IKLIMLER

di Nuri Bilge Ceylan
Turchia,2006,97'

IN CONCORSO

di Marco GROSOLI

 
La storia più vecchia del mondo: un uomo e una donna, lungo differenti stagioni e località, si separano, si illudono di ritrovarsi, si riallontanano, probabilmente per sempre. Una manna per uno come Ceylan, il cui precedente Uzak (il film della sua maturità dopo un paio di tentativi discutibili) usava un canovaccio esile esile per un imponente lavoro pittorico sull'immagine.
L'approccio in questo IklimlER (letteralmente "climi") è analogo. Un arpeggio emozionale che se ne frega delle psicologie (ridotte all'ovvio) ma si sente libero, raccontando, non di prendere pause descrittive per raccontare con immagini ricercate o fastose, ma letteralmente di sprofondare la narrazione dentro le immagini. Un cinema in cui le storie che vengono raccontate abitano e respirano lo spazio che si trovano ad occupare, trovandosi in preda degli stimoli visivi e sensoriali circostanti, che rallentano in una contemplatività malinconica lo svolgersi degli eventi.
Rispetto a Uzak, Ceylan gioca in modo più articolato con le distanze, che ancora una volta sono il cuore del film. Non solo, come già nella pellicola precedente, lo splendore delle immagini è il dolente controcanto della mancanza sofferta dai personaggi, ma la vicinanza è lì dove loro non se la aspettano. Il protagonista (Ceylan stesso) fa le prove tra se e se sulla spiaggia su cosa dire alla compagna che è andata a nuotare e che vuole abbandonare, poi si sposta e scopre lei stessa che stava lì dietro e l'ha sentito. Poco prima del loro ri-incontro, il riflesso su un vetro unisce nella lontananza lei al di qua e lui al di là della finestra che nemmeno si guardano, se non per un attimo. Ma questo si vede soprattutto nella straordinaria scena di sesso con l'amante di lui, che stravolge (in piano sequenza) l'intimità assoluta in legnosa goffaggine e meccanicità, quasi alle soglie di Kafka. Come pure nella toccante nottata trascorsa dai due protagonisti appena prima dell'addio definitivo, lei che dorme e lui insonne, in un seguito di inquadrature in cui la tattilità estrema delle immagini, dovuta a un sapiente gioco di elementi in primissimo piano e quasi attaccati all'obiettivo della telecamera, si ribalta in una variazione ripetuta e tagliente di punti di vista e angolazioni di ripresa.
Difficile evitare di cadere nell'estetismo, con un simile approccio. Ma Ceylan ci riesce, grazie a un miracoloso equilibrio tra la tendenza a tenere inquadrature lunghe e statiche e l'andatura a stacchi di montaggio che cambiano le coordinate visive con una certa nettezza.
Eppoi, un esteta sterile della macchina da presa si sarebbe compiaciuto della successione di estate, autunno, inverno e primavera a punteggiare gli episodi della narrazione. In Iklimler c'è estate, autunno, inverno. Niente primavera, niente illusioni di rinascita, perché il circolo vizioso di vicinanza e lontananza sta sempre dietro l'angolo, nelle pieghe dello spazio, nella tessitura densa e grumosa delle inquadrature.

Voto: 28/30

21:05:2005