FUTURE FILM FESTIVAL

 

17/21:01:2007

BOLOGNA

di Chiara ARMENTANO, Davide GHERARDI

 

Approdati finalmente alla nona edizione del Future Film Festival tenutosi a Bologna, l’impatto è subito stato fresco, sorprendente, innovativo: anche quest’anno infatti la manifestazione ha inteso promuovere la cultura dell’animazione orientandosi più che mai verso la sua recente deriva digitale. Merito prioritario quello di avvicinare un pubblico variegato ed eterogeneo ad un cinema che dall’alveo delle nuove tecnologie si accosta all’arte dando voce alle sperimentazioni più originali sovente di non facile e immediata fruizione. Altro pregio, quello di dare visibilità ad un considerevole apparato intertestuale attraverso l’analisi dei Making of presentati da professionisti del settore (quello de I Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma ad esempio, ha visto l’intervento di Geoff Campbell della Industrial Light & Magic, con un esilarante viaggio nei meandri dei più recenti software di programmazione di grafica computerizzata), e poi incontri con doppiatori, disegnatori, produttori e quanti lavorano nell’universo orbitante questi gioiellini tra arte e tecne.


Per questa edizione, sottolineato anche dagli organizzatori Giulietta Fara e Oscar Cosulich, si è preferito dare spazio anche all’animazione meno battuta, oltre quella ormai tradizionale giapponese sempre all’avanguardia nel settore, anche la produzione iraniana e cinese. Omaggiare la cinematografia iraniana è gesto coraggioso e innovativo, sia considerando la prolificità e la minuzia con cui questa produzione è stata sempre trattata, sia visti i risultati sorprendenti della produzione contemporanea supportata da numerosi istituti culturali quali il DEFC (Documentary and Experimental Film Center) e la televisione Saba Center attiva nella produzione di cortometraggi e serie animate. Nota distintiva di questi apparati è la ricerca di contenuti spesso poco consoni a un pubblico di giovanissimi e la volontà di coinvolgere invece un pubblico più adulto e consapevole. Per esempio il corto Zemzemeye hasti (Whisper of Existence) di Hassan Zaryabi (Iran, 2006) è realizzato in animazione a disegno in bianco e nero con inserti colorati, e racconta la storia collettiva dei cittadini di una metropoli contemporanea alienati dalla solitudine, capaci di comunicare unicamente attraverso l’aggraziata voce di un bambino. Esempio di animazione computerizzata in 3D è stato invece Aghazi Digar (Another Beginning) di Maryam Abozari, (Iran 2006), caratterizzato da suggestive quanto bizzarre campiture di colori cangianti, fino a coprire con un unico rosso sangue la tela animata. Infine citiamo anche l’esperimento di animazione in 2D, Teke Koucholo (A Little Piece) di Farnoush Abedi, (Iran, 2004), in cui la ricerca dell’identità perduta è affidata all’inorganico, un folle pezzetto rouge quasi unico depositario di una deriva dell’esistente colta in tutte le sue forme più sfaccettate.

 


Ma gli esempi di animazione iraniana importati al FFF non terminano qui: assistiamo anche alla proiezione di cortometraggi tratti dalla produzione dell’Istituto per lo Sviluppo Intellettuale dei Bambini e dei Ragazzi, famoso in campo internazionale come Kanoon, nato in Iran a metà degli anni Sessanta. Da subito Kanoon si è imposto come un centro di cultura e produzione artistica e letteraria, nonché come il creatore di una Sezione Cinematografica strutturata e competente, all’avanguardia sia per quanto riguarda la fiction che l’animazione. La selezione fornita dal FFF testimonia l’ampio spettro tecnico, artistico e tematico che la produzione abbraccia, dai cortometraggi a pupazzi realizzati con la tecnica della stop-motion, alla computer grafica, al disegno tradizionale utilizzato in queste opere in modo molto creativo. Ricordiamo tra le altre: Haft Sciahr (The Seven Cities) di Ali Akbar Sadeghi, Iran, 1971; Zaal and Simogh di Ali Akbar Sadeghi, Iran, 1977; Hekà-iat scirin (The Sweet Story) di Mohammad-Reza Abedi, Iran, 1995; Màhieh ranghin kamàn (The Rainbow Fish) di Farkondeh Torabi, Iran, 1996; Shangoul and Mangoul di Farkondeh Torabi e Morteza Ahadi, Iran, 2000; Bal-haieh sepid (The White-Winged) di Abdollah Alimorad, Iran, 2003; Parande-ieh sokut (Bird of Silence) di Lisa Jamileh Barjesteh, Iran, 2005. La cura dei particolari si unisce alla sottile maestria delle storie, spesso tratte dalla letteratura locale o da leggende e mitologie nazionali, spesso con intento didattico altre volte intese come puro intrattenimento.

 


Anche la citata animazione cinese merita speciale menzione, vantando una fra le più antiche scuole al mondo, vista e considerata la sua millenaria tradizione iniziata a partire dal famoso teatro delle ombre per arrivare a quello di marionette. In mostra il primo lungometraggio animato realizzato in Asia: Tieshan gongzhu (La principessa dal ventaglio di ferro), completato nel 1941 dopo tre anni di lavorazione, che vide la collaborazione di ben 237 disegnatori. Dopo il recente restauro ad opera della Fondazione Prada e la Biennale di Venezia, il film mostra il monaco Tripitaka e lo Scimmiotto in cerca del magico ventaglio di ferro capace di estreme prodezze naturali e di sconfiggere i demoni malvagi. Il film si avvale di una storia avvincente e risulta ricco di trovate visive prese direttamente dalla tecnica d’animazione americana (cui si ispira, in particolare quella dello Studio Flesher), come le chiusure ad iride e l’uso del rotoscopio per sottolineare il movimento degli esseri umani non sempre fluido e bisognoso di uniformità. Altra chicca imperdibile è stata la serie di cortometraggi nati in seno alla Shangai Animation Film Studio, diretta dai gemelli Wan Laiming e Wan Guchan. Interessante notare come questi prodotti seguano sia l’evoluzione della tradizione pittorica cinese che quella letteraria, legata stavolta alla trasposizione di proverbi popolari e classiche “perle” di saggezza tramandate oralmente. Da ammirare la poesia lirica e grafica dei cortometraggi di Te Wei, da Xiao ketou zhao mama (I girini alla ricerca della mamma, 1960) a Shan shui qing (Impressioni di montagne e d’acqua, 1988) in cui si narra di un allievo che diventa il depositario della preziosa eredità del suo maestro ormai giunto alla morte. Trattasi di un elegante omaggio alla storia della pittura cinese, nonché della raffinata sperimentazione di una tecnica che vede l’utilizzo di acquerello e inchiostro su carta di gelso, ricavando le immagini attraverso il controllo della pressione del pennello sulla carta. Le sfumature così ottenute variano dalla più chiara alla più scura variazione, creando effetti cromatici di elevata qualità e impressione visiva.

 


Altri doverosi omaggi sono stati rivolti dal Festival a Quino (Joaquìn S. Lavado), artefice di note strisce comiche, vignette e ideatore di personaggi unici nel loro genere, quali Mafalda, Felipe, Manolito, Susanita. La prima vignetta risale al lontano 1954, mentre la nostra amica Mafalda nasce esattamente dieci anni dopo, nel 1964 con lo scopo dichiarato di pubblicizzare elettrodomestici. Si deve alla ditta in questione il merito di aver rinunciato a quella icona, permettendo all’ideatore di riutilizzarla in chiave fumettistica prima sul settimanale “Primera Plana” poi per “El Mundo”. In Italia arriva nel ’69. Ma quando Quino incontra il regista di animazione Juan Padròn a Cuba, tutto cambia e i celebri “Quinoscopi” diventano animazioni intelligenti, base della futura serie di episodi (104 per l’esattezza) prodotti in cartone animato dalla società spagnola D.G. Producciones S.A. in coproduzione con Televisiones Espanolas. L’omaggio dedicato qui al FFF ha mostrato principalmente la sua produzione di animazione meno conosciuta.

 


Infine un’ultima menzione è stata dedicata alla Gamma Film, studio milanese estremamente prolifico (in cui hanno militato i fratelli Gavioli) la quale negli anni del Carosello vantava più di 150 disegnatori imponendosi come una tra le più importanti società d’Europa. Suo merito quello di aver ideato cortometraggi singolari per Carosello, caratterizzati da linee marcate e personaggi impressivi da un punto di vista grafico, il che garantiva il loro imporsi come “tipi”anche dopo una sola visione. Ricordiamo: Ulisse e l’ombra (1959), Caio Gregorio, er guardiano der pretorio (1960), Il vigile (1961), Babbut, Mammut e Figliut (1962), Capitan Trinchetto (1965), Serafino spazza antennino (1966), Tacabanda (1968), Cimabue (1972).

 


In ultimo Paul Driessen, celebre animatore olandese che ha lavorato in Yellow Submarine, è stato selezionato dal FFF 2007 per il suo stile inconfondibile, secco, primitivo, reso fecondo come strumento neutro portavoce degli ingarbugliati labirinti narrativi dei suoi corti. Vista la scarsa visibilità in Olanda, l’artista è dovuto emigrare in Canada dove il suo stile è risultato subito convincente e apprezzabile. Di lui menzionamo: The Boy Who Saw an Icerberg (Garçon qui a vu l’iceberg), Canada, 2000; The End of the World in Four Seasons (Fin du monde en quatre saisons), Canada, 2005; Elephantrio di Paul Driessen, Graeme Ross, John Weldon, Canada, 1985; The Same Old Story (Une histoire comme une autre), Canada, 1981; An Old box (Une vieille boite), Canada, 1975, Air!, Canada, 1972; Le bleu perdu, Canada, 1972.
 


ANTEPRIME
 

 


ARTHUR AND THE INVISIBLES

Arthur e il popolo dei minimei

di Luc Besson

Francia/Usa, 2006,102'
 


Tratto dai primi due volumi scritti da Luc Besson su un’idea di originale di Cèline Garcia e illustrati dal marito Pattrice Garcia, già per altro tradotti in 34 lingue, il film racconta la storia di Arthur, bimbo di 10 anni il quale, scomparso il nonno nel giardino di casa alla ricerca di un inestimabile tesoro, decide di mettersi sulle sue tracce considerando l’impellente confisca di quel terreno a beneficio di un classico usurpatore intento a costruirci sopra un impianto edilizio. Con il nonno, Arthur scoprirà l’esistenza del “popolo dei Minimei”, piccoli esseri (elfi) microscopici che dalla notte dei tempi abitano le zone più recondite del giardino di casa (il più giovane ha trecento anni..), i quali sono impegnati nella lotta contro Maltazard, Signore del Male (il cui nome da solo porta iella a chi lo pronuncia), dominatore dei reietti e mostruosi animali che a volte la natura crea. La parte centrale del film, quella in cui Arthur entra nel zona franca degli Elfi, vede la trasformazione del bambino in carne ed ossa, in un microbo animato (la tecnica usata è l’animatic) e di lì in poi animazione e realtà si alternano con spiccante maestria. Besson dimostra di essere uno dei pochi registi europei in grado di pareggiare i kolossal americani e trarne immensi profitti con risultati interessanti, all’avanguardia nelle tecniche di animazione computerizzata. Il film vede anche la recitazione della splendida nonna, Mia Farrow, e il doppiaggio di personaggi molto cool, quali Madonna per la voce di Selenia, sensuale principessa “Minimea” della veneranda età di mille anni (quindi semplicemente adulta, come si definisce), e del grande David Bowie che invece doppia Il signore el Male, Maltazard, dandogli un inconfondibile tono di seducente cattiveria.
Un film fatto bene, per gli amanti del genere e per quanti inseguono le superproduzioni griffate.
Voto: 27/30




THE UGLY DUCKLING AND ME!

Den grimme aelling og mig

di Michael Hegner e Karsten Kiilerich

Francia/Germania/Irlanda/Regno Unito/Danimarca, 2006,90'
 


Attualizzazione della classica fiaba del brutto anatroccolo, il film è la storia di Ugly, piccolo cigno nato brutto perché non riconosciuto da una comunità di galline, il quale si accompagna ad un giovane, rampante topo Ratso il cui unico scopo della vita è sfruttare come fenomeni da baraccone piccoli animali resi ridicoli. Comincia con un verme, fino ad arrivare ad Ugly: capiterà casualmente vicino al suo uovo ancora non dischiuso, e vedrà nascere il piccolo mostriciattolo che lo chiamerà da subito “mammy”, e poi dopo il malinteso, “daddy”. Così prende il via questo tenero quanto assurdo bildungroman per piccoli che finirà col migliore degli happy ending.
La società danese A. Film A/S da tempo (1998) si occupa di film d’animazione di qualità e ottima presa commerciale, collaborando anche alla produzione francese Asterix e i Vichinghi, quella in animazione 3D del film Terkel in Trouble, e l’animazione 2D per il lungometraggio El Cid-La leggenda. Il lungometraggio in questione ha lo stesso nome della serie televisiva prodotta dallo studio danese (26 episodi di 26 minuti), e questo ha permesso ai due registi Michael Hegner e Karsten Kiilerich di risparmiare sui costi impiegati per la realizzazione, grazie al fatto che la serie è stata prodotta nello stesso periodo del lungometraggio, dimezzando in tal modo i costi delle singole produzioni. La melanconia e la disillusione della fiaba originaria di Andersen vengono qui superate dalla presenza del simpatico topo Ratso, che con il suo humour e la sua miseria più umana che animalesca, riesce a stemperare i toni di una storia sostanzialmente triste, di alienazione e diversità, elementi comuni alle favole nordiche.

Voto: 28/30

 

 


BLACK JACK: FUTARI NO KUROI ISHA

THE TWO DOCTORS OF DARKNESS

di Tezuka Makoto

Giappone, 2005,95'
 

 


Black Jack è un personaggio ben conosciuto in Giappone, uno dei più famosi manga partoriti dal grande demiurgo consacrato Tezuka Osamu. Il protagonista è un chirurgo senza licenza il quale nacque nel lontano 1973 e che è stato alla base della nascita di special animati e serie tv di 61 episodi. Il figlio del demiurgo, Makoto, dà ora vita alla versione del manga in lungometraggio, con un accento in più rispetto alla crudezza originale del racconto, invisa alla prima visione televisiva, e con sperimentazioni tecniche di estrema presa visiva, quali lo split-screen, musica jazz, mixati con effetti degni del migliore cinema contemporaneo (vedi la straordinaria esplosione). Il gusto retrò delle immagini ci riporta indietro nel tempo, ma la presenza della nemesi del protagonista, il dr. Kiriko, la cui missione è quella di metter fine al dolore umano attraverso l’eutanasia, ci riporta ad oggi, mostrandoci problemi assolutamente allineati al dibattito contemporaneo.
Il confronto tra i due protagonisti, si fa più duro quando sono trasportati su di un’isola, dove le mutazioni genetiche hanno prodotto un nuovo virus mortale..
Per intenditori.
Voto: 28/30
 

 


Reinassance

di Christian Volckman

Francia/Gran Bretagna/Lussemburgo, 2006,90'
 


ChristianVolckman, illustre sconosciuto, gioca la carta del calligrafismo spinto, ed inserendosi nell’orbita epigonale di Sin City (Frank Miller, 2005), confeziona un film visivamente elegantissimo: funambolico tour de force visivo che coniuga la bidimensionalità della graphic novel alle peripezie della motion capture (tecnologia che permette di tracciare i movimenti degli attori associandoli a dei personaggi virtuali, ottenendo un notevole grado di fluidità nei movimenti). Il contrasto fra il bianco e nero è molto spinto, assimilando certe sequenze ai disegni a china. Il film non manca di ritagliarsi delle nicchie di pura esibizione virtuosistica (gli effetti della luce, i riflessi nell’acqua, le tute “d’invisibilità” che emergono come sagome cangianti sullo sfondo…). Ciò che manca, al di là della volontà di potenza illustrativa, in questo film-entità grafica è una storia, una trama decente, delle idee, dei personaggi dotati di una psicologia credibile. Ciò che manca è quel qualcosa che non sia stato ripescato da un rimasticamento di cliché assai generalizzato. Questo film è tra i cursori di una tendenza nociva nella contemporaneità, maelstrom d’attrazionalità ludica e svuotamento diegetico che raccolgo sotto l’etichetta di “Playstation-cinema”. Nel “Playstation-cinema” il cinema è un coefficiente secondario del programma che tende all’autoperfezionamento, al miglioramento progressivo dell’apparecchio (sto applicando al cinema le riflessioni sulla fotografia di Vilém Flusser). Per questo quando sono uscito dalla sala ho pensato: “Bellino, questo catalogo di effetti speciali!”
Voto:?

 

 


BARNYARD

IL CORTILE

di Steve Oedekerk

Usa/Germania, 2006,90'

 


Otis è una mucca senza troppi problemi che ama cantare, ballare e giocare tiri mancini agli esseri umani. Suo padre (padre?? ma è una mucca!!) è il rispettato patriarca della fattoria, mentre Otis si sente libero di manifestare le doti fin troppo umane degli animali fino a quando, trovandosi di fronte ad una cospicua responsabilità, si trova a rispondere per la prima volta delle proprie azioni e comportarsi da vero leader.
Il regista Steve Oedekerk, che ha sceneggiato e diretto Jim Carrey in Ace Ventura-Missione Africa, con Barnyard imbocca la via del cartoon dando vita ad un film in cui i ruoli animale-essere umano sembrano del tutto interscambiabili. I membri della fattoria infatti arrivano a fare le cose più impensabili, guidano macchine, organizzano parties proprio come i nostri teenager,e non sembrano affatto temere una eventuale reazione da parte del fattore che manda avanti la baracca. Il pericolo vero e proprio è rappresentato dal coyote, ancestrale cattivo pronto a fagocitare qualsiasi cosa meglio se si tratta di galline e perché no, mucche impazzite.
Un film ben fatto, decisamente per i più piccoli.
Voto: 25/30
 

 


CHARLOTTE’S WEB

LA TELA DI CARLOTTA

di Gary Winick

Usa, 2006, 97'
 


La stramba quanto improbabile amicizia sbocciata tra un maialino rosa, Wilbur, e un ragno nero di nome Charlotte, porterà i due protagonisti non solo a creare forti legami con tutta l’allegra combriccola animalesca circostante, ma riuscirà a risultare tattica vincente nel momento in cui permetterà a Wilbur di sfuggire ad una atroce macellazione.
In linea tematica con Barnyard di Steve Oedekerk, entrambi sviluppano trame di animali in fuga dalla cieca crudeltà di uomini o di altre bestie simili, i due film americani risultano imparentati più in profondità tanto da essere definibili “cugini”. Nel film di Oedekerk infatti, il povero agricoltore, tramortito dagli animali perché colpevole di sapere troppo, è messo sotto un albero con un libro tra le mani in modo che al suo risveglio possa immaginare di aver vissuto solo un sogno: il libro in questione è Charlotte’s Web. Il che ci mostra visibilmente non solo l’intertestualità dei due film, ma anche la popolarità di cui gode la storia de La Tela di Carlotta di E.B. White, illustrato da Garth Williams. Intravediamo anche una versione riveduta e corretta del maialino Babe, portata allo schermo dall’australiano George Miller, i cui animai hanno le voci di tipi come Julia Roberts, Steve Buscemi, John Cleese e Robert Redford.
Voto: 26/30

EVENTI
 

 


ELEPHANTS DREAM

di Bassam Kurdali

Paesi Bassi, 2006, 10'
 


Elephants Dream è il primo cortometraggio d’animazione creato in open sorce, ovvero prodotto interamente con un programma di grafica 3D, Blender, che permette la libera condivisione dei file di produzione on line, grazie ad una licenza creative commons. A monte del progetto è la Blender Foundation, società olandese la quale ha sviluppato l’omonimo programma utilizzabile anche per giochi interattivi, effetti speciali, web design, architettura. Il progetto, durato tre anni, ha l’obiettivo principale di far collaborare programmatori e artisti col fine ultimo di costruire tools aperti e modificabili da qualsiasi postazione e in qualunque momento: il risultato è un’opera open, continuamnente in progress, cui tutti possono collaborare apportando i cambiamenti che ritengono necessari. Blender Foundation è in associazione con Montevideo, e con esso ha costituito un nucleo operativo denominato Orange Open Movie Project Studio di Amsterdam, unendo artisti provenienti da tutto il mondo, finanziati dagli stessi utenti di internet (attraverso la vendita di dvd via web). Il film, come le note di produzione, i making of, sono fruibili (visibili, scaricabili, modificabili) su internet garantendo un’effettiva interattività che oggi si presenta come base della tecnologia del futuro, non più sottomessa ai poteri incontrastati degli unici dententori dei diritti di proprietà su ciò che il web contiene.
Tralasciando i motivi tecnici, il cortometraggio è estremamente godibile e raffinato: Proof ed Emo vivono in un mondo creato dalla mente del più vecchio, il primo, il quale si è costruito uno spazio vitale personale, isolato dal resto del pianeta, e in cui vuole trascinare forzatamente anche il più giovane Emo. Il problema centrale rimane la volontà di condividere il reale con qualcun altro: da un lato la storia dà adito ad una non banale riflessione filosofica (condizione dell’essere umano, ovvero costruisco il mondo in cui vivo dunque sono, una sorta di cogito cartesiano nel futuro), dall’altro indaga la questione dal punto di vista del pubblico (fruitore) che trova difficoltà, a causa anche di dialoghi esigui, nel comprendere cosa è vero e cosa no, e soprattutto chi l’ha prodotto.
Ottima interazione di teoria tecnica (opens sorce) e risultato semantico (trama e contenuti della storia).
Voto: 30/30
 

Bologna, 24:01:2007