SE SEI VIVO SPARA

(Django, Kill...If You Live, Shoot!)

ITA/SPA 1967, col, 118’

 di Giulio Questi

Con Tomas Milian, Ray Lovelock, Piero Lulli, Milo Quesada, Marilù Tolo

 

Il bandito Hermano (Milian) si mette sulle tracce dei suoi ex compagni di scorribande, che si sono spartiti il bottino di un colpo senza di lui e credono di averlo fatto fuori; arrivato in un villaggio sperduto nel deserto, darà involontariamente l’avvio ad una selvaggia caccia all’oro che coinvolgerà tutti gli abitanti.
Il western all’italiana è già di per sé un genere spettrale, nato sulle ceneri di quello classico; se poi ci si inoltra per questa strada popolata di zombi, si incontreranno personaggi sempre più stilizzati, dinamiche narrative sempre più elementari e farcite di citazioni, tempi e luoghi via via più dilatati, una violenza ormai fine a se stessa e quasi surreale. Al termine di questo percorso impervio, oltre i binari di una locomotiva che trasporta i cadaveri degli eroi della Frontiera, ci sono film come Se sei vivo spara. Spaghetti-western onirico, allucinato, delirante, insano, pervaso da un intollerabile puzzo di putrefazione, rappresenta l’unica incursione nel genere da parte di Giulio Questi, regista dal piglio sin troppo autoriale che ha messo a segno un pugno di ermetiche pellicole prima di sparire nella folta categoria degli autori minori degli anni ’60, nati sotto la stella ingombrante dei Fellini e degli Antonioni. Pressato da una produzione italospagnola mentre è alle prese con la sceneggiatura di quello che avrebbe dovuto essere il suo primo lungometraggio, La morte ha fatto l’uovo, Questi viene incaricato di confezionare un film commerciale, sulla scia dei western nostrani che all’epoca imperversavano nelle sale e cominciavano persino ad incuriosire i produttori d’oltreoceano. Il risultato, co-sceneggiato da Kim Arcalli, è lontano dalle aspettative (e infatti il film, in assoluta controtendenza, incasserà poco) ma non per questo meno memorabile: scenari metafisici, scenografie sghembe, musiche dissonanti ma ipnotiche, bellissima fotografia pop di Franco Delli Colli, personaggi di una malvagità animalesca che avrebbero meritato di comparire in un quadro di Goya e un Tomas Milian insolitamente misurato che emerge da una tomba durante i titoli di testa. Sconcerto e orrore sublimati dal prezioso soffio di una genuina follia. Da antologia la scena dell’arrivo al villaggio, magistrale per il gioco di sottrazione, e l’entrata in scena della bellissima Marilù Tolo che canta su delle note provenienti da chissà dove. Ma di momenti forti se ne contano a decine. A soli tre anni da Per un pugno di dollari, Questi fa già un bilancio definitivo, senza appello, dell’universo spaghetti. Film cult se ce n’è uno. Ineguagliato.