festival di cannes

65.ma edizione

Cannes, 16 / 27 maggio 2012

 

nannipolis:

note sui premi di un pessimo sessantenne

di Paolo N. ROSSINI

"Uno: non applaudire, né prima, né dopo le proiezioni, perché sarete osservati e il minimo gesto sarà intepretato. Due: vedere tutti i film, ovvio, dall'inizio alla fine. Tre: fare spesso delle riunioni. Quattro: non andare alle feste dei film in concorso".

 

Queste, testuali, le indicazioni che Nanni Moretti, o il sosia del regista che fu, ha consegnato ai giurati del suo nano-Komintern prima dell’inizio del festival di Cannes.Ora, passi l’Ego smisurato di un Quentin Tarantino, che alla Mostra del Cinema del 2010 riuscì a dirottare nientemeno che su Alex de la Iglesia il Leone d’Argento, ma non quello dell’ex-pallavolista di Brunico.

L’uno almeno possiede la forza muscolare della passione vera - filìa, agapè, eros, fate voi- verso il cinema degli altri, absolutum, quindi verso ciò che è esterno da sé e che non necessariamente lo ri-guarda, non risponde a tale sguardo adorante e totalizzante e non corrisponde, in definitiva, quell’amore (Godard,ad esempio, mica Sergio Martino).

L’altro, che a naso diremmo di 30 anni più vecchio rispetto all’ingloriuos basterd (la differenza d’età è invece di soli 10 …pas possible!) spegne con la sua presenza o le sue scelte tutto ciò e tutti coloro che brillano, come nel caso dello splendido novantenne Resnais, o addirittura bruciano di quella estrovertita e non autoriflessivo-macerante passione.

Semplicemente: per la vita e per il cinema.

Moretti, invece, ormai è solo l’epitome della deriva senile dei sessantottini che, giunti alla terza età, attraversano goffamente l’inferno personale del coming of age. Molto meglio di lui sono invecchiati i Sordi e i Monicelli un tempo vittime del regista di SOGNI D’ORO.

 

Nannimoretti, oltre a essere un’espressione gergale, definisce anche un regista finito nel 1989 e ora ridotto ad imbalsamatore di se stesso, a mummificatore di ogni forma di cinema vitale, a tassidermista della contaminazione, a impagliatore di attori.

è riuscito a spegnere il vitalissimo Festival dei Giovani di Torino con retrospettive elementari arrivate fuori tempo massimo (addirittura Wenders), selezioni imbarazzanti e conduzioni istituzionalissime, là dove Steve della Casa, Rondolino e Barbera - fortunatamente riaccasatosi a Venezia - avevano costruito una meravigliosa e fluida macchina di cinema aperta a tutti.

Come presidente di giuria, prima del 2012 si era fatto notare per il più insignificante Leone di sempre (MONSOON WEDDING, Mira Nair,2001), del quale ora tenta di discolparsi così: “Mi sono venuti in mente dei giurati che m’imploravano di andare alla festa di un film indiano molto musicale e danzereccio".

Visto l’esito finale di quella Mostra, evidentemente Moretti deve aver partecipato ai party incriminati.

 

Carax? Cronenberg? Pas de tout, perché antitetici all’etica e allo sguardo del curato in lambretta, mentre il redento Haneke de L’AMOUR, abbandonate autoflagellazioni e arance meccaniche - ricordiamo anche gli strali che l’autore di BIANCA lanciò contro FUNNY GAMES - ora può valere la Palma.

Ciò che Moretti chiede è un percorso di penitenza e redenzione, non opere d’arte, che non gli sono familiari.

Le responsabilità di tale strazio vanno peraltro equamente divise tra il suddetto e chi continua a chiamarlo, eleggerlo, sceglierlo, ora che è solo un’ingombrante figura istituzionale.

Come la poverina Liv Ullmann, che ebbe, una decina d’anni fa, il fenomenale cattivo gusto, o la follia, di preferire LA STANZA DEL FIGLIO a MULHOLLAND DRIVE, THE MAN WHO WASN’T THERE, ELOGE DE L’AMOUR, MILLENNIUM MAMBO, VOU PARA CASA, IL MESTIERE DELLE ARMI, DESERT MOON, AKAI HASHI NOSHITANO NURUI MIZU, VA SAVOIR, TELETS, THE PLEDGE, NI NEI PIEN CHI TIEN e, guarda un po’, LA PIANISTE

 

Cannes, Nannipolis per 10 giorni, lo ha probabilmente già bandito per sempre, dopo le generiche Palme del 2012.

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