Giunto alla sua ventunesima edizione, il
Festival del cinema latino-americano
ha portato anche quest’anno a Trieste gli autori e le opere della
cinematografia d’oltreoceano meno conosciuta. Venezuela, Messico, Cile, e
Argentina sono infatti solo alcuni dei paesi presenti al Festival Giuliano
che testimoniano attraverso le proprie pellicole come anche l’America del
Sud, se pur con minor visibilità dei vicini Stati Uniti, porti avanti con
vitalità e decisione la propria scena cinematografica.
Mentre nelle sale di tutta Italia usciva l’ultimo film dell’ormai
internazionale talento argentino Inarritu (non a caso interpretato da
star come Brad Pitt e Kate Blanchette) al Teatro Miela di Trieste venivano
premiati alcuni suoi connazionali meno noti ma non meno interessanti.
Sono Pablo Bardauil e Franco Verdoia, autori di
Chile 672, film corale che
parla della vita e della solitudine a Buenos Aires. A loro è andato il
premio per la Miglior Sceneggiatura; mentre è Mercedes Farriols,
altra regista argentina, ad aver vinto con il suo
Olga, Victoria Olga il premio
per la
Miglior Colonna sonora.
I premi più importanti invece sono stati assegnati rispettivamente al
messicano Ignacio Ortiz, per
Mezcal
come Miglior Film e Miglior Regia, e al regista venezuelano Roman
Chalbaud per El Caracazo.
Chalbaud, già presente a Trieste nelle scorse edizioni del festival, era già
stato premiato con questo film all’Avana, in occasione della settima
edizione del Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latino-americano.
Lo speciale riconoscimento Premio Salvador Allende è stato assegnato
alla Scuola del Gabo ovvero Scuola dei Tre Mondi – Escuela
Internacional de Cine y Television; una fucina artistica presente a Cuba da
vent’anni che ha lo scopo di promuovere la contemporanea produzione
cinematografica latino-americana e che già nel 1993 vinse il Premio Roberto
Rossellini, il quale gli fu consegnato in occasione della 46esima edizione
del Festival di Cannes.
La giuria del festival, composta da Jorge Fons, Claudia Bedogni,
Mario Gazzelle ed Enzo Kermol, hanno inoltre assegnato ex
equo il Premio per la Miglior Interpretazione a Benjamin
Vicuña e Gastòn Pauls, protagonisti di
Fuga, film di Pablo
Larraìn. Mentre a Marina Person è andata una
Menzione speciale per il documentario sul padre, Luiz Sergio Person,
regista brasiliano dal quale la Person ha mutuato l’interesse per il cinema.
Da segnalare nel complesso del Festival la presenza di ben 5 registe in
concorso, tra cui la sopraccitata Person. Così come è da far presente a onor
di cronaca la debole, se pur motivata, organizzazione del Festival che più e
più volte ha lasciato il pubblico senza sottotitoli o traduzione simultanea,
o addirittura senza il finale del film in proiezione a causa di capricciosi
dvd non precedentemente visionati.
Mezcal
Messico 2005, 90’
di Ignacio Ortiz Cruz
Dicono che il cinema latino-americano sia il cinema della crudezza e della
malinconia, ma se qualcuno non ne fosse ancora persuaso può sempre dedicarsi
alla visione di Mezcal, il
film di Ignacio Ortiz, ambientato in un paesino aspro e remoto chiamato
Pariàn. Luogo mitico e allegorico Pariàn, che è in realtà Oaxaca, il paesino
natale del regista, è il villaggio in cui gravitano le storie dei
protagonisti, il luogo dove i personaggi s’incrociano, s’incontrano, o
magari non s’incontrano mai…
In realtà poi più che nel villaggio di Pariàn è nel bar di Pariàn che
avvengono i fatti, un bar spoglio e senza tempo dove l’unica bevanda ad
essere servita sembra essere il mezcalito.
Gli abitanti di questo povero villaggio portano ciascuno con sé la propria
storia, la propria sofferenza, decidendo di tanto in tanto di alleviare la
pena della vita con una tappa al locale dove viene servito il liquore. La
speranza appare solo come un fantasma, presente come sempre negli occhi dei
bambini e, in questo caso, negli occhi delle due bambine presenti in paese,
una messicana e una russa, venuta fino a lì col padre.
Convincente il clima nefasto e onirico che aleggia sui personaggi per tutto
il tempo, donando al film un’aura poetica, che va ad intrecciarsi con
struggenti note di pianoforte. Sono proprio queste ultime a sottolineare il
registro drammatico del film il quale raggiunge il proprio climax
nell’epilogo della storia, quando il crollo dell’ultima possibilità di
essere felici lascia per un attimo lo spettatore senza fiato.
Voto: 21/30
Tango, un giro
extraño
Argentina 2005, 87’
Di Mercedes Garcia Guevara
Siamo a Buenos Aires e il tema affrontato è quello nazional popolare del
tango. Ma non solo il tango tradizionale, bensì anche quello contemporaneo,
il tango cantato, e quello ballato, il tango suonato e quello storico, visto
in televisione o nelle milongas.
I protagonisti di questo lungometraggio scritto prodotto e diretto nel 2003
da Mercedes Garcia Guevara, sono infatti gli artisti del tango, ovvero
coloro che col tango ci hanno a che fare per lavoro. Sono i compositori Acho
Estol e Fernando Otero, la cantante Dolores Solà col suo gruppo, i La
Chiana, e il giovane ballerino Juan Fossati. Ripresi nelle loro performance
e nella loro vita quotidiana questi artisti raccontano il tango dal loro
punto di vista; nei suoi aspetti tecnici e nei processi creativi come nei
suoi significati più emotivi e personali. Insomma il tango nella sua
totalità, nella sua essenza, nel suo status di “sentire nazionale”. Non a
caso la pellicola lascia molto spazio alle performance e poco alle parole.
Come a significare che anche gli artisti, con le loro parole e le loro
discipline, sono solo i mezzi e le forme di un’unica sostanza.
L’ambientazione di un documentario del genere non poteva che essere Buenos
Aires, culla del tango delle origini e centro vitale del tango attuale; e a
proposito dl tango delle origini, fascinose come sempre le immagini di
repertorio in bianco e nero in cui compare l’eroe nazionale Carlos Gardel:
impettito e magnetico, il cantante intona le note imbracciando la sua
chitarra, e mescolando l’appeal di un Elvis a quello di Humphrey Bogart.
Voto: 20/30
Apocalipsur
Colombia 2005, 101’
di Javier Mejìa Osorio
Quattro amici nelle strade di Medellin. Quattro amici che un tempo erano
cinque.Questa è la storia di
Apocalipsur, il film con il quale Javier Mejia Osorio era in concorso
quest’anno al Festival.
Caliche, Malala, Pipe e Comadreja sono dei ragazzi disillusi, che vivono in
una città pericolosa, stando sempre in guardia e trovando rifugio negli
eccessi del divertimento. Girano per la città a bordo di una camioncino che
hanno battezzato Palla di neve, e non hanno mete precise se non quella di
rivedere un giorno il loro quinto amico, Flaco, il quale è dovuto fuggire in
Inghilterra per via delle minacce rivolte alla madre.
Il film è incentrato appunto sul vagabondare dei quattro amici in attesa del
momento in cui andranno all’aeroporto a riabbracciare Flaco. A renderli
nervosi però non è solo il tanto tempo trascorso senza di lui ma anche il
fatto che la sua fidanzata Malala è nel frattempo divenuta la fidanzata di
Caliche.
Costruita su un intreccio di flashback e dialoghi la pellicola non si rivela
molto originale e non coinvolge fino in fondo lo spettatore. Il risultato
finale è un’impressione di superficialità e di racconto prolisso.
Voto: 19/30
Trieste, 30:10:2006 |