SERAMBI

di Garin Nugroho
Indonesia,2006,75'

Un Certain Regard

di Marco GROSOLI

 
In realtà Garin Nugroho non è l'unico regista di questo documentario. I registi sono quattro, ma Nugroho viene portato avanti a mo' di bandiera, per dare una risonanza maggiore al progetto, perché in patria è un intellettuale non solo impegnato politicamente ma anche enormemente ascoltato, riverito e considerato.
Serambi segue la difficilissima vita post-Tsunami di alcuni bambini, di un giovane studente universitario e di un padre di famiglia. Tutti hanno in qualche modo perso qualcuno di importante nell'immane disastro. Sono loro stessi a parlare della propria vita e a metterla in scena. Seguendo un principio teorico che ha già diversi esempi di applicazione (il cambogiano Ritty Panh, per dirne uno), questo tentativo di "recitazione della propria vita" incarna già di per se una reazione al nulla. Un nulla che trova la sua rappresentazione agghiacciante e tragicamente immediata nella semplice, inerte presenza di rovine sparse ovunque nei luoghi in cui si ambienta la situazione.
Il documentario, insomma, è visto come un semplice strumento di aderenza alla terribilità del Nulla, e da qui diventa uno sfondo per la reazione vitale che ne consegue. Reazione che non solo ha le fattezze della "fiction", come nel segmento del padre di famiglia. è infatti presente un energico controcanto, sostenuto dal giovane studente che veste solo con magliette del Che, consistente nella necessità della rivendicazione politica, nella fattispecie nella rivendicazione del popolo degli Aceh variamente osteggiato dal governo ufficiale. L'accostamento dell'imperversare (anche visivo) della morte a questo inno di battaglia, l'identificazione tra distruttività della natura e necessità metafisica dello scontro come ragione stessa dell'esistere (poco dopo lo Tsunami il giovane manda un sms con scritto "la rivoluzione è vicina") pare, senza la minima programmaticità ma con una forza autonoma trascinante, schierarsi risolutamente contro qualsiasi tendenza a ridurre la tragedia a scontata compassione, a banalizzare l'evento in una piagnucolosa litania che nasconda e oscuri i conflitti ancora bruciantemente in corso. Fare sì, insomma, che lo Tsunami non venga recepito come occasione per uno stucchevole ottundimento delle coscienze in nome del male comune "morte" che assicuri il "mezzo gaudio" della depoliticizzazione. Che non siano insomma i morti a comandare e a occultare i conflitti di cui la vita consiste, come ammonisce anche Il regista di matrimoni di Bellocchio anch'esso presente a questo Festival.

Voto: 27/30

21:05:2005