In Giappone il ballo non è una cosa così scontata come può sembrare a noi
occidentali, “latini” perdipiù. Come viene spiegato dalla voice over
durante il soffice (e tecnicamente notevole), movimento di dolly nel prologo
del film, le sale da ballo sono viste con un certo sospetto in una società
tradizionalmente ingessata come quella nipponica, poco benevola verso certe
forme di espressione troppo sbracatamente sensuali.
E allora possiamo indovinare che
Shall we dance?, film del 1996 da cui è stato tratto il recente
(2004) remake omonimo di Peter Chelsom con Richard Gere, in quel contesto si
colorasse di una sottile nota di trasgressione. Mai il grigio e abitudinario
Shohei avrebbe pensato di iscriversi a una scuola di danza, ma l'incontro
fortuito con una giovane e bellissima ballerina gli fa cambiare idea.
L'emozione irrompe nella sua vita, e a nulla varranno i sospetti della
moglie (Shohei, per pudore, non racconta alla famiglia della passione per il
ballo...) a fronte dell'inevitabile happy end.
Interpretato dal grandissimo (e perennemente sudato) Yakusho Koji, una delle
rare figure dello stardom giapponese ad essere conosciuta anche all'estero (Memorie
di una geisha, Babel...), il film si lascia guardare volentieri,
perché c'è dietro una mano che indovina il (difficile) tocco giusto per il
rischioso genere della commedia romantica, senza strafare o cadere
nell'ovvio, capace di mischiare i necessari indugi contemplativi delle scene
di ballo con una serie azzeccata di ritratti di contorno.
Con una ammaliante colonna sonora, superiore a quella del remake
statunitense, “servita” a dovere dal supporto digitale.
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