Prodotto che ha anticipato una certa corsa alla multimedialità semantica,
ALMOST BLUE richiedeva una grande attenzione nella gestione equilibrata
delle bande che collaborano al farsi del corpo filmico, mentre un certo
squilibrio si nota in questo riversamento ormai abbastanza datato, che tende
a spingere il pedale sia del sonoro che della ricchezza cromatica,
sicuramente già presenti nel film, ma che nell' anamorfico sposato al 5.1.
dell'obbligato Dolby della lingua italiana, ne fanno un prodotto appena un
po' costipato, troppo concentrato in quanto a stimolazioni
veicolate dal mix di Infascelli.
Lo spettatore-auditore rischia di esserne sopraffatto e ha voglia di
smanettare con l'equalizzatore (che non c'è, o non necessariamente...) e desaturare ogni tanto i colori, o allontanarsi ogni tanto dallo schermo.
Innegabile, peraltro, ribadire come in questo stesso squilibrio
progettato stia anche la capacità - allora - innovativa, di ALMOST BLUE, che
tanto ha influenzato certo cinema italiano del terzo millennio di
videoclippara matrice.
Vengono in mente le ONDE di Fei (ma con meno talento di Infascelli) e i
Manetti Bros., seppur su un piano volutamente più basso.
Abbastanza stabili gli sfondi, ma un po' troppi i fenomeni digitali.
Paradossale notare come le scene più equilibrate siano quelle in cui - pur
teorizzando la deriva elettroacustica di Santamaria ("Diventerai sordo!", lo
apostrofa la madre) - l'interno della sua stanza, illuminata semplicemente e
pervasa dal suono soft della "Almost Blue" di Elvis Costello, convoca infine
valori espressivi semplici, puliti, basici.
Extra discreti, con un movimentato "Making of": oggi sarebbero stati di ben
altro livello.
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