Geremia de' Geremei è un laido e vecchio usuraio dell'Agro Pontino che vive
con la madre vecchia malata, amico di un fanatico del country con l'accento
inspiegabilmente veneto che vive in una roulotte. Conosce una ragazza
bellissima con cui instaurerà un rapporto tutto sui generis.
Quello di Sorrentino è innanzitutto un braccio di ferro con la categoria del
Tragico. Cosa che già era in atto in
Le conseguenze dell'amore, dove Sorrentino vinceva “in trasferta”,
ovvero all'interno del genere tragico per eccellenza che è il noir.
In L'amico di famiglia viene
smontato tutto quello che potrebbe elevare la figura e la vita di Geremia
dalla sua bassissima statura. Così, gli viene negata la morte eroica (pure
simulata), il destino Tragico della sconfitta di un mondo pre-capitalista
davanti alla macchina da guerra del Denaro (smascherata come un imbroglio
tra i tanti possibili), l'Alterità (che invece continua a essere la stella
polare dell'amico-nemico country) femminile, perfino il Denaro (che a lui
tutto sommato non interessa, a differenza del personaggio della rumena).
Soprattutto, gli viene negata la Bellezza. Perché, come dice la ragazza alla
fine, “La bellezza è brutta”, non si scappa, nemmeno con queste illusioni
tragiche, da una realtà intrinsecamente deforme fatta di mille e mille
bizzarre singolarità inconsistenti (è lo stile frastagliato, mobile e
disordinatamente vitale di Sorrentino, che inanella una trovata dopo
l'altra). La realtà sono sabbie mobili in cui si annaspa cercando “la bella
frase” per non affondare ma senza che la Bellezza con la maiuscola sia per
questo raggiungibile – il bello non scappa dalla deformità della realtà,
semmai la evidenzia, e basta. È la ricerca della bella frase che ammette di
fare Geremia e che in fondo è il pricipio cardine della ricerca visiva dello
stesso Sorrentino.
Ne viene fuori un paesaggio di sbalorditiva aderenza antropologica a quella
che si può chiamare “l'anomalia italiana”. Un mondo dove, come dice la
vecchia madre di Geremia, “Tutti rubbano e tutti sono infelici” perché si
sente a pelle la malattia mortale che è la vita, e ci si accontenta per
stare a galla di soddisfazioni brevi, piccole, che si sanno destinate a
svanire in fretta. Di “belle frasi” con cui colorare un'esistenza che non ci
si illude di cambiare.
Voto: 28/30
28:05:2005 |