“La vita è un film con un
montaggio sbagliato”
(Fernando Trueba)
Una commedia brillante dal sapore agrodolce. Questo è OPERA PRIMA,
lungometraggio d’esordio del regista premio Oscar Fernando Trueba.
Madrid 1978: un uomo e una donna si rincontrano per strada; l’amore è lì,
dietro l’angolo. Scritto dal regista in sole 48 ore (così narra la
leggenda), il film racconta l’amore ingenuo tra un uomo e sua cugina (un
giornalista con velleità da scrittore e una violinista figlia dei fiori),
sentimentalmente vicini già dall’adolescenza.
Negli
anni della movida madrilena, egregiamente raccontata da film come
Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze
del mucchio di Pedro Almodóvar, Trueba s’impone agli occhi del
pubblico con un film sull’evoluzione dei rapporti uomo-donna, la storia di
un amore fatto di quotidianità, di insicurezze, di gelosie, in una
commedia costruita su dialoghi stranianti e talvolta iperbolici, intessuta
di un’ironia che vorrebbe essere pungente, ma che rivela non di rado un
carattere ancora acerbo.
Un film che strizza l’occhio al primo Woody Allen (basti pensare alla corsa
finale del protagonista verso l’aeroporto, esplicita citazione da
Manhattan, che a sua volta
citava L'APPARTAMENTO di Billy Wilder) e che fa pensare inevitabilmente alle
commedie dolci-amare di Wes Anderson (che Trueba sia stato per quest’ultimo
fonte d’ispirazione?).
Divenuto uno dei film più acclamati del cinema spagnolo degli anni ’80,
emblema della nuova comedia madrileña, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra
del Cinema di Venezia nel 1980, OPERA PRIMA è un film di rottura, che si
discosta dalla fino a quel momento dominante estetica patinata, che porta
sullo schermo l’esempio di una nuova realtà sociale e culturale. Il
protagonista (l’attore madrileno Óscar Ladoire), versione anemica del nostro
Riccardo Scamarcio (una cascata di capelli ricci e occhi chiari), più
somigliante nell’aspetto a Francesco Nuti che ad Allen, è il tipico uomo con
l’ansia da prestazione nei confronti della vita: verboso, insicuro dentro e
fuori dal letto, non riesce ad integrarsi nella nuova società dei consumi e
trova sconvolgente il fatto che la cugina gli ponga domande come “Sei
felice?”.
Un film schietto, nel quale tutti (persino la porno-regista intervistata dai
due sprovveduti amici giornalisti) indossano senza vergogna i calzini a
letto.
Un
film a lieto fine, che restituisce fiducia nei sentimenti. Anche nei casi
più impensabili |
Commedia drammatica ovvero dramma grottesco, LA BALLATA DEL BOIA (titolo
italiano di EL VERDUGO) è un film diretto da
Luis
García Berlanga, artista noto per la sua opposizione al regime franchista
insieme all’amico e sodale Juan Antonio Bardem, regista del celebre CALLE
MAYOR, premio della critica a Venezia ’56, sul set del quale venne arrestato
in seguito alla sua presa di posizione pubblica contro la produzione
cinematografica spagnola, sottoposta ai rigidi canoni del regime franchista.
La
tragicità della vicenda personale del protagonista (un giovanissimo Nino
Manfredi) si scontra con i toni grotteschi della pellicola, con i suoi
personaggi strampalati e con i pungenti motti di spirito.
José
Luis è un tranquillo giovanotto impiegato presso un’agenzia di pompe
funebri. Quando conosce la figlia di un boia e la mette incinta, la sua vita
assume le tinte fosche di un incubo in costante pericolo di realizzarsi.
Ogni scappatoia si trasforma in una nuova trappola, fino a
quella finale, alla quale sarà impossibile sottrarsi.
Al
fine di ottenere l'assegnazione di un alloggio pubblico, inizialmente
destinato al suocero (José Isbert), funzionario dello Stato franchista in
procinto di andare in pensione,
infatti, il povero José Luis è costretto ad accettare di succedere a
quest’ultimo, nella speranza, considerato l’elevato numero di boia della
regione, di non dover mai esercitare. Dopo un periodo di relativa
tranquillità, però, arriva inevitabile la temuta convocazione per
un’esecuzione a Palma de Mallorca, la prima della sua carriera, che condurrà
la sua storia ad un esito angoscioso e drammatico.
Nino Manfredi è perfetto nei panni di un ingenuo ragazzotto “incapace di far
male a una mosca”, timorato di Dio e del suocero, costretto dalle urgenze
della vita a trasformarsi in un assassino legale.
Sceneggiato da Rafael Azcona insieme ad Ennio Flaiano, LA BALLATA DEL BOIA è
stato più volte segnalato dalla critica e dai cinefili di tutto il mondo
come il miglior film spagnolo. Una storia dai contorni macabri, un pungente
discorso satirico sulla Spagna franchista: humor nero a servizio di una tesi
sostenuta con forza, quella contraria alla pena di morte.
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1963, il film ottenne il
premio Fipresci dalla critica internazionale, ma suscitò violente reazioni
da parte dell’ambasciatore spagnolo, che ne denunciò il contenuto come una
delle più gravi diffamazioni mai concepite nei confronti dell’intera
società spagnola e
ne
ordinò la distribuzione previa censura. Il risultato è un film ampiamente
mutilato, spesso carente di nessi spazio-temporali fondamentali, carenza che
non ne depaupera tuttavia il senso e la forza complessiva. |