INTERVISTA CON GLI SCENEGGIATORI
Sandro Petraglia e Stefano Rulli
STEFANO RULLI
Da tanti anni volevamo fare un film sugli anni ’70, la fase della nostra
vita che più ci ha segnato, la più significativa. Abbiamo accumulato via via
materiale, storie, spunti personali. Quando abbiamo trovato la chiave per
raccontare tutte queste cose, avevamo acquisito, credo, una maggiore
flessibilità, una maggiore capacità di resistere a tentazioni schematiche,
un maggior amore per tutti i personaggi. C’era il senso del tempo che ci
serviva per dare la distanza rispetto alla cronaca. Non ci siamo posti come
obiettivo quello di fare un romanzo, ma siamo partiti dal cuore di una
storia, la nostra storia, quella che era dentro di noi. Così è nata la
meglio gioventù.
SANDRO PETRAGLIA
Quando scriviamo non riusciamo mai a partire da un tema, riusciamo a
muoverci soltanto se ci vengono in mente dei personaggi. Prima abbiamo
pensato a due amici come protagonisti d’una storia che attraversasse un
tempo così lungo. Poi, cercando una maggiore geometria o non-geometria dei
sentimenti, abbiamo pensato a due fratelli. A quel punto le cose che diceva
prima Stefano si sono aggregate. Abbiamo cercato per i protagonisti uno
status sociale preciso, non volevamo parlare di personaggi particolarmente
avventurosi né di velleitari che sbattono le ali come uccelli chiusi in una
stanza. Pensavamo dovessero avere delle responsabilità che li ancorassero a
qualcosa, che fossero in qualche modo inchiodati, per loro scelta
naturalmente, non per necessità. Una volta deciso di fare di Nicola uno
psichiatra che opera dentro una struttura pubblica come i nostri OP
(ospedali psichiatrici) e di Matteo un poliziotto, si è profilato più
chiaramente il quadro nel quale avremmo potuto muoverci.
SR – un film che ci ha sempre lavorato dentro e che ogni tanto riemerge è
Rocco e i suoi fratelli. Era
già avvenuto per Il ladro di bambini
di Gianni Amelio, dove lo spunto era : che cosa avrebbe trovato il
bambino di Rocco una volta cresciuto e tornato al Sud? Visconti in
Rocco, a partire dalla
cronaca dell’emigrazione, era giunto a trattare 4 temi da tragedia greca.
Come può il cinema oggi recuperare una dimensione analoga, come può cogliere
nella cronaca quei valori grandi che toccano ugualmente chi è nato a Gela o
a Parigi? Mentre ne Il ladro di
bambini raccontavamo le macerie sociali, ne
La meglio gioventù quello che
si è sfasciato non è soltanto la comunità di origine ma qualcosa di più: i
riferimenti ideali, i modelli di vita. La crisi dei personaggi nasce quasi
sempre non da ostacoli esterni ma dalla difficoltà, tutta interiore, di far
coincidere i comportamenti con le convinzioni. Tutti i protagonisti de La
meglio gioventù prima o poi sbagliano ma, come diceva Don Milani, “per
troppo amore”.
SP – un altro nostro film d’elezione è
Lo specchio della vita (Imitation
of Life) di Douglas Sirk. Le lacerazioni sentimentali, l’idea del
tempo che passa e gli strappi che comporta, l’idea della famiglia come
conflitto. Il melodramma ma anche il dramma. Abbiamo cercato scrivendo il
film d’usare anche lo strumento dell’ironia, della leggerezza. Uno stile cui
ha contribuito molto la regia di Marco Tullio Giordana.
SR – abbiamo scelto di iniziare la nostra storia nel ’66 perché è un anno
che prefigura il ’68, ma un ’68 nella sua fase più vitale, generosa,
innocente. Prima della politica. Sandro e io ci siamo stati a Firenze a
salvare i libri dall’alluvione del ’66 e lo ricordiamo come un momento di
grande felicità, di ragazze, di viaggi sul pullman, di tende…La sensazione
che “si possono cambiare le cose” è partita da lì. Poi vi sono stati molti
fatti complessi, tra cui la tragedia del terrorismo che ha interrotto un
processo in maniera violenta.
Il ’68 resta comunque l’anno cruciale della generazione nata dopo la guerra
come noi due e Marco Tullio. In Italia è stato spesso raccontato in maniera
caricaturale soprattutto da parte della nostra classe politica. I giovani di
allora vengono dipinti come degli “stalinisti” che poi diventano
inverosimilmente dei maturi “integrati”. Crediamo invece che ci siano molte
persone come Nicola, come Carlo, come Vitale: non li conosce nessuno, fanno
i professori, gli operai, o i medici in giro per il mondo. Ad esempio: per
il personaggio di Carlo che diventa un economista della Banca d’Italia ci
siamo ispirati a un nostro amico che dopo gli anni caldi del ’68 ha
trasposto i suoi ideali nel duro lavoro di progettare e far funzionare
l’economia di questo paese. Finite le grandi utopie queste persone hanno
spesso continuato a operare, in silenzio e con coerenza, dentro casa, sul
luogo di lavoro, nelle associazioni di volontariato. Scomparsi dalle
cronache, non fanno “notizia”, non fanno “tendenza”, eppure continuano a
dare il loro contributo personale per rendere più vivibile questo paese. Tra
i personaggi de La meglio gioventù mi piace molto la sorella giovane che
poteva diventare una grande archeologa, viaggiare per il mondo, e sceglie
invece di avere dei figli, di occuparsi della sua famiglia. La vita, senza
eroismo.
SP – Matteo è contraddittorio: dentro alla sua famiglia si sente soffocare
eppure rischia molto pur di ridare a Giorgia un padre. Matteo dice a se
stesso: io non provo più interesse a vivere. Ma invece vive, nel suo lavoro
di poliziotto si batte, s’indigna, non ce la fa a non schierarsi. E’
contraddittorio nella testa, non nel cuore. I suoi silenzi sono a volte più
inquietanti delle sue parole. Abbiamo fatto per Matteo un lavoro di
sottrazione, abbiamo cercato di togliere ciò che “suonava” troppo razionale,
troppo spiegato col senno di poi. Questo modo di raccontare Matteo è per
noi, più in generale, uno dei nodi della scrittura. Per raccontare in modo
nuovo un personaggio non abbiamo bisogno soltanto dei altre parole, ma anche
e soprattutto di un altro rapporto tra le parole e i gesti.
SR – sia per Matteo che per altri personaggi anche minori, abbiamo fatto un
grosso lavoro di scarnificazione. Saputo che Marco Tullio ne sarebbe stato
il regista, abbiamo pensato che potevamo permetterci di tagliare. Tanti anni
fa il nostro primo lavoro fu un documentario sulla follia,
Matti da slegare. Era girato
all’ospedale psichiatrico di Parma dopo che Franco Basaglia se n’era andato.
Venne a trovarci un giorno mentre giravamo, e abbiamo visto Basaglia – un
grande intellettuale, uno dei “padri” dell’antipsichiatria – che girava in
quel manicomio da cui mancava da un paio d’anni. La sua comunicativa coi
malati era straordianaria. Era allegro, scherzava, li prendeva sottobraccio,
gli dava le spinte. Era contagioso. Gli abbiamo chiesto: “Ma sono tutti così
gli psichiatri?”. Lui ci ha risposto: “Sono di due tipi: quelli che hanno
paura dei matti e quelli che non hanno paura”. Basaglia aveva un forte senso
della vita, come Nicola appunto. Mentre Matteo è il suo “negativo”, nel
senso fotografico del termine. Forse per questo i due fratelli si amano
tantissimo.
SP – se è drammatica la solitudine di Matteo, lo è altrettanto la leggerezza
di Nicola, per esempio quando si mette a cucinare la pizza con la figlia
mentre in televisione passa l’immagine di sua moglie schedata con i
terroristi, o l’ironia di Vitale, dopo che è stato licenziato dalla FIAT.
Gli anni’80 con la sconfitta della classe operaia alla FIAT rappresentano
una pagina tragica della nostra storia. Ma abbiamo voluto rappresentarla
nella scena della festa di nozze giocando di sponda, senza i soliti
vittimismi, con l’operaio licenziato che ha voglia di ballare e dice: io non
mi faccio piegare. Uno scatto non consolatorio ma vitale.
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