TAXIDERMIA

di György Pàlfi
Ungheria,2006,90'

un Certain Regard

di Marco GROSOLI

 
Tre uomini in tre epoche diverse della storia ungheresa. Bellica, postbellica, postmoderna. Uno (in un'epoca ancora nazionalista, "classista" e tardoaustroungarica) è un ufficiale, l'altro (nell'Ungheria comunista), obeso, fa gare agonistiche internazionali a chi riesce a mangiare di più, l'altro un tassidermista magrissimo, esile esile come la scialba vita quotidiana e postumana di oggi impietosamente ritratta tra impiego, palestra e supermercato.
Fino a che arriva il terzo episodio (il migliore), il film è una specie di "favoloso mondo di Amelie" dove la macchina da presa incalza il grottesco che viene messo in scena (di per sè piuttosto ributtante, tra eiaculazioni allo zolfo, budella di porco usate per masturbarsi, vomito e sudore a go go) con fraseggi pirotecnici e artificiosi fino al fastidio. Poi, man mano che l'allegoria storico-politica si fa chiara e lo stile si raggela, tutta questa untuosa (prima ancora che presuntuosa) bulimia stilistica viene sagacemente ridiscussa. Il tassidermista che muore nel tentativo di imbalsamare se stesso, è una metafora dello sguardo nell'era del postmoderno di sorprendente freschezza: quello stesso sguardo fino a quel momento compiaciutissimo di "ingozzarsi" di beate mangiate, di ingordigia dei sensi (in un'epoca totalitaria ma spensierata perché galleggiava nell'ottusa sicurezza di non lasciare alternative disponibili al proprio sguardo) percependo l'inanità del proprio voyeurismo si scopre meccanico, vuoto, freddissimo fino a spegnersi, ad autoannullarsi. Non gli rimane che rivoltarsi su se stesso: è quell'autoreferenzialità che è da tradizione la parola chiave del postmoderno. Il trionfante occhio beato tra la carne e le gozzoviglie scopre che il piacere che ne ricavava veniva unicamente dalla distanza voyeuristica rispetto alla carne viva, e ne muore. è il postmoderno, e la sua autodissoluzione nel momento stesso della sua emersione. è un figlio magrissimo che si vergogna di un padre ottuso e obeso, lo uccide, lo imbalsama per esorcizzare la sua golosa vitalità, ma percepisce anche che in questo modo non c'è più nessuna vita possibile, neanche per lui perché si vede costretto a punire anche la fame insaziabile del proprio stesso occhio imbalsamatore. Fine della storia, ma non della Storia, perché il film è incorniciato da un prologo e un epilogo ambientato nel futuro, che riconosce non solo il passato ma anche il nostro presente di vuoti (postmoderni) imbalsamatori della Storia nei detriti in rovina di quest'ultima. Che non si ferma, anche se non ce ne rendiamo conto, senza bisogno di imbalsamare la Storia o deriderla/celebrarla con una macchina da presa scatenata.

Voto: 26/30

20:05:2005