclusione come "il privato", non c'è
paese che più dell'Inghilterra abbia qualcosa da insegnarci a proposito di
queste dinamiche ad ogni livello centrali della politica di oggi.
The Queen mostra una regina
sconfitta da una donna che è sia regina che non-regina, e perciò e
imbattibile. E a questa anziana regina non resta che inchinarsi, sacrificare
come da sempre e per sempre il privato, nel momento stesso in cui la sua
carica pubblica coincide con il confinamento in un privato dorato.
Il problema del film è però che si tiene al di qua dell'ambiguità che vuole
mostrare.
è il film per primo che,
volendo farci divertire e commuovere con il (prevedibile) dietro le quinte
della scena reale, tiene separati pubblico e privato e trascura la loro
diabolica coincidenza. Una coincidenza perfettamente incarnata dalla forma
televisiva, che appunto nel film ricorre attraverso frequenti materiali di
repertorio TV.
è questa incorporazione della
tv dentro il cinema, una delle cose che parzialmente salvano
The Queen mettendolo sulla
strada di quell'ambiguità che dicevamo. Ce ne sono altre, come i momenti in
cui la commedia del dietro le quinte e il melodramma della regina
schiacciata dalla sua carica tendono a sfumare l'una nell'altro, oppure
quando Blair si mostra inquietantemente convinto della buona fede della
strumentalizzazione mediatica di cui genialmente approfitta attraverso le
"due regine", lasciando di stucco i collaboratori realisticamente e
cinicamente ancorati alla Realpolitik. Cose che non lo rendono un film
entusiasmante, ma certamente qualcosa di più di un vascello costruito
affinché Helen Mirren navigasse verso il Leone d'Oro di Miglior Attrice.
Perché ci dice sulla scia di Bellocchio che non solo in Inghilterra sono i
morti a comandare.
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