THE UNFORGIVEN

di Jong-bin Yoon
Corea del Sud, 2005,122'

un Certain Regard

di Marco GROSOLI

 
Nella Corea del Sud il servizio militare dura 36 mesi. Un'enormità, insomma: un periodo di tempo che non può che segnare a fondo l'individuo, in un modo o nell'altro. Seung-Young, neolaureato, deve arruolarsi. Incontra il coetaneo Tae-Jung, che non ha studiato, è ormai a fine leva ed è dunque piuttosto ben piazzato nelle spinosissime gerarchie interpersonali tra i commilitoni. Verrà da lui preso sotto la sua ala, ma Seung-Young, una volta diventato "nonno" a propria volta, non riuscirà a fare altrettanto con il più debole Ji-Hoon. Le conseguenze saranno tragiche.
Il tragico però viene giocato da The Unforgiven solo come ultima carta. Il film si tiene a distanza dai personaggi; poche inquadrature ravvicinate, pochi tagli di montaggio, nessuna concessione all'empatia "di stomaco" con la vicenda, andamento narrativo di pacata osservazione delle dinamiche di camerata. Il primo limite del film è questo: tende ad adagiarsi sull'illustrazione del savoir faire, quasi tracciando una sorta di "istruzioni per l'uso" di come sopravvivere a quella data situazione.
Proprio qui, però, si innesta l'inatteso pregio del film (che invero tarda un pò a farsi realtà): la creazione di attese abilmente spiazzate. Le istruzioni non valgono, le ricette non funzionano, e previsioni che davamo per certe vengono clamorosamente smentite. è soprattutto la costruzione temporale a garantire questo effetto. Nel bel mezzo di questa quieta scampagnata in caserma che è il film, già dopo poco, piombano inattesi flash-forward che ci mostrano il futuro, in cui Tae-Jung, tanto baldanzoso sotto le armi, dopo il congedo è uno spiantato, mentre il coetaneo sembra essere diventato un militare tutto di un pezzo. Ma poco a poco questa situazione (ribaltamento di quella che sta contemporaneamente sviluppandosi sotto i nostri occhi) viene ulteriormente ribaltata: è Seung-Young ad essere gravemente instabile, ad avere i suoi bravi scheletri nell'armadio che non lo fanno dormire, mentre l'altro bene o male se la cava. Insomma: il carattere di rigida illustrazione che pareva annichilire The Unforgiven, in questo senso viene salutarmente ridiscusso, ricollocato, e rimpiazzato da un più ambiguo meccanismo espressivo.
Peccato che il film perda non poco in ciò che avevamo accennato all'inizio: il tragico. Come per scappare dalla trappola strutturale che la sceneggiatura si è (fortunatamente) creata e autoimposta, come per uscire da quel circolo vizioso di attese pazientemente costruite e poi frustrate, Yoon ricorre, con il suicidio dei protagonisti, a un pugno dello stomaco che proprio non si accorda alla freddezza espositiva fin lì dimostrata. Una soluzione troppo facile, una scappatoia spuria rispetto a tutto il resto e che proprio non trova un senso che ne giustifichi la presenza.


Voto: 25/30

19:05:2005