INDIANA JONES E il regno del TESCHIO DI Cristallo

di Steven Spielberg

fuori concorso

 

 

30/30

 

Poteva un regista ossessionato dalla paternità (e soprattutto dalla “ebraica” assenza di essa) come Spielberg lasciare Indiana Jones allo statuto di figlio (di 007, pardon, Sean Connery) come nell’episodio conclusivo dell’ex trilogia? Ovviamente no: Indy in questo quarto, straordinario episodio diventa padre e si sposa. L’avventura è finita, e il film d’avventura non risorge più (come negli anni 80) per farsi paradigma del nuovo mondo mediatico-seriale col loro questo-e-poi-questo-e-poi-questo, con la loro sequenza prevedibile e mozzafiato di peripezie che si affastellavano orizzontalmente. Lucas e Spielberg possono permettersi il lusso di lasciarsi la serialità (la base stessa del loro successo) alle spalle, lasciandola alla nuova grande televisione ”di qualità” americana che prospera sulla catastrofe dello spazio ordinario-domestico. E infatti, nella scena più esaltante dell’anno, all’inizio del solito prologo in medias res, Indiana Jones si palesa (il) sopravvissuto alla catastrofe della normalità “middle-class”, rifugiandosi in un frigorifero per scampare a una bomba atomica fatta scoppiare in una tipicissima suburbia americana anni '50 di manichini e cartapesta messa in piedi nel bel mezzo del deserto per un test atomico. Conscio una volta di più che l’avventuriero è innanzitutto il sopravvissuto (è sempre quello che, per caso o meno, la spunta davanti a pericoli sempre nuovi e sempre maggiori), ovvero la forma stessa dell’umano nel mondo contemporaneo, Indy si precipita verso l’ultima delle avventure: la meta-archeologia. Come nell’ultimo sublime Cristoforo Colombo di de Oliveira, il ricercatore è esso stesso reperto, l’archeologia è autoarcheologia esperita dalle e sulle rughe di Harrison Ford tanto quanto l’oggetto della ricerca è esso stesso un ricercatore. Infatti, scoprendo che la civiltà scomparsa a cui anelava è una civiltà di alieni archeologi e collezionisti come lui, Indiana Jones scopre il movimento da fermo che è la ripetizione: la girandola infinitamente già vista di avventure è presentata da Lucaspielberg in modo più spettrale che mai (quella fotografia, quei decor astratti più ancora che nei fifties di american graffiti) e ha una guida imprescindibile nel vecchio professore che, appunto, ha già fatto il medesimo cammino e, dall’abisso della follia, riesce a rendersi utile solo con il mantra magico della parola “ritorno”, che scrive sul muro in tutte le lingue e che è la tenue ma decisiva chiave di accesso alla sua mente altrimenti irrecuperabile.
“Ritorno”: ritornando sui loro passi Lucas e Spielberg, espropriati dalla tv del loro tesoro seriale (come sempre accade a Indiana Jones quando esce da una caverna vittorioso) risolvono questa “alienazione costitutiva” della loro impresa non solo scoprendosi irrimediabilmente altri da sé nel movimento abissale della autoarcheologia (come pure la civiltà archeologa che Indy scopre è aliena), ma approdano all’ultima spiaggia possibile, quella dell’esaltazione della ripetizione di per sé, la pura furia anarchica di 1941 qui magnificata nel potlatch-esplosione finale, orgiastica distruzione del set (del sito archeologico) tramite (ancora una volta) gli effetti speciali. Indiana Jones è lì in un angolo e contempla la distruzione totale che imperversa sui resti dell’antica civiltà, incurante (a differenza degli sprovveduti colleghi) di raccattare e capitalizzare le rovine. Perché quello che conta è il ritorno in se per se, non tanto fine a se stesso quanto “mezzo senza fine”, tanto più prezioso dell’onnipotenza comunicativo-mediatica bramata dalla nemica sovietica ossessionata dal sogno della manipolazione telecinetica delle menti. Solo la ripetizione “in quanto tale”, ci dicono Lucas e Spielberg, fa dell’alienazione che sempre aspetta Indy al varco un trionfo. Solo la cavalcata scatenata di spettri che è questo ultimo capitolo della serie restituisce tutto il suo senso all’unica forma a cui l’umano può ancora attaccarsi: quella della sopravvivenza..

di Marco GROSOLI