ANALISI ESTESA DEL FILM

 

SYMPATHY FOR THE DEVIL

- one plus one -

di Jean-Luc Godard
Gran Bretagna, 1968
Con Keith Richards, Brian Jones

di Gabriele FRANCIONI


ONE DVD PLUS ONE DVD

Opera Aperta secondo la valenza Eco-iana del termine, il film utilizza elementi binari spesso in contrapposizione fra loro e si pone come summa di tematiche legate all'atmosfera politica e culturale del 1968, anno di realizzazione del film.
Godard manipola i materiali della Storia in presa diretta, come fanno i fonici e gli intervistatori-tv nell'episodio ALL ABOUT EVE, riposizionando quelli rispetto al senso comune dell'epoca.
Estraneo a ogni ortodossia politica, si muove tra diversi piani teorici senza prendere posizione, individuando piuttosto nell'identità proteiforme e invasiva dei media, che rappresentano il lato oscuro
della libertà d'informazione, il nemico da combattere.
Ogni segmento della pellicola annega infatti le varie dichiarazioni programmatiche in un rumore di fondo (passaggi di aerei, treni) funzionale alla messa in crisi di qualunque asserzione apodittica.
L'equipe televisiva impegnata a intervistare Eve Democracy, poi, impone un'artefatta
macchinosità tecnologizzata entro un contesto virginale, puro che si chiama fuori rispetto al dibattito politico, impotente di fronte a domande che contengono in sè le risposte ("Yes-No" è ciò che solo può dire Eve, incalzata dall'illiberalità inquisitoria dei media).
Dall'incipit della sequenza (la telefonata mancata a Le Roy Jones, ovvero il tentativo fallito di connettere democrazia ed estremismo declamatorio e asfittico delle Black Panther, seguendo G.), registriamo l'impacciato procedere a scatti della troupe, tra fili e microfoni, l'ingombro fisico dei materiali ineffettuali attraverso cui si esprimono i mezzi d'informazione, in contrasto con la verità bassa, elementare, primaria presente nell'istinto di conoscenza e autoespressione del popolo in lotta, che dovrebbe invece godere dell'appoggio dei media.
Il linguaggio filmico segue le peregrinazioni godardiane tra i livelli testuali: qui gli scatti nervosi dell'equipe-tv vengono ripresi da una m.d.p. che invece è fluida, ondeggiante, al seguito dell'utopia bucolica di Democracy (Anne Wiazemsky, botticelliana, birkiniana); la camera fissa inquadra invece la retorica delle declamazioni sul ratto originario del Blues, l'uccisione fuori campo della Donna Bianca, tutto il segmento teorizzante ispirato a Eldridge Cleaver (dal libro "Anime in Viaggio") - di fatto questo è il cubo primario di cui parla G. - mentre l'infinito peeping dentro lo studio di registrazione degli Stones sceglie l'opzione esclusiva di carrelli laterali e lente panoramiche ipnotiche, che chiamano a raccolta l'energia spenta dell'uomo bianco impossessatosi del Blues.
A ben guardare, Godard sembra voler ribaltare o spegnere il senso di ogni asserzione politica altrui proprio nell'anno in cui la dialettica (marxiana, leniniana o semplicemente movimentista) sembrava costruirsi in una teoria di monoliti teorici inattaccabili dall'esterno: il regista, infatti, non condivide nulla di ciò cui lascia campo e occasione per esprimersi durante il film.
Nel documentario VOICES (si vedano gli extra), G. mette sullo stesso piano l'impotenza, in senso rivoluzionario, sia dell'apparato burocratico sovietico, sia delle Black Panther, che battono il terreno impraticabile della guerriglia tre anni dopo l'assassinio di Malcom X; Democrazia è l'illusione delle classi sociali non ancora adulte (realismo=disillusione), inservibile merce di scambio tra costruttori di senso e di Storia; il Rock è l'ennesimo inganno architettato dal Potere, inquadrato in un lunghissimo flash temporale che racconta meglio di ogni altro film musicale l'incoscienza radicale del Musicista Bianco & Giovane.

La chiamata al mettersi l'uno contro l'altro, one versus one, si risolve dunque in un'implacabile decostruzione delle figure antagoniste, ridicolizzate nel momento stesso in cui la m.d.p. sembra blandirle in un testa a testa che non è dialogante come appare.
Eppure, in quest'ansia di mostrare "come va raccontata la Storia, come sono andate veramente le cose", il cinema (anche quello godardiano) si arrende con forza all'incontenibile volontà del mezzo filmico di essere, sostanzialmente, nulla, inservibile quanto i proclami, la democrazia, il rock, ma disposto a contenerli tutti come un immenso vuoto (di senso).
Man mano che procede verso il finale, ONE PLUS ONE viene sommerso dai suoni dei treni di passaggio e dal voice-over di un racconto porno che passa in rassegna grottescamente tutte le figure politiche degli anni '60 (Nasser, Gromiko, Paolo VI, Nixon al cospetto dei cadaveri di Dubçek e Che Guevara, Lyndon Johnson che proietta film di Andy Warhol sul sedere della Regina Elisabetta, poi JFK, Krusciev...), vedendo annegare in un brusio accecante la banda sonora delle asserzioni forti.
Il vero finale (quello di ONE PLUS ONE) fa svanire gli Stones sulla spiaggia dove, finalmente, non possiamo più sentirli.
Eppure, proprio ora e solo ora, sappiamo, grazie a G. come poter essere (inspiegabilmente) sovversivi anche oggi, nel 2007, quarant'anni dopo l'Era di tutti i Fallimenti.

P.S. (To be continued: si vedano, prossimamente, CHELSEA GIRLS e LOU REED: ROCK'N ROLL HEART).