Argentino Vargas era il protagonista di
Los Muertos, secondo film di
Lisandro Alonso. Vargas viene invitato a Buenos Aires alla presentazione di
Los Muertos. Non ha mai messo
piede in un cinema. Lo vediamo gironzolare per le stanze vuote, i corridoi e
gli ascensori dell'edificio, dove peraltro si è perso anche il protagonista
di La libertad, primo film di
Alonso, altresì invitato alla proiezione. Poi si vede finalmente sullo
schermo.
Alonso ha un inaudito senso dello spazio, e sente soprattutto come lo
sguardo stesso faccia pienamente parte dello spazio. Così, lo spazio diventa
una specie di spugna che viene stiracchiato dagli sguardi che di volta in
volta fissano qualche centro aggregatore per poi rientrare nella vischiosità
del tessuto subito dopo – magari perchè risucchiati da un altro sguardo. Per
illustrare questo non c'è bisogno dei grovigli oculari di un De Palma
(oppure, che so, della fanfaronate di certo Amenabar). Basta prendersi tutto
il tempo che serve affinchè la macchina da presa faccia nel modo più fluido
e naturale possibile aderire (a partire da una iniziale situazione di
distanza destinata di volta in volta a ricrearsi a ogni illusione di
contatto) la relazione che la lega al personaggio a quell'altra relazione,
quella che vediamo sullo schermo, tra personaggio ambiente. Il cinema di
Alonso sta tutto in questo palleggio tra le due relazioni, un palleggio in
cui si scambiano continuamente di posto la lontananza e la vicinanza. In
modo identico a come i suoi personaggi (un falegname della Pampa in
La libertad, un uomo che vive
nella foresta in Los muertos)
pur essendo calati completamente nel loro habitat se ne discostano
percettibilmente allorché utilizzano per i propri fini lo spazio circostante
(per tagliare la legna o sgozzare una capra o altro)
Voto: 30/30
28:05:2005 |