21.MO fESTIVAL del cinema latino

 

21/29:10:2006

TRIESTE

di Taryn NURCHIS

 

Giunto alla sua ventunesima edizione, il Festival del cinema latino-americano ha portato anche quest’anno a Trieste gli autori e le opere della cinematografia d’oltreoceano meno conosciuta. Venezuela, Messico, Cile, e Argentina sono infatti solo alcuni dei paesi presenti al Festival Giuliano che testimoniano attraverso le proprie pellicole come anche l’America del Sud, se pur con minor visibilità dei vicini Stati Uniti, porti avanti con vitalità e decisione la propria scena cinematografica.
Mentre nelle sale di tutta Italia usciva l’ultimo film dell’ormai internazionale talento argentino Inarritu (non a caso interpretato da star come Brad Pitt e Kate Blanchette) al Teatro Miela di Trieste venivano premiati alcuni suoi connazionali meno noti ma non meno interessanti. Sono Pablo Bardauil e Franco Verdoia, autori di Chile 672, film corale che parla della vita e della solitudine a Buenos Aires. A loro è andato il premio per la Miglior Sceneggiatura; mentre è Mercedes Farriols, altra regista argentina, ad aver vinto con il suo Olga, Victoria Olga il premio per la Miglior Colonna sonora.


I premi più importanti invece sono stati assegnati rispettivamente al messicano Ignacio Ortiz, per Mezcal come Miglior Film e Miglior Regia, e al regista venezuelano Roman Chalbaud per El Caracazo. Chalbaud, già presente a Trieste nelle scorse edizioni del festival, era già stato premiato con questo film all’Avana, in occasione della settima edizione del Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latino-americano.
Lo speciale riconoscimento Premio Salvador Allende è stato assegnato alla Scuola del Gabo ovvero Scuola dei Tre Mondi – Escuela Internacional de Cine y Television; una fucina artistica presente a Cuba da vent’anni che ha lo scopo di promuovere la contemporanea produzione cinematografica latino-americana e che già nel 1993 vinse il Premio Roberto Rossellini, il quale gli fu consegnato in occasione della 46esima edizione del Festival di Cannes.
La giuria del festival, composta da Jorge Fons, Claudia Bedogni, Mario Gazzelle ed Enzo Kermol, hanno inoltre assegnato ex equo il Premio per la Miglior Interpretazione a Benjamin Vicuña e Gastòn Pauls, protagonisti di Fuga, film di Pablo Larraìn. Mentre a Marina Person è andata una Menzione speciale per il documentario sul padre, Luiz Sergio Person, regista brasiliano dal quale la Person ha mutuato l’interesse per il cinema.
Da segnalare nel complesso del Festival la presenza di ben 5 registe in concorso, tra cui la sopraccitata Person. Così come è da far presente a onor di cronaca la debole, se pur motivata, organizzazione del Festival che più e più volte ha lasciato il pubblico senza sottotitoli o traduzione simultanea, o addirittura senza il finale del film in proiezione a causa di capricciosi dvd non precedentemente visionati.


Mezcal

Messico 2005, 90’
di Ignacio Ortiz Cruz

Dicono che il cinema latino-americano sia il cinema della crudezza e della malinconia, ma se qualcuno non ne fosse ancora persuaso può sempre dedicarsi alla visione di Mezcal, il film di Ignacio Ortiz, ambientato in un paesino aspro e remoto chiamato Pariàn. Luogo mitico e allegorico Pariàn, che è in realtà Oaxaca, il paesino natale del regista, è il villaggio in cui gravitano le storie dei protagonisti, il luogo dove i personaggi s’incrociano, s’incontrano, o magari non s’incontrano mai…
In realtà poi più che nel villaggio di Pariàn è nel bar di Pariàn che avvengono i fatti, un bar spoglio e senza tempo dove l’unica bevanda ad essere servita sembra essere il mezcalito.
Gli abitanti di questo povero villaggio portano ciascuno con sé la propria storia, la propria sofferenza, decidendo di tanto in tanto di alleviare la pena della vita con una tappa al locale dove viene servito il liquore. La speranza appare solo come un fantasma, presente come sempre negli occhi dei bambini e, in questo caso, negli occhi delle due bambine presenti in paese, una messicana e una russa, venuta fino a lì col padre.
Convincente il clima nefasto e onirico che aleggia sui personaggi per tutto il tempo, donando al film un’aura poetica, che va ad intrecciarsi con struggenti note di pianoforte. Sono proprio queste ultime a sottolineare il registro drammatico del film il quale raggiunge il proprio climax nell’epilogo della storia, quando il crollo dell’ultima possibilità di essere felici lascia per un attimo lo spettatore senza fiato.
Voto: 21/30
 


Tango, un giro extraño

Argentina 2005, 87’
Di Mercedes Garcia Guevara

Siamo a Buenos Aires e il tema affrontato è quello nazional popolare del tango. Ma non solo il tango tradizionale, bensì anche quello contemporaneo, il tango cantato, e quello ballato, il tango suonato e quello storico, visto in televisione o nelle milongas.
I protagonisti di questo lungometraggio scritto prodotto e diretto nel 2003 da Mercedes Garcia Guevara, sono infatti gli artisti del tango, ovvero coloro che col tango ci hanno a che fare per lavoro. Sono i compositori Acho Estol e Fernando Otero, la cantante Dolores Solà col suo gruppo, i La Chiana, e il giovane ballerino Juan Fossati. Ripresi nelle loro performance e nella loro vita quotidiana questi artisti raccontano il tango dal loro punto di vista; nei suoi aspetti tecnici e nei processi creativi come nei suoi significati più emotivi e personali. Insomma il tango nella sua totalità, nella sua essenza, nel suo status di “sentire nazionale”. Non a caso la pellicola lascia molto spazio alle performance e poco alle parole. Come a significare che anche gli artisti, con le loro parole e le loro discipline, sono solo i mezzi e le forme di un’unica sostanza. L’ambientazione di un documentario del genere non poteva che essere Buenos Aires, culla del tango delle origini e centro vitale del tango attuale; e a proposito dl tango delle origini, fascinose come sempre le immagini di repertorio in bianco e nero in cui compare l’eroe nazionale Carlos Gardel: impettito e magnetico, il cantante intona le note imbracciando la sua chitarra, e mescolando l’appeal di un Elvis a quello di Humphrey Bogart.
Voto: 20/30
 


Apocalipsur

 Colombia 2005, 101’
di Javier Mejìa Osorio

Quattro amici nelle strade di Medellin. Quattro amici che un tempo erano cinque.Questa è la storia di Apocalipsur, il film con il quale Javier Mejia Osorio era in concorso quest’anno al Festival.
Caliche, Malala, Pipe e Comadreja sono dei ragazzi disillusi, che vivono in una città pericolosa, stando sempre in guardia e trovando rifugio negli eccessi del divertimento. Girano per la città a bordo di una camioncino che hanno battezzato Palla di neve, e non hanno mete precise se non quella di rivedere un giorno il loro quinto amico, Flaco, il quale è dovuto fuggire in Inghilterra per via delle minacce rivolte alla madre.
Il film è incentrato appunto sul vagabondare dei quattro amici in attesa del momento in cui andranno all’aeroporto a riabbracciare Flaco. A renderli nervosi però non è solo il tanto tempo trascorso senza di lui ma anche il fatto che la sua fidanzata Malala è nel frattempo divenuta la fidanzata di Caliche.
Costruita su un intreccio di flashback e dialoghi la pellicola non si rivela molto originale e non coinvolge fino in fondo lo spettatore. Il risultato finale è un’impressione di superficialità e di racconto prolisso.
Voto: 19/30
 

 

Trieste, 30:10:2006