Da esperto documentarista, Giancarlo Bocchi ci racconta una storia
verisimile (la ricerca del “Comandante Jako”), sfruttando la sua
esperienza in zone di guerra (nella stessa Bosnia, ma anche nel Chapas e
in Palestina), in cui gli avvenimenti principali che fanno da sfondo sono
realmente accaduti: il bombardamento a salve della città, il treno di
profughi finito nel nulla – sono fatti che “raccontano” e parlano da sé,
quasi a voler bilanciare il flano della pellicola, in cui si afferma che
"la verità è la prima vittima della guerra".
Lo stesso Lorenzi (interpretato da Vincent Riotta) che va alla ricerca
dello scoop a tutti i costi, è un giornalista verosimile - si pensi al
caso del New York Times, dove Howell Raines e Gerald M. Boyd, direttore e
vice direttore, sono dovuti dimettersi bruciati dai falsi scoop di un
reporter scorretto o, rimanendo in Italia, è al momento sotto accusa
il corrispondente di Repubblica dalla Cina, Marco Lupis, che secondo
alcuni colleghi e lettori avrebbe inventato falsi reportage dall'Estremo
Oriente. Ma Lorenzi crea e manipola la realtà più per cinismo che per
cialtroneria - e certo, non è comunque giustificabile: egli vuole rendere
la notizia più interessante non solo perchè la verità è la prima vittima
della guerra, ma anche perchè la Notizia (con la enne maiuscola) è l’unica
chance per ha per continuare a rimanere in Bosnia. Se fosse solo un
cialtrone, quando Alan (un intenso Zan Marolt) gli propone una finta
intervista al Comandante Jako, la acceterebbe sicuramente. Invece,
dignitosamente, la rifiuta. Anche se, col senno di poi, avrebbe fatto
meglio ad accettarla.
NEMA PROBLEMA è allora un film sulla verità e la sua manipolazione? E'
sicuramente una pellicola che documenta le mille sfaccettature della
Verità: esistono verità storiche, personali, mediatiche. Tenendo conto che
queste ultime, a ben guardare, sono le più pericolose.
E le meno vere.
Voto: 30/30
01.05.2004
Di seguito, le note di regia, la filmografia e gli interventi di Ettore
Mo, Adriano Sofri e Bernardo Valli tratti dal libro NEMA PROBLEMA, Manni
Editore, di Giancarlo Bocchi, Arturo Curà e Luigi Riva.
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Guardare il film di Giancarlo Bocchi è stato
come leggere uno di quei racconti brevi, scarni, essenziali dove nessuna
parola è superflua: e proprio per questo il racconto, come il film, ti
avvince e trascina provocando emozioni profonde. Le immagini mi hanno
ricondotto di colpo sui sentieri di guerra della Bosnia-Erzegovina e mi
sono accodato ai due reporter del film rivivendo le fatiche, i rischi e
anche gli entusiasmi di quelle straordinarie giornate.
Non era una guerra facile da raccontare, quella dell’ex Jugoslavia nei
primi anni Novanta, una guerra di tutti contro tutti, e non sempre gli
inviati al fronte riuscivano ad offrire un quadro oggettivo e veritiero di
quanto stava avvenendo sotto i loro occhi: anzi in un paio d’occasioni, i
due protagonisti del film forzano un po’ la mano. distorcendo la verità.
In questo il regista, che ha frequentato assiduamente la zona a fianco di
noi giornalisti, è stato obiettivo. Ci furono falsi scoop, notizie gridate
e non verificate e anche interviste inventate.
Però la sua denuncia non ha il tono del moralista indignato, è una
semplice constatazione che affiora sulle labbra di uno dei protagonisti
del film quando dice che “la verità è la prima vittima della guerra”
Ettore Mo
Milano. 15 marzo 2004
(dalla prefazione del libro sui film di Giancarlo Bocchi “NEMA PROBLEMA” -
Manni Editore)
C 2004 IMC S.r.l con licenza a Manni Editore, obbligo di citazione della
fonte in modo integrale
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In una situazione grave, un giornalista deve essere anzitutto un testimone
che descrive dei fatti dopo avere tentato di verificarli, nella misura del
possibile. Molti imbrogliano. Ho sfogliato tanti giornali traboccanti
invenzioni e visto tante trasmissioni televisive truccate. Per quanto
riguarda la stampa scritta si dice che chi racconta balle «scrive un
romanzo». Non è un complimento. Ma non è casi semplice.
Lucien Bodard se ne fregava dei fatti. Eppure raggiungeva quasi sempre
l’obiettivo: vale a dire riusciva il più delle volte a comunicare al
lettore la verità profonda di quel che avviene al di là delle apparenze.
Sapeva descrivere l’avventura dell’uomo immerso in cose che lo superano.
Il rapporto scrupoloso di un gendarme, o di un cronista meticoloso, non
arriverà mai a questo risultato. Ci vuole l’arte del romanziere: e Lucien
Badard lo è poi stato sul serio. Il romanziere può essere un testimone
poco scrupoloso ma molto più efficace, e veritiero, sull’essenziale, del
cronista pieno di scrupoli.
Nel suo omaggio critico all’amico-nemico Bodard, Max Clos ricordò la
realistica descrizione della battaglia di Verdun (durante la Grande
Guerra) nei due volumi di Les hommes de bonne volonté, il cui autore.
Jules Romains, non aveva mai messo piede su quel campo di battaglia. l
reduci di Verdun, quando i loro ricordi erano ancora freschi, si stupirono
nel leggere pagine tanto aderenti alla realtà che avevano vissuto.
Esistono tanti altri casi del genere nella letteratura. Mi vengono in
mente Malraux, Celine, Malaparte. . . Di loro si potrebbe dire quel che
Dumas diceva di se stesso: «Ho violato la storia, ma le ho fatto fare dei
bei figli». Il suo Richelieu, nei Tre Moschettieri, è rimasta nella nostra
memoria molto più vivo di quello imparato sui libri di storia.
La verità è che i Bodard senza talento sono dei semplici bugiardi. E
quindi hanno scarso valore. Sono furfanti. Invece i veri Bodard suscitano
in noi sentimenti contrastanti: ammirazione e diffidenza. Hanno un’aureola
che ci intimidisce ed emanano un leggero odore di zolfo. Tra i sentimenti
che ci ispirano c’è anche l’invidia. L’avevo dimenticata. Essa è dovuta al
fatto che loro, attraverso dettagli inventati, riescono a dare il senso,
il significato di una situazione. In sostanza comunicano l’essenziale. La
verità che conta. Impresa molto ardua per noi prigionieri della verità del
momento. Una verità che cambia da un minuto all’altro, lasciandoti tra le
mani tanti dettagli esatti ma spesso insignificanti. È il destino ingrato
dell’onesto artigiano, quale è il bravo cronista.
Bernardo Valli
Parigi. 7 marzo 2004
(dal testo introduttivo del libro sul film di Giancarlo Bocchi “NEMA
PROBLEMA” - Manni editore)
C. 2004 IMC S.r.I con licenza a Manni Editore, obbligo di citazione della
fonte in modo integrale.
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Nel film - avvincente, svelto, essenziale – l’intrigo regna sovrano, e
tramuta tutte le fazioni e i personaggi in proprie patetiche marionette.
Ciascuna fazione, ciascun personaggio è bensì titolare della propria
peculiare menzogna, impostura, millanteria e corruzione. Ciascuno lo è con
una sua autentica schiettezza - si può essere infatti schiettamente
bugiardi e truffatori, e perfino sentimentalmente - ma l’esito è una
specie di provvidenza alla rovescia: tutto congiura alla vittoria del
male, e di un male senza grandezza e senza banalità, di un male ordinario
e contagioso.
Salvo. forse al di là delle intenzioni degli autori, il più cattivo dei
personaggi, il comandante Jako, servo padrone del viaggio attraverso tutte
le linee, che rischia di riscattarsi con una intelligenza da regista,
benchè paghi anche lui il suo prezzo esoso al copione della storia.
Copione balcanico, forse, o già universale: nema problema, sul desolato
pianeta di oggi.
Adriano Sofri
Pisa. Carcere Don Bosco, 20 marzo 2004
(dalla prefazione del libro sul film di Giancarlo Bocchi “NEMA PROBLEMA” -
Manni Editore)
C. 2004 IMC S.r.l con licenza a Manni Editore, obbligo di citazione della
fonte in modo integrale.
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NOTE DI REGIA
NEMA PROBLEMA è un viaggio, una corsa nel tempo non per fuggire, per
cercare. E’ già accaduto: da Spalato a Sarajevo, da Khujand a Duschambe,
da Kerki a Mazar e Sharif, da Pristina a Jakova.
Terre desolate e posti di blocco.
Luoghi dove l’aspetto più bestiale della storia, del mito e delle
tradizioni riaffiora prepotentemente dalle divisioni etniche, religiose,
tribali che ti schiacciano. In questi mondi senza pace la damanda è una
sola: qual’è la verità? Esiste forse il diritto alla verità?
Se la propaganda, dalla disinformazione alla falsificazione sono elementi
presenti di ogni guerra, qui non si possono scindere dalle comuni
necessità della sopravvivenza, nel vedere solo quello che si vuole vedere,
per rinchiudersi in un privato dominato “dalla finzione appassionata”.
Questi due piani, presenti nei film, si intersecano continuamente ponendo
un’altra domanda: il “male” abita su sperdute e lontane montagne, vive
mimetizzato accanto a noi, oppure è dentro di noi?
Ogni volta che tornavo da un paese in guerra, mi sforzavo di spiegare come
le storie, le testimonianze, le espenenze che avevo raccolto non erano
fuori dal mondo, ma erano tutte del nostro mondo.
Vedevo incredulità in quelli che non potendo più rispondere “non
sappiamo..” sostenevano con forza “è colpa loro”.
Giorno giorno una realtà, anzi un’irrealtà bugiarda e consolatoria ci ha
resi inconsapevoli complici. Cecchini della visione.
Lo schermo fuorviante delle diversità culturali, religiose, etniche e
geografiche, insieme coni l’ancora più brutale paravento del “vero più
vero del vero“ d’immagini televisive dove non c’è più niente da vedere,
sono stati usati per giustificare la nostra lontananza, per impedirci di
scoprire che non c’era più alcun diritto alla verità. Solo oggi scopriamo
che non siamo affatto lontani da quei mondi in guerra. Vedere la verità
costruita dalla disinformazione, dalla falsificazione del sistema o da una
rimozione privata. Vedere una verità mai condivisa, storica, filosofica,
ma semmai “rivelata’”, è stato la prima intuizione per iniziare a lavorare
a questo film. Nella pellicola non c’è il primo fotogramma. È rimasto
nella memoria di una giornata d’inverno, plumbea e tetra, sulle colline
della prinna linea di Hotonj a Sarajevo. Il soldato dell’Armjia Bosnia che
mi accompagna, con il solito ffatalismo balcanico, ha preso la via più
breve per scendere in città, quella esposta al fuoco dell’assedianti.
Siamo diventati amici fraterni dopo tanti giorni passati insiemme in
trincea. Quel giorno nel suo sguardo c’è qualcosa di strano che mi
allarma.
Mi fermo per riprendere con la mia telecannera la montagna di Zuc. ma un
urlo mi blocca. “Martin” il soldato. mi sbraita di stargli accanto, di non
allontanarmi. Forse teme che ci sia un cecchino. In quei prato, in discesa
senza alberi o ripari, e impossibile proteggersi dai cecchini. Allora - mi
chiedo - ho inquadrato qualcosa di segreto?
Ma è impossibile. È tutto il giorno che faccio riprese a destra e
sinistra. “Martin” - lo chiamo così perchè assomiglia all’attore Martin
Sheen - che ha colto il mio sguardo dubbioso, dice quasi seccato: “se mi
stai vicino non ti sparano...”
È quest’episodio il primo fotogramma di NEMA PROBLEMA.
C’era qualcosa di vero in quell’avvertimento o “Martin” voleva solo
rafforzare la nostra amicizia con un macabro scherzo?
Per giorni ho ripensato all’accaduto senza venirne a capo. Due mesi dopo
ho scoperto cos’era successo. Non era uno scherzo. non era una mia
fantasia o torbida dietrologia. Come ha detto un grande scrittore russo
“la verità è talvolta inverosimile”. Ma c’è anche un’altra verità: il
privilegio che avevo di potcr andare e tornare, mi dava il diritto, seppur
con qualche fatica e rischio, di poter scoprire la verità.
Gli altri cittadini di Sarajevo, questo diritto non lo avevano.
Descrivere queste sensazioni che fanno rabbrividire, questa complessità
mimetizzata da un’apparente semplicità si è subito rivelata impresa ardua.
Anche per questo, sono state innumerevoli le versioni della sceneggiatura.
Con Arturo Curà e Luigi Riva - gli sceneggiatori - abbiamo cercato una
drammaturgia più scarna e asciutta possibile, lontana da ogni cedimento
spettacolaristico e da ogni concessione al “genere” al “grottesco” e
soprattutto al “d’apres “.
La replica su pellicola di una visione televisiva del mondo. Non volevamo
realizzare un “film di guerra” e tantomeno il “solito” film sulle guerre
balcaniche.
Volevamo fare un film “dentro” la guerra
Volevamo anche trasformare i vari, tumultuosi e aggrovigliati conflitti
balcanici nella “guerra’” per definizione, senza entrare nelle
problematiche “etniche” o strettamente legate a questi particolari
conflitti: problematiche che avrebbero messo fuori fuoco il significato
universale della narrazione.
Volevamo anche raccontare lo stravolgimento della realtà quotidiana di
tutti che molto spesso diventa “fiction”.
Abbiamo condiviso l’idea di Riva: costruire una storia con una serie di
episodi veri - il treno dei profughi, il bombardamento a salve della città
- con i protagonisti che attraversassero un percorso, come sarebbe potuto
realmente accadere.
Da un lato ho pensato a una realtà essenziale senza alcun compiacimento
stilistico o estetico e dall’altra ad una apparente linearità di racconto
che potesse rivelare la molteplicità di livelli e la complessità quasi
labirintica di quello che si voleva rappresentare.
L’obiettivo registra oggettivamente, senza partecipazioni emotive,
freddamente, non concedendo nessuno spazio alle tecniche tradizionali del
film “d’azione” o di guerra. L’uso degli effetti speciali è volutamente
scarno e solo dettato dalla necessità. Anche il ritmo del film rincorre i
tempi della realtà di guerra: pause di vita quasi normale con improvvise
accelerazioni di tensione drammatica. l passaggi temporali, che possono
apparire quasi esasperati, sono stati utilizzati in funzione di un
rafforzamento del “non detto“, che si dovrebbe vivere con la stessa
inquietudine dei personaggi.
La storia solo apparentemente non ha un unico protagonista perchè il vero
protagonista - il comandante Jako - non si vede mai. ma regna sovrano come
il “regista interno “ alla storia.
Solo alla fine si scoprirà che senza saperlo lo abbiamo sempre incontrato.
In questo senso la “fiction” viene annullata da una successiva narrazione
interna. Alle battute o alle sequenze non c’è un solo sottotesto: c’è una
evoluzione, attraverso successivi livelli temporali di lettura.
Non è casuale la fusione di lingue diverse (slavo, inglese, francese,
italiano) che connotano le vicende con suoni che colorano i diversi
personaggi, di un immediatezza estraniante fuori dalla tradizione della
“lingua universale” all’origine di ogni falsificazione.
Il film è senza eroi o vincitori: una lunga sequenza di piccole verità e
di grandi bugie che i protagonisti (i due “inviati” un pericoloso finto
traduttore, una ragazza sbandata) conducono, sballottati qua e là da
avvenimenti oscuri e tragici, rimanendo in perpetuo equilibrio precario
tra ciò che è vero e ciò che è falso. Ognuno all’interno di un cerchio che
li fa prigionieri e perciò sconfitti, usa l’altro cinicamente per i propri
scopi.
Come ha sostenuto fortemente Arturo Curà, si doveva comporre un moderno
quartetto da camera in cui ognuno, con il proprio specifico colore, è
contemporaneamente solista e accompagnatore.
Aldo il traduttore - solo all’ apparenza il più lineare nelle motivazioni
- racchiude almeno quattro personaggi che si incontrano e si scontrano.
Le motivazioni di Lorenzi - il giornalista - sono complesse ed avvolte
nell’ombra fino alla fine. È un “drogato” dalla guerra, uno che non riesce
più a vivere, a dare un senso a se stesso, lontano dal pericolo e dalla
tensione.
Maxime - il giovane giornalista - è il carattere più semplice e anche il
più contemporaneo. Un idealista arrogante, limitato nelle sue certezze da
dilettante, ma tra le pieghe dell’idealismo nasconde la bassezza di chi
vuole emergere e diventare famoso a tutti i costi.
Il personaggio di Sanja racchiude un forte senso di positività. Vuole
salvarsi ma senza rinunciare alla sua dignità, ai suoi principi. La storia
che si inventa, per Maxime, è un urlo di disperata protesta in un mare di
mistificazione, manipolazione e disinformazione.
Quasi una scelta obbligata di “realismo”, è stato fatta sulla colonna
sonora che in diversi momenti diventa chiave drammaturgia essenziale per
essere “dentro” la guerra.
Mentre giravo, non ho mai pensato ad alcuna scena sostenuta da un
sottofondo di violini, arpe o strumenti a fiato. Un commento musicale
avrebbe inesorabilmente tolto all’intero racconto l’immediatezza cruda.
L’essere dentro al racconto. L’essere avvolti e coinvolti.
Ho avuto la grande soddisfazione, realizzando il film, di veder gli amici
croati, musulmani e serbi di nuovo riuniti, senza più divisioni e senza
recriminazioni nel progetto in un lavoro comune.
Questo mi ha ricordato il vero senso, il più intimamente disturbante della
guerra, ”la grande illusione“. Ogni vittoria porta inevitabilmente in sé
un senso di sconfitta, un peso che si trasmetterà ineluttabilmente di
generazione in generazione. Mi hanno raccontato tante volte: “ogni
cìnquant’anni scoppia una guerra. Tutti noi dobbiamo subire almeno due
guerre durante la nostra vita“.
Ho conosciuto un’anziana e risoluta “maika” che ha subito tre guerre.
Nella prima guerra mondiale ha perso il padre, nella seconda il marito e
nell’ultimo conflitto balcanico altri famigliari.
Dopo essere stato per la prima volta dentro una guerra ho finalmente
capito cosa mi volesse dire mia madre quando da bambino mi raccontava,
ancora con paura, che da piccola aveva subito un mitragliamento aereo.
lo vedevo quella scena come al cinema. Ma non era una scena di un film.
Il film voleva parlare anche di questo, tutto quello che rimane in noi
dopo queste grandi tragedie.
“La verità è la prima vittima della guerra.. “ hanno scritto. È vero.
Se non si ha il coraggio di cercarla fuori e dentro di noi.
Giancarlo Bocchi
(dal press book)
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Giancarlo Bocchi
regista e produttore indipendente

Si è occupato di arte e musica contemporanea,
ha realizzato video sperimentali, video installazioni e documentari d’arte
e cultura. Negli ultimi anni ha realizzato diversi film documentari su
conflitti politici e sociali in varie parti del mondo (Afghanistan,
Bosnia, Kosovo,Irlanda del Notti, Messico, Palestina, Tajikistan) tra i
quali MILLE GIORNI DI SARAJEVO (Primo Premio al Festival Arcipelago - Roma
1996), SARAJEVO TERZO MILLENNIO (Premio Speciale – Anteprima per il Cinema
Indipendente Italiano – 1996), MORTE DI UN PACIFISTA E IL PONTE DI
SARAJEVO (Premio Trieste per il Nuovo Cinema Europeo – 1997), VIAGGIO NEL
PIANETA MARCOS sul subcomandante Marcos e IL LEONE DEL PANSHIR con Ahmed
Shah Massud, il leggendario comandante dell’Afghanistan. Ha realizzato
diversi documentari sui conflitto in Kosovo: FUGA DAL KOSOVO (nominations
al Rory Peck Award – Londra 1999), KOSSOVO ANNO ZERO (2000) e KOSOVO
NASCITA E MORTE DI UNA NAZIONE (2001).
NEMA PROBLEMA è il suo primo film
lungometraggio.
Filmografia essenziale 1994 —2004;
1994
mille giorni a Sarajevo
Film documentario, Bosnia, 24’
Una produzione IMP S.r.l.
Con la partecipazione di RAIDUE, BABEL, EBU-MEDIA
Regia, fotografia, suono: Giancarlo Bocchi
Montaggio: Roberto Missiroli, Jacopo Quadri
Sarajevo terzo millennio
Film documentario, Bosnia, 24’
Una produzione IMP S.r.l.
Con la partecipazione di RAIUNO, BABEL, EBU-MEDIA
Regia, fotografia, suono: Giancarlo Bocchi
Montaggio: Jacopo Quadri
1995
DIARIO DI UN ASSEDIO
Film documentario, Bosnia, 50’
Una produzione IMP S.r.l.
Regia , fotografia, suono: Giancarlo Bocchi
Montaggio: Jacopo Quadri
MORTE DI UN PACIFISTA (IL PONTE DI SARAJEVO)
Film documentario, Bosnia, 50’
Una produzione IMP S.r.l. con In partecipazione di TELE +
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Storie di Sarajevo
Film documentario, Bosnia, 80’
Una produzione IMP S.r.l.
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Giancarlo Bocchi
1996
Viaggio nel pianeta Marcos
Film documentario, Messico, 21’
Una produzione IMP S.r.l.
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Ragazzi di Città del Messico
Film documentario, Messico, 10’
Una produzione IMP S.r.l. per RAITRE
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Esmeralda Calabria
1997
Il Leone del Panshir - Ahmed
Shah Massud
Film documentario, Afghanistan, 24’
Una produzione IMP S.r.l.
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Giancarlo Bocchi
Il Muro tra gli oceani
Film documentario, Messico/USA, 24’
Una produzione IMP S.r.l.
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Giancarlo Bocchi
Benvenuti all’inferno
Film documentario, Irlanda del Nord, 10ì, 24’
Una produzione IMP S.r.l.
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Giancarlo Bocchi
1999
Fuga dal Kosovo
Film documentario, Kosovo, 50’
Una produzione IMP S.r.l. per RAIDUE
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Kosovo Anno Zero
Film documentario, Kosovo, 50’
Una produzione IMP S.r.l. per RAITRE
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Fulvio Molena
2000
Kosovo, nascita e morte di una
nazione
Film documentario, Kosovo, 80’
Una produzione IMP S.r.l. con RAICINEMA FICTION - RAIDUE
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio : Giancarlo Bocchi ed altri
2001
In giorno a Gaza
Film documentario, Palestina, 10’
Una produzione IMP S.r.l.
Regia, fotografia, suono : Giancarlo Bocchi
Montaggio: Fulvio Molena
2004
NEMA PROBLENA
Film lungometraggio, Bosnia, 85’
Produzione IMC Independent Movie Companv SRL con la partecipazione di
TELE+, con il supporto della Direzione Generale Cinema, Istituto Luce
Distribuzione
Con Zan Marolt, Labina Mitevska, Vincent Riotta, Fabrizio Rongione.
Regia: Giancarlo Bocchi |