Piccola introduzione ante-cinematografica

Bernard-Henry Levy, oltre che filosofo e compagno di Arielle Dombasle, attrice, è una specie d’inviato di Chirac in giro per i mondi squassati dalle guerre fittizie degli ultimi 10/15 anni. Indagando sulla morte del giornalista ebreo-americano Daniel Pearl, per mano di integralisti pakistani all’alba del 2002, scopre che non è Os(s)ama Bin Laden il vero capo di Al Quaeda, bensì i mullah del paese da tempo in guerra con la vicina India. Tredici anni fa,tra caduta del Muro e golpe eltsiniano, il padre di Osama e Saddam Hussein facevano tranquillamente affari con Bush padre, per cui la loro successiva demonizzazione è solo il frutto di un’operazione mediatica che caricava sulle spalle di due, diciamo così, “mostri imprenditoriali collaterali”, il peso di guerre di religione in atto altrove. Allora come ora.
Ma le guerre sante, come le contrapposizioni tra mega-blocchi politico-ideologici, di per sé non portano movimenti di denaro, non spostano, generano o rigenerano economie. Ecco perché gli americani non hanno mai avuto la seria intenzione di ammazzare i due sopracitati: la cosa non sposterebbe di una virgola i loro piani.
Che sono, dai tempi della prima guerra mondiale, quelli di fare affari con il “contributo bellico”: io aiuto il paese “x” a distruggere il paese “y” e poi ricostruisco o finanzio la ricostruzione di entrambi [ Germania hitleriana in primis ] con le mie imprese o i miei soldi, per renderli entrambi sudditi a tempo illimitato. IL PIANISTA di Polanski ci ha ricordato come i banchieri ebrei di New York, fecero i loro bravi calcoli di convenienza nell’entrare o meno in guerra – a difesa dei loro fratelli del ghetto, mica di estranei qualunque!!! - dal ’39 al ’41, mentre il disastro era ormai in atto, e poi decisero che a sbarcare dovessero essere [ SAVING PRIVATE RYAN, scena I ] paisà, neri, ispanoamericani.
L’ Italia è notoriamente colonia americana da ALMENO 58 anni e, anche culturalmente, subiamo gli effetti di patti firmati e controfirmati –e rifirmati nel ’97 dall’ineffabile allora ministro dello spettacolo [ entrambi con la minuscola ] – da ambo le parti, relativi alla presenza della “cultura” statunitense nel nostro vivere quotidiano. Una pervasività calcolata a chili, anzi, a tonnellate di musica e cinema spesso intollerabili o colpevoli di aver contaminato come un virus il nostro “fare poetico”.
Sistemata la pratica europea nei primi 50 anni del secolo, gli U.S.A. si sono poi dedicati a distruggere la cultura dei paesi sudamericani, che a loro volto erano il frutto fittizio prodotto dalla distruzione di culture indigene: decine di dittatori-fantoccio, coi loro eserciti, messi a mo’ di tappo di imprevisti ardori [ IDEOLOGIA! ] filo-comunisti, sviluppatisi da quelle parti. Cuba, come noto, si salvò per un pelo. Corea e Vietnam furono altrettanti tentativi di mettere una pezza dove la inarrestabile IDEOLOGIA comunista dilagava, e oltre ai soliti civili e militari di quei paesi, cadevano in nome di una qualche opposizione a tali conflitti, J F Kennedy, alcuni studenti dell’ Università dell’ Ohio e centinaia di migliaia di giovani “yankees” – vedasi ovviamente THE DEER HUNTER e APOCALYPSE NOW – mentre chi rinnegava il proprio paese è andato ad arricchire le schiere di “losers” di Venice Beach o si è fatto regista [ Oliver Stone, vedasi filmografia ].
Appena più tardi fu il tempo dei Rehza Pahlevi –“Scià di Persia” nel 1967 – e di un’attenzione che andava spostandosi in Medio Oriente, per ragioni petrolifere o per naturale attenzione nei confronti di Israele.
Fino ai giorni nostri: Iraq appoggiato in funzione anti-Kohmeinista, finanziato e poi, voilà, combattuto; Talebani inventati dal nulla grazie ai finanziamenti alle scuole coraniche integraliste, fine anni Ottanta, per poi avere una giustificazione a intervenire anche in Afghanistan [ sull’ 11 di settembre meglio tacere, altrimenti tagliano la lingua a noi e Michael Moore… ].
Bene: ma perché diciamo tutto questo in relazione ad un festival del cinema?

Ricapitoliamo: fino alla Guerra Fredda degli anni ’50 [ realmente ] e poi fino al 1989 [ fittiziamente ], il mondo, anche culturale, contemplava la contrapposizione tra IDEOLOGIA comunista e generico, annacquato, proteiforme LIBERISMO [ non necessariamente libertario ] occidental-statunitense.
Cinema, musica, letteratura – pensiamo agli anni dopo il 1917 in Europa, alle straordinarie avanguardie in ogni campo – riflettevano questa “contrapposizione” in maniera immediata, talvolta “tautologica”, ma sincera, e ciò che ne derivava era il fermento di una schiera di intellettuali tutti o quasi schierati dalla parte dell’ “IDEOLOGIA” di cui sopra.
Al di là dei giudizi morali e politici che pongono, negli anni a venire, Shoah e nazismo sullo stesso piano dello stalinismo [ ci asteniamo ], quello che conta è che per decenni c’era una sorta di obbligo etico-intellettuale a schierarsi, dalla parte di un pensiero utopico quanto si vuole, ma incredibilmente potente e “visionario” [ i Russi sono dei visionari: vedasi Sokurov, Tarkovski… ], rivoluzionario almeno quanto l’intuizione cristiana –quella di 2000 anni fa, intendiamoci – o dalla parte della RICCHEZZA E DEL DENARO, barattate per ultime conquiste della LIBERTA’ presunta.

Noi, purtroppo, non abbiamo assaporato per ragioni anagrafiche questa contrapposizione, ma abbiamo capito che CULTURALMENTE era foriera di qualcosa di oggi completamente dissolto: il “dibattito”, il “dialogo”, l’ invenzione, la creatività al potere, il continuo inarrestabile fermento teorizzante tesi e controtesi poste a matrice di singole opere, singoli movimenti d’arte, singole scelte “comportamentiste”, singoli “happening” o “performance”, film isolati, registi-meteora, oppure strutturantisi in grandiosi eventi-periodi di questa o di quell’altra forma d’arte [ e, per restare nell’ambito di partenza, dalla Nouvelle Vague, a Pasolini-Bertolucci-Bellocchio, a Rocha-Bressane era tutto un “ragionare” puro, intatto, disinteressato, cui facevano da contrappeso, anche e soprattutto fuori/oltre il “centro-cinema” , le straordinarie costruzioni teoriche, non importa se strutturaliste o post-strutturaliste, di Barthes, Foucault, Derrida ].

Oggi è tragico non solo aver capito che il mondo Global, quello in cui la Cina lavora per imitare gli Stati Uniti e superarli nel 2017, ma intanto i microchip e i Motorola glieli costruiscono loro, tra anatre e maiali e focolai di Sars, o in cui l’ Unione Sovietica è un orrido paesaggio di odii sempre nuovamente coltivati e dissotterrati dal 1989/91, esattamente come in tutta la ex-Jugoslavia, ed essere russo, oggi, è sinonimo di mafioso, pusher, protettore; dicevamo, oggi è tragico dover ammettere che si stava decisamente meglio prima del crollo del muro, perlomeno sotto molti e importantissimi punti di vista, e che per fortuna si è svegliata quella coscienza NO GLOBAL che tiene in vita il mondo e da questo modo di essere e pensare ci aspettiamo molto, culturalmente parlando; è tragico , come s’accennava all’inizio, veder passare in televisione immagini di guerre finte, inventate, perché dietro non c’è NESSUNA IDEOLOGIA se non QUELLA DEL DENARO, e che il “road map” statunitense promette di rendere oscenamente omologato l’intero Medio Oriente e che, forse, per giustificare e mettere in moto una simile ipermediatizzata follia c’era bisogno, diciamolo, del “sacrificio” delle Twin Towers [ Henry Levy investiga anche su questo, sulla indefinibile contiguità di mullah pakistani residenti a New York e servizi segreti statunitensi, sulla improbabile libertà concessa ad Atta di istruirsi in Europa e America, e poi di passare tranquillamente i controlli dell’ aeroporto di Boston ].
E’ tragico aver capito in che mostruoso presente viviamo; ma, ANCHE, che forse quella positiva contrapposizione di blocchi IDEOLOGICI, tale non è mai stata.
Forse si è trattato di una cantata per voce sola, quella comunista-di-sinistra, quella avanguardista e colta, quella formata su ideali ben strutturati o su forme di adesione anche fideistica ad un credo NON sbagliato di per sé, ma solo per alcune applicazioni pratiche abortite, come l’atomica per il nucleare, d’altro canto.
Forse, dall’altra parte, la parte del LIBERISMO coatto, la cultura fingeva di proporre alternative, fingeva di menare le mani e in realtà i frutti venivano sempre dal solito albero. Ma la contrapposizione in sé, per quanto illusoria, era benzina per pensare e combustibile per creare.
Forse “gli altri” tracciavano già le loro road map da Cuba ad Hanoi a Santiago del Cile e c’era chi credeva che lo facessero in nome di un malriposto, ingenuo, crudele anelito verso la libertà – la stessa di cui godevano i desaparecidos mentre venivano gettati dagli aerei della dittatura militare argentina tra il ’77 e l’ ’83? [ GARAGE OLIMPO, HIJOS, etc ] – quella « libertà » di andare a morire in Vietnam o di vivere, oggi, in un megastato dove le vere libertà sono ridotte al minimo e se vai a Los Angeles ti sembra una città da incubo, e non a South Central, ma a Beverly-Hills-Dachau.

Forse si è sempre trattato, fino al 1989/91, di uno scorrere in parallelo di opposte “visioni” del mondo: una egualitaria, teoricamente umanitaria, ed una “dispari”, competitiva, colonizzatrice nel nome del denaro.
Ma almeno il dibattito esisteva e, se vogliamo metterla in questo modo, il “cervello” di chi stava dall’altra parte era tenuto sveglio dall’idiota paura che il mondo cadesse tutto intiero sotto i colpi di un comunismo che non ne aveva i mezzi! Talmente sveglio che per “colpa” di alcuni ragazzi autonominatisi Brigate Rosse, e poi infiltrati dal ’77 dai soliti servizi segreti, lo Stato italiano s’inventò, con la più perversa delle creatività politico-militari, le stragi, appunto, di stato, “grazie” alle quali i politici di allora – i “Kossiga”, gli Andreotti, i Fanfani - fecero molte più vittime di quelle fatte dalle stesse BR!!!

Oggi tutto questo non esiste più: la maschera se la sono tolta tutti e la, ehm , “sinistra” ha smesso non di combattere, ma di ESISTERE, e conseguentemente è crollata la forza produttiva delle idee.
Se prima si era in DUE a ragionare o anche se si trattava di un assolo fatto d’arte e d’azione, dal crollo del cosiddetto comunismo è successo che gli uni, i “globalisti”, hanno perso lo stimolo a cercare e temere realmente le IDEOLOGIE a loro contrarie, stressati dal mondo sovietico e dai suoi significati [ ma, come si diceva all’inizio, sbagliano i loro conti: per 10, 100 Bin Laden o Saddam o emiri sauditi inzuppati nell’oro nero, tutti poveri esseri corrotti che non faranno la Storia, ci sono, nel bene o nel male, altre figure che credono ciecamente in un’ idea o, variante pericolosa, UNA FEDE, per la quale possono morire e in nome della quale, purtroppo, cadranno molte persone, americani in primis ];
gli altri, i NON GLOBALISTI, se appena contigui a un partito o vicini alla quarantina, si sono sentiti stranamente accettati, come dei bambini all’asilo, dopo essere stati derisi per decenni.
Vedere gongolare per il potere acquisito dopo l’ 89 gente come Rutelli, Fassino, D’alema, Salvi, Veltroni – quello ch’era iscritto al Centro Sperimentale, amava Kennedy e i Rolling Stones…- o Bertinotti e Cossutta, accolti nei penosi siparietti televisivi “mediasettici”, è uno spettacolo ributtante.
Siamo al secondo governo Berlusconi e nessuno protesta più per il fatto d’ avere come capo del governo un analfabeta inquisito!
Ebbene, in questo “piatto unico bollito” della cultura, dove il rosso sfuma nel nero, a sinistra s’ode una pernacchia e a destra un rutto, il CINEMA, l’arte magica non sa più cosa “rappresentare”: meglio, avrebbe materia infinita, ma andrebbe a colpire chi prima era sintonizzato con i Bertolucci e i Bellocchio, che per miracolosi capolavori quali L’ORA DI RELIGIONE si beccano un paio di applausi, un David della Scuola e basta, dovendo assistere ai periodici trionfi di ultimi baci e finestre di fronte…
Chi osa criticare un sistema che sopravvive grazie a quegli incassi sporadici? Le riviste? Quali riviste?
Tutti a dir bene di tutti, volemose bene perché qua, lavori tu, lavoro anch’io; parlo bene di te, sopravviviamo entrambi.
Ma non è questa la strada da battere se poi, a livello internazionale, come dimostra anche il Festival di Cannes, s’odono echi di guerre fittizie, e i film non arrivano per ridicoli embarghi culturali, e insomma la situazione non è poi così migliore di quella nostrana.
Occorrerebbe raccogliere tutte insieme le INTELLIGENZE SCHIERATE, NO-GLOBALISTE, portarle di nuovo a lavorare e dibattere in equipe, fare i film a 4,6,8,10 mani, identificare “il nemico” e batterlo, CREARE POLI ALTERNATIVI DI PRODUZIONE e DISTRIBUZIONE [ Muller/Fandango/Pagani……Bologna e Torino… ], iniziare o ri-iniziare la Rivoluzione.
Detto in tempi di Murdoch e Sky-network sembra una barzelletta……ma come è possibile che gente singolarmente diventata incapace – molti registi ex-comici ed ex-documentaristi italiani, che s’imbrattano le mani con occhiate al porno, ai fallimenti esistenziali [ non esistenzialisti, please ], a storie partigiane imbalsamate, a micromondi privati che interessano al massimo gli sceneggiatori ex-comunisti e imborghesiti che li hanno pensati, tra una partita a tennis e il ruttino del pargolo, diventato improvvisamente unico centro del proprio interesse…-non sentano lo stimolo a riunirsi e “combattere”?
Da noi se ne vedono pochi: a proposito, auguri di cuore a Gabriele Salvatores, perché trionfi ai Nastri d’ Argento di Taormina col suo IO NON HO PAURA.

Ma anche Cannes, a modo suo, boccheggia……..
E, embargo o non embargo, ci fornisce lo spunto per far capire come mai KINEMATRIX si rifiuti, in partenza, di parlare di certi film o registi.

Per tutto quello che si è detto, se non vediamo i registi ESPORSI, RISCHIARE, LOTTARE veramente o veramente UNIRSI fra loro, magari solo quando invitati all’interno di una giuria [ anche qui: auguri di cuore allo splendido Erri de Luca!!! ], non crediamo più alla loro buona fede o non c’interessano più i loro prodotti medio-borghesi sotto un profilo eminentemente estetico, e cioè lavorati, sapienti nell’emarginazione visiva dell’immagine sconvolgente o, dove presente, posizionata lì giusto per sconvolgere e creare “il caso”, piuttosto che creare un “organon”, un complesso insieme di testualità/invenzione visiva/sincerità contenutistica che richiede tempo, pazienza e cuore, e non i 6 mesetti per sfornare l’ennesimo filmetto di famiglia raccogli-premi-umanitari al prossimo passaggio sulla Croisette.
Ecco perché non possiamo permetterci di tollerare la presenza in concorso di alcuni zombi quali Raul Ruiz, Hector Babenco, Pupi Avati [ mani su Cinecittà, piedi in Vaticano e cervello in soffitta…e da tempo ], Denys Arcand, François Ozon, sopravvalutatissimo anche da noi, Clint Eastwood [ per l’amor del cielo, basta raccontarsi palle sullo “sguardo” di uno strabollito ottantenne che inciampa, ora, tra i generi e film inutili ], Bertrand Blier e Murali Nair.
E’ tutta gente, che, seguendo il discorso di partenza, non sai più a che mondo appartiene, cosa rappresenta, se mi fa un film sulla realtà del proprio paese o sul rito privato del matrimonio indiano – Moretti che premia Monsoon Wedding, che tristezza… - se agisce da indipendente o se è stata canalplusizzata a dovere o, peggio, c’ha dietro l’ombra in stile Shrek di uno dei Weinstein. In due parole: E’ TUTTO CINEMA CHE NON SERVE A NIENTE, DA BUTTARE, DA NON FARE, meglio ancora.
Chissà cosa si vedrà al marché…

Ecco che con una buona dose di provocazione, abbiamo comunque selezionato alcuni bravi registi ecumenicamente riconosciuti tali: “alternativi” ma premiatissimi, iraniani ma disimpegnatissimi, genialoidi ma abbastanza rincoglioniti, provocatori ma molto a tavolino, classici ma già imbalsamati, facendoli rientrare nella categoria THE GLOBAL MATRIX, per un motivo preciso: al di là dell’ omaggio al film sulle doppie e triple realtà, c’interessava proprio questa natura di MONDO FITTIZIO che matrix rappresenta, di illusione visivo-mediatica in cui questi registi galleggiano avendo perso il senso dell’orientamento o, ut dicebatur, in cui si trovano persi, dopo aver abbandonato la chiara strada, il sentiero diretto dell’ IDEOLOGIA.
A costo di esser presi per retrò, siamo convinti che anche i Kiarostami, la genia dei Makhmalbaf [ esordirà presto il figlio di Samira? Magari con un dogma iraniano girato coi telefonini di ultima generazione… ] e quant’altri, sia gente profondamente imborghesita, distaccata il giusto dalle pene del loro paese, che vengono a rappresentare –nel doppio senso del termine- con cadenza annuale alla kermesse francese, e disposte a tutto pur di accaparrarsi un golosissimo premio, mentre il loro cinema comincia a essere stantio o ripetitivo, non dico combattente, ma almeno non aggraziato…
Questa è gente che se non la premi, s’incazza di brutto! Kiarostami docet, Venezia qualche anno fa. E adesso chissà se non vince qualcosa Panahi!!!
Comunque, ci sembra che costoro vivano in un mondo globalizzato e contenti di farne parte, devitalizzati e smorti, quasi che il loro mestiere sia, ormai, quello di ri-rappresentare in forma più “carina”,ciò che i telegiornali o Al Jazeera ci propinano nei 20-giorni-20 della guerra appena finita, “storm of justice” o “powerful freedom” che si chiami questa volta….
Volendo essere caustici, ci viene il sospetto che questo meccanismo, che prevede TOT eventi bellici, TOT arti spezzati, TOT corpi abbandonati e TOT sabbia mediorientale in prima serata sugli schermi del mondo, sia la materia prima “attesa” da costoro per poter continuare a fare cinema. Di altro, o in altro modo, non saprebbero parlare.
Diciamocelo: A CHE SERVE QUESTO CINEMA?
Comunque, abbiamo fatto lo sforzo di metterli tra i “15 bravi, diligenti”, da cui aspettarsi “qualcosa” [ magari ci scappa anche il capolavoro, non è escluso ], ma comunque appartenenti alla GLOBAL MATRIX…

Contrapposti a costoro – perché abbiamo bisogno di schieramenti e di contrapposizioni! – sono i film provenienti da paesi veramente sofferenti: dalla Cina “deframmentata” di questi mesi, all’ Afghanistan, al Cameroon, al Maghreb, all’ “altro” Iran. Non a caso chiamati ZION FRAME, sempre per via del film wachowskiano, che nominava così la miseria rimasta reale.
Insieme ad essi, anche alcuni che speriamo coraggiosi – da cui HOME OF THE BRAVE – provenienti da paesi “non in sofferenza” apparente.

E’ chiaro che non abbiamo ricette, anche se suggerimenti ci sembra, nel nostro piccolissimo, di averli dati; pensiamo comunque che il massimo di analisi della realtà – sempre tragica, sempre dominata dai molti et ingiusti – debba per forza portare a SLANCI D’IMMAGINAZIONE che partano dal reale; a UTOPIE della mente che aiutino chi sta peggio a vivere meglio, anche guardando un film; a VISIONI o atteggiamenti VISIONARI che prevedano foschi futuri o siano capaci di elaborarne di migliori o più positivi.
Il cinema, a nostro vedere, DEVE essere questo!

Gabriele FRANCIONI
14 - 05 - 03


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