GLI INVASATI
(The Haunting)

Usa 1963, b/n, 112'

di Robert Wise

Con Julie Harris, Claire Bloom,

Richard Johnson, Russ Tamblyn,

Lois Maxwell

 

Antropologo studioso di parapsicologia, il Dottor Markway (Johnson) invita a Villa Crane – una vecchia magione del New England che si dice infestata da malvagie presenze – tre soggetti dalle spiccate doti medianiche: Eleanor (Harris), una zitella paranoica; Luke (Tamblyn), giovane e scettico erede dei proprietari della casa; Theodora (Bloom), un’affascinante lesbica. I quattro si ritroveranno a dover fare i conti con spettri veri e immaginari.

Artigiano hollywoodiano d’altissimo rango, Wise inaugurò la sua lunga ed eclettica carriera con Il giardino delle streghe, piccolo ma interessante studio d’atmosfera nonché singolarissimo sequel de Il bacio della pantera di Jacques Tourneur, di cui riprende i personaggi (e gli interpreti) principali per poi virare verso la fiaba nera. Anni dopo, Wise dimostrerà di aver assimilato perfettamente l’attitudine per l’ellissi del geniale regista francese nell’adattare per il grande schermo "La Casa degli Invasati", il romanzo della scrittrice americana neo-gotica Shirley Jackson considerato da Stephen King la più bella opera horror di lingua inglese insieme a "Il Giro di Vite" di Henry James. Sfruttando al meglio lo splendido personaggio della border-line Eleanor (una bravissima e semisconosciuta Harris), Wise infatti gioca magistralmente col non-visto e i rumori fuori scena, determinando quella confusione fra oggettivo e soggettivo che costituisce il pilastro centrale del racconto, e crea un’inquietudine sottile che stimola l’immaginazione dello spettatore come poi non si sarebbe più fatto (almeno fino al recente e troppo frettolosamente liquidato The Blair Witch Project).

Il romanzo della Jackson viene sfruttato con coraggio dall’autore della sceneggiatura Nelson Gidding, che, nell’assecondare una tendenza sempre più pressante nel cinema americano dell’epoca (Splendore nell’erba di Kazan è di due anni prima, Lolita di Kubrick della stagione precedente), amplifica il sottotesto sessuale già presente nel libro, rendendo l’istinto autodistruttivo di Eleanor una naturale conseguenza della sua repressione, e facendo del modernissimo personaggio della lesbica Theo il simbolo di tutto ciò che ella più teme e desidera.

Per quanto riguarda l’aspetto visivo, poi, Wise non risparmia nemmeno per un fotogramma la sua mirabile perizia tecnica, e attraverso dissolvenze, grandangoli, inquadrature sghembe trasforma la cinepresa in un caleidoscopio di rara lucidità ed eleganza, che sfiorerebbe il compiacimento estetizzante se la geometria distorta, le simmetrie, l’ordine irreale non si fondessero in un tutt’uno con la folle atmosfera dell’ambientazione e la scintillante fotografia bianconera di Davis Boulton, facendo così di Villa Crane un prototipo dell’Overlook Hotel di Shining, oltre che una degna erede delle case infestate della letteratura di fine ottocento.

Non un film horror in senso stretto, ma una riflessione sulla paranoia e le paure interiori che rispetta fedelmente i canoni del migliore spettacolo hollywoodiano.