Ci risiamo, se EL
ALAMEIN fosse stato un film americano, le librerie si sarebbero riempite di
libri, saggi, istant-book perfino, sull'argomento. Ma ahimé, è un
prodotto nostrano, e non merita tutta sta grazia: la consolazione è che si
trova tra i 19 film italiani che nella stagione 2002 - 2003 hanno incassato
più di 500 mila euro (1052, stando a
Cinemotoreonline), subito prima de LA
MEGLIO GIOVENTù, ATTO I -
segno che se il prodotto è buono, c'è ancora gente disposta a pagare 7 euro
minimo per recarsi al cinema. Eppure qualche politico che l'ha definito
"offensivo" c'è - non ricordo chi, ma c'è: offensivo perché ha fatto
vedere i soldati italiani come straccioni. Cinquanta anni fa Andreotti
istituì una legge che di fatto censurava il cinema italiano, e secondo il
ragionamento che i panni sporchi si lavano in casa stroncò capolavori come
LADRI DI BICICLETTE e UMBERTO D: con lui EL ALAMEIN sarebbe forse finito al
rogo. Ma cosa c'è di così scandaloso, nel mostrare degli straccioni?
Sarebbero stati più eroici se fossero morti in divise linde e pulite? Ad EL
ALAMEIN caddero 17000 italiani, a causa della mancanza di fortuna, più che
di coraggio - come scrissero su di un ceppo nel deserto. LA LINEA DEL FUOCO
è piuttosto un atto d'amore, un omaggio ai "ragazzi di El Alamein". Dedicato
a quelli che sono tornati - e che magari nella pellicola hanno ritrovato un
episodio vissuto, una frase buttatà lì in dialetto, un personaggio - ma
soprattutto pensato per coloro che in mezzo a quel silenzioso deserto sono
rimasti per sempre.
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La Battaglia di El Alamein
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La battaglia di El Alamein durò, in pratica, undici giorni, dal 23 ottobre al 01 novembre 1942: l’Armata Italo-Tedesca fu costretta alla ritirata lasciando sul campo migliaia di morti. I soldati italiani, straccioni male armati, meritarono l’Onore delle Armi al momento della resa, tanto fu il coraggio e la determinazione da loro dimostrati in quella che fin dall’inizio era per loro (non solo per la superiorità numerica) una battaglia persa. Bene, EL ALAMEIN non vi racconta tutto questo. In altre parole, non troverete la spettacolarità di SALVATE IL SOLDATO RYAN, piuttosto l’attesa de IL DESERTO DEI TARTARI, la follia degli alti comandi de GLI ANNI SPEZZATI (GALLIPOLI, 1981, di Peter Weir) o di UOMINI CONTRO, le atmosfere dei romanzi di Lussu e Rigoni Stern. La Guerra di Monteleone è la guerra dei soldati di prima linea, quelli dimenticati da tutti - a volte anche dallo stesso nemico: la guerra dell’attesa, del caldo diurno e delle rigide temperature notturne, la guerra della diarrea (“Non marcare visita se hai la dissenteria”, avverte il sergente Rizzo al Volontario Universitario soldato Serra, “perché tanto ce l’hanno tutti”) e della mancanza di acqua fresca (“Non farti fregare la borraccia,” è una delle prime battute del film). Una guerra che si ispira ai ricordi dei veri reduci (racconti che Monteleone ha riposto nel documentario I RAGAZZI DI EL ALAMEIN, una sorta di preparazione al film vero e proprio) e che lascia da parte (cito testuale dalla conferenza stampa) “la pornografia della guerra” tanto cara al cinema bellico americano coevo: niente budella in bella vista o schizzi di sangue vari – spesso fatti con l’unico scopo di dimostrare l’esistenza di costosi effetti speciali. L’unica concessione che Monteleone fa, e tagliando peraltro molto in fase di montaggio (ottimo, e curato dalla moglie del regista, Cecilia Zanuso), è nel breve episodio che vede come protagonista Cederna, il medico militare che sta amputando un arto: ma anche lì, nella sua crudezza, quella sequenza ha lo scopo di raccontare un episodio reale, riportato da uno dei reduci di El Alamein - non è macelleria fine a se stessa.Il
nemico è là, invisibile, o quasi. La battaglia non arriva mai. La maggior parte del tempo si trascorre nell'ansia di morire colpiti da qualche obice da 81'' e “farsi di sabbia”. “La morte è bella solo nei libri di scuola,” racconta al suo diario Serra (Paolo Briguglia), mentre in prima linea, “chi sta per morire si vede il giorno prima,” impara, “perché le orecchie gli diventano trasparenti e il naso lungo”: la realtà supera la fantasia. Questa frase così surreale, che nel film fa sorridere il giovane Volontario, viene riportata da un reduce a Monteleone come se fosse una verità assoluta. (Così come in due diari distinti, il regista padovano trova testimonianza di quel soldato in mutande, con una forma di Parmigiano in spalla, trovata chissà dove, che attraversa il deserto: nessuno che lo fermi, il surreale si è fatto normalità). Dopo anni in prima linea, col tempo scandito solo dai colpi sparati dagli obici inglesi (sempre quattro e in sequenza), solo una fuga quotidiana dalla realtà può permettere la sopravvivenza: eppure, a chi si salverà, mancheranno inevitabilmente tutte quelle situazioni di paura e di angoscia, di irrealtà, di precarietà estrema. Così, quando Spagna (Luciano Scarpa) gravemente ferito dopo l’ennesimo attacco viene portato via, verso la salvezza, si percepisce il senso di colpa che ha nell’abbandonare, seppur suo malgrado, i propri compagni nella trincea. Non sappiamo se ce la farà mentre capiamo che Serra non riuscirà a tornare a salvare Rizzo (un magistrale Pierfrancesco Favino) e Fiore (l’ottimo Emilio Solfrizzi), e che l’unica consolazione è quella di scusarsi, lui che è tornato, pregando presso il Sacrario di El Alamein, nel controfinale.
Serra si allontana in moto, alla fine della pellicola, in cerca di aiuto: e lo stesso orizzonte che lo aveva visto arrivare, sempre in moto, (quando con la frase "Che bel panorama!”, prima battuta del film, pensava all'Africa come ad una destinazione esotica più che alla linea di fuoco) lo accoglie ora, ma nella direzione opposta.
EL ALAMEIN, avrebbe meritato di partecipare all’Oscar, se regole (non scritte?) non gli avessero preferito il PINOCCHIO di Benigni: ed è un peccato, perché è lontano anni luce da quel MEDITERRANEO di Salvatores, che vinse dieci anni fa, e che vedeva Monteleone proprio come sceneggiatore.
Controfinale
Per gli storici: l’episodio del cavallo di Mussolini è storico, benché sia una licenza poetica quella di averlo fatto arrivare fino in prima linea.
Per i fanatici: i mezzi blindati inglesi usati nelle riprese dello attacco notturno sono carriarmati dell'odierno Regio Esercito Marocchino.
Per Monteleone, LA SOTTILE LINEA ROSSA, (1998) di Terrence Malick, è in assoluto il più bel film di guerra di questi ultimi anni.
Per tutti: EL ALAMEIN va rivisto assolutamente. E, se ne avete l’occasione, cercate anche I RAGAZZI DI EL ALAMEIN nel cinema d’essay in zona.
Voto: 30+/30
30.03.2003
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