Nella Corea del Sud il servizio militare dura 36 mesi. Un'enormità, insomma:
un periodo di tempo che non può che segnare a fondo l'individuo, in un modo
o nell'altro. Seung-Young, neolaureato, deve arruolarsi. Incontra il
coetaneo Tae-Jung, che non ha studiato, è ormai a fine leva ed è dunque
piuttosto ben piazzato nelle spinosissime gerarchie interpersonali tra i
commilitoni. Verrà da lui preso sotto la sua ala, ma Seung-Young, una volta
diventato "nonno" a propria volta, non riuscirà a fare altrettanto con il
più debole Ji-Hoon. Le conseguenze saranno tragiche.
Il tragico però viene giocato da The
Unforgiven solo come ultima carta. Il film si tiene a distanza dai
personaggi; poche inquadrature ravvicinate, pochi tagli di montaggio,
nessuna concessione all'empatia "di stomaco" con la vicenda, andamento
narrativo di pacata osservazione delle dinamiche di camerata. Il primo
limite del film è questo: tende ad adagiarsi sull'illustrazione del
savoir faire, quasi tracciando una sorta di "istruzioni per l'uso" di
come sopravvivere a quella data situazione.
Proprio qui, però, si innesta l'inatteso pregio del film (che invero tarda
un pò a farsi realtà): la creazione di attese abilmente spiazzate. Le
istruzioni non valgono, le ricette non funzionano, e previsioni che davamo
per certe vengono clamorosamente smentite.
è soprattutto la costruzione
temporale a garantire questo effetto. Nel bel mezzo di questa quieta
scampagnata in caserma che è il film, già dopo poco, piombano inattesi
flash-forward che ci mostrano il futuro, in cui Tae-Jung, tanto baldanzoso
sotto le armi, dopo il congedo è uno spiantato, mentre il coetaneo sembra
essere diventato un militare tutto di un pezzo. Ma poco a poco questa
situazione (ribaltamento di quella che sta contemporaneamente sviluppandosi
sotto i nostri occhi) viene ulteriormente ribaltata: è Seung-Young ad essere
gravemente instabile, ad avere i suoi bravi scheletri nell'armadio che non
lo fanno dormire, mentre l'altro bene o male se la cava. Insomma: il
carattere di rigida illustrazione che pareva annichilire
The Unforgiven, in questo
senso viene salutarmente ridiscusso, ricollocato, e rimpiazzato da un più
ambiguo meccanismo espressivo.
Peccato che il film perda non poco in ciò che avevamo accennato all'inizio:
il tragico. Come per scappare dalla trappola strutturale che la
sceneggiatura si è (fortunatamente) creata e autoimposta, come per uscire da
quel circolo vizioso di attese pazientemente costruite e poi frustrate, Yoon
ricorre, con il suicidio dei protagonisti, a un pugno dello stomaco che
proprio non si accorda alla freddezza espositiva fin lì dimostrata. Una
soluzione troppo facile, una scappatoia spuria rispetto a tutto il resto e
che proprio non trova un senso che ne giustifichi la presenza.
Voto: 25/30
19:05:2005 |