Storia di un fucile:
Babel di Alejandro González
Iñarritu
Applausi in sala e consuete
critiche discordi dopo la digestione artistica per il nuovo film di
Alejandro González Iñarritu, una storia di destini incrociati, come nello
stile del regista messicano, ancora più complessa e, in qualche modo,
artificiosa.
Il cuore dell’operazione questa volta è un incidente che coinvolge una
coppia americana in vacanza in Marocco (un improbabile Brad Pitt e una poco
sfruttata Kate Blanchett) e si allarga a tela di ragno a tutte le persone
legate, in qualche maniera, alla coppia, con una sequenza di disgrazie
giudicata da alcuni (e a ben vedere non del tutto ingiustamente), degna di
un Final Destination.
La morte attende uno dei bambini che, per incoscienza, hanno provocato
l’incidente, e la loro famiglia; la nurse messicana dei due bambini della
sfortunata coppia partecipa al matrimonio del figlio, in Messico, ma la
giornata di gioia finisce nel peggiore dei modi e costa alla donna
l’espulsione dagli Stati Uniti.
Staccata e lontana, ma unita da un (esilissimo) filo, la storia di una
ragazza giapponese sordomuta e affamata d’amore.
Le trame incrociate delle molte storie di Babel, unite, dice Iñarritu
in conferenza stampa, dal tema comune di una (assai apparente)
incomunicabilità sono però schiacciate dal peso di una sceneggiatura
sbilanciata, che commuove poco e coinvolge solo a tratti.
Il talento del regista di Amores perros sembra incastrato all’interno
di meccaniche narrative e produttive sempre più hollywoodiane, dentro luoghi
comuni più adatti al grande pubblico di ‘gringos’ che al suo spirito
universalmente ‘peone’, scene di grande retorica familiare e una critica
alla globalizzazione fragile e poco icastica.
Un’occasione mancata.
Voto: 20/30
24:05:2005 |